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Affidamento in prova: lavoro non indispensabile

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego dell’affidamento in prova a un condannato disoccupato. La sentenza chiarisce che, sebbene l’assenza di un’attività lavorativa non sia di per sé un ostacolo insuperabile, essa deve essere bilanciata dalla dimostrazione di un concreto percorso di reinserimento sociale, come il volontariato o altre attività socialmente utili, che nel caso specifico non sono state provate.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: il lavoro è necessario? La Cassazione fa chiarezza

L’accesso alle misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale, rappresenta un momento cruciale nel percorso di rieducazione del condannato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 1918/2024) torna su un tema di grande rilevanza pratica: la mancanza di un’attività lavorativa può impedire la concessione di questo beneficio? La Corte ribadisce un principio consolidato, sottolineando l’importanza di un progetto di reinserimento concreto, che non si esaurisce necessariamente nella sola occupazione lavorativa.

I fatti del caso

Il caso esaminato riguarda un uomo condannato a cui il Tribunale di Sorveglianza aveva concesso la detenzione domiciliare ma negato la più ampia misura dell’affidamento in prova. La ragione del diniego risiedeva nell’assenza di un’attività lavorativa o di qualsiasi altro impegno risocializzante. Secondo il Tribunale, mancava una “adeguata progettualità” sulla quale fondare un percorso di reinserimento sociale.
L’uomo ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il suo stato di disoccupazione era solo temporaneo e contingente, avendo lavorato fino a poco tempo prima. Evidenziava inoltre di avere un solo precedente penale non grave. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione aveva persino appoggiato la richiesta del ricorrente, chiedendo l’annullamento della decisione del Tribunale.

La decisione della Corte di Cassazione sull’affidamento in prova

Nonostante il parere favorevole del Procuratore Generale, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La sentenza chiarisce che, sebbene la mancanza di un lavoro non sia, di per sé, un ostacolo automatico e insuperabile (in re ipsa ostativa) alla concessione dell’affidamento, la sua assenza deve essere concretamente bilanciata da altri elementi positivi.

Le motivazioni: Lavoro, volontariato e progetto rieducativo

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nel concetto di “progetto rieducativo”. La Corte spiega che l’affidamento in prova si basa su un percorso di reinserimento che deve essere dimostrato e documentato. L’attività lavorativa è un elemento fondamentale di questo percorso, ma non l’unico.
Secondo gli Ermellini, la mancanza di un’occupazione stabile può essere “surrogata”, cioè sostituita, dalla dimostrazione dello svolgimento di attività socialmente utili, anche nel campo del volontariato. Queste attività devono avere caratteristiche tali da consolidare nel condannato un “virtuoso progresso nella rieducazione sociale”.
Nel caso specifico, il ricorrente non aveva fornito alcuna prova né aveva documentato l’esistenza di un simile percorso alternativo. Non erano state indicate prospettive di assunzioni future, né l’impegno in attività solidaristiche o di volontariato. In assenza di qualsiasi elemento che dimostrasse un impegno attivo verso la risocializzazione, la decisione di negare l’affidamento è stata ritenuta logica, congruente e correttamente motivata.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche per l’accesso alle misure alternative

La sentenza ribadisce un principio fondamentale per chi intende accedere alle misure alternative: la passività non paga. Non è sufficiente essere disoccupati per giustificare la mancanza di un progetto di vita alternativo alla devianza. Il condannato ha l’onere di dimostrare attivamente al giudice di sorveglianza di aver intrapreso un “iter virtuoso”. Questo percorso può concretizzarsi nella ricerca di un lavoro, ma anche, e in modo altrettanto valido, nell’impegno costante in attività di volontariato o in altri progetti socialmente utili che testimonino una reale volontà di cambiamento e di reinserimento nel tessuto sociale.

È possibile ottenere l’affidamento in prova senza avere un lavoro?
Sì, è possibile. La giurisprudenza costante della Corte di Cassazione stabilisce che la mancanza di un’occupazione lavorativa non è di per sé un ostacolo automatico alla concessione del beneficio.

Cosa deve dimostrare un condannato per ottenere l’affidamento in prova se è disoccupato?
Il condannato deve dimostrare che la carenza di lavoro è compensata (surrogata) dallo svolgimento di altre attività socialmente utili, come il volontariato, o da un progetto concreto che evidenzi un percorso di rieducazione e reinserimento sociale.

Perché la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in questo caso?
La Corte ha rigettato il ricorso perché il condannato, pur essendo disoccupato, non ha rappresentato né documentato alcun elemento alternativo, come possibili assunzioni future o l’impegno in attività solidaristiche, che potesse fungere da base per un progetto rieducativo e risocializzante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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