Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1918 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/01/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN IFATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Bologna, pronunciandosi sulle istanze di misure alternative presentate da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 656, comma 6, cod. proc. len., ha concesso al condannato la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, negando però l’affidamento in prova al servizio sociale. Il giudice a quo ha rigettato l’istanza di affidamento in prova sul rilievo del mancato svolgimento, da parte dell’interessato, di una attività lavorativa o comunque risocializzante e, dunque, in considerazione dell’assenza di una adeguata progettualità, sulla quale fondare la più ampia misura alternativa. Il Tribunale ha ritenuto, invece, di poter concedere la detenzione domiciliare, stante la disponibilità di un domicilio idoneo, nonché considerata la natura dei reati costituenti titolo detentivo (diversi da quelli previsti dall’art. 4-bis Ord. pen.), l’entità della pena detentiva residua (non superiore a due anni) e, infine, in ragione della pericolosità sociale del condannato, che risultava contenibile a mezzo delle restrizioni e dei controlli connessi all’obbligo di permanenza presso l’abitazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, articolando un motivo unico, che viene di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciata violazione dell’art. 47 Ord. pen., per avere il Tribunale ritenuto essere la mancanza di attività lavorativa, o comunque GLYPH risocializzante, GLYPH una GLYPH condizione GLYPH ostativa GLYPH alla GLYPH concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale. L’ordinanza sarebbe affetta, inoltre, da vizio della motivazione, in quanto essa non tiene conto della concreta situazione nella quale versa il condannato, il cui stato di disoccupazione ha natura temporanea e contingente, avendo il medesimo lavorato sino al 07/11/2022, data nella quale cessava il contratto di lavoro con l’imprese edile che lo aveva alle proprie dipendenze. Il Tribunale non ha considerato, infine, che il ricorrente è gravato da un solo precedente penale, relativo a un tentato furto commesso nell’anno 2013.
Il Procuratore generale ha chiesto, in accoglimento del ricorso, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il provvedimento di rigetto della invocata misura alternativa dell’affidamento in prova al RAGIONE_SOCIALE, come già chiarite in parte narrativa, è fondato sul presupposto dell’essere il condannato attualmente privo di qualsivoglia attività lavorativa. Tale condizione, secondo una giurisprudenza da lungo tempo consolidata di questa Corte, che va qui richiamata e ribadita, non è in re ipsa ostativa al chiesto beneficio. La mancanza di stabile occupazione lavorativa (oppure, almeno, di una seria prospettiva di futuro reinserimento nel modo del lavoro) può essere surrogata, infatti, dalla dimostrazione dello svolgimento di attività socialmente utili, anche nel campo del volontariato, che presentino connotazioni tali da consolidare nel condannato un virtuoso progresso nella rieducazione sociale. E quindi, vero che la mancanza di stabile occupazione non è, essa sola, fattore impeditivo rispetto alla possibile concessione dell’affidamento in prova (in quanto parametro estremamente evocativo, ma apprezzabile solo in stretta correlazione ad altri elementi, quali i precedenti penali, la condotta inframuraria e, infine, la partecipazione al trattamento rieducativo). Occorre, però, che tale carenza appaia significativamente surrogata dallo svolgimento di attività socialmente utili, anche di tipo volontaristico, grado comunque di rivestire una tale positiva valenza, da consolidare nel condannato un iter virtuoso, informato alla prosecuzione nel cammino di rieducazione sociale e nel progressivo reinserimento, all’interno di un contesto non deviante (Sez. 1, n. 1619 del 13/03/1996, COGNOME, Rv. 204611; Sez. 1, n. 26789 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244735; Sez. 1, n. 18939 del 26/02/2013; E. A., Rv. 256024).
Come osservato dal Tribunale di sorveglianza di Bologna nell’impugnato provvedimento – con motivazione congruente, lineare e priva di spunti di contraddittorietà logica e, pertanto, destinata a rimanere immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità – nulla di tutto ciò è emerso, nei confronti de condannato, né è stato da questi rappresentato o documentato. Non si ha conoscenza di possibili prossime assunzioni del ricorrente, né sussistono riferimenti ad attività solidaristiche o di volontariato, oppure ad altra tipologia occupazione, che possa apparire comunque atta a svolgere una funzione in qualche modo rieducativa e risocializzante. in tale ottica, la decisione reiettiva impugnata appare del tutto conforme, sia al sopra delineato quadro di norme, sia ai principi di diritto enunciati da questa Corte.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2023.