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Affidamento in prova: lavoro non è requisito unico

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un condannato per la sola mancanza di una proposta lavorativa. La Suprema Corte ha stabilito che, ai fini della concessione della misura, l’assenza di un impiego non può essere l’unico elemento decisivo, dovendo il giudice effettuare una valutazione complessiva della personalità e del percorso di reinserimento del soggetto, considerando anche gli elementi positivi emersi dopo il reato.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Mancanza di Lavoro Non Basta per Negarlo

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento cruciale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale dei condannati, spostando il focus dell’esecuzione della pena dal carcere alla comunità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5468/2024, ha ribadito un principio fondamentale: l’assenza di una proposta lavorativa non può essere, da sola, un motivo sufficiente per negare questa misura alternativa. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Un condannato presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale rigettava la richiesta, concedendo in alternativa la detenzione domiciliare. La decisione si basava principalmente sulla “mancanza di una seria proposta lavorativa”. Oltre a ciò, venivano valutati negativamente i precedenti penali del richiedente e la sua mancata presentazione a un colloquio con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE).

L’interessato, tramite il suo legale, proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la mancanza di un lavoro non potesse costituire l’unico elemento ostativo, specialmente a fronte di altri indicatori positivi del suo percorso di recupero, come le dimissioni da incarichi professionali e la cancellazione volontaria dall’albo. Contestava inoltre l’addebito relativo alla mancata presentazione al colloquio, affermando di non aver mai ricevuto la convocazione e di trovarsi, in quel periodo, detenuto in carcere.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. Secondo la Suprema Corte, la motivazione del provvedimento impugnato era inadeguata e in contrasto con i principi che regolano l’ordinamento penitenziario.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva attribuito un ruolo “assorbente e preponderante” all’assenza di una proposta di lavoro, trasformandola di fatto in una condizione indispensabile per accedere al beneficio. Questo approccio è stato giudicato errato dalla Cassazione, che ha riaffermato la necessità di una valutazione più ampia e complessa.

Le Motivazioni: La Valutazione Complessiva per l’Affidamento in Prova

La Corte ha chiarito che l’affidamento in prova mira a formulare una prognosi favorevole sul completo reinserimento sociale del condannato. Per fare ciò, il giudice deve compiere un’analisi approfondita della personalità del soggetto, che non può esaurirsi in un singolo elemento.

I principi chiave evidenziati dalla Cassazione sono i seguenti:

1. Il Lavoro è un Mezzo, non il Fine: Lo svolgimento di un’attività lavorativa è certamente un importante strumento di reinserimento sociale, ma la sua mancanza non costituisce una condizione ostativa automatica. È un parametro da valutare insieme a molti altri.
2. Valutazione Olistica: Il giudizio prognostico deve basarsi su una pluralità di indicatori. I precedenti penali e la gravità del reato sono il punto di partenza, ma non possono prescindere dall’analisi della condotta successiva del condannato. Elementi come l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte devianti, l’attaccamento al contesto familiare e la condotta di vita attuale sono essenziali per valutare l’esistenza di un effettivo processo di recupero.
3. Ruolo Propositivo dell’UEPE: La Corte ha ricordato che è compito degli Uffici locali di esecuzione penale esterna (UEPE) proporre all’autorità giudiziaria un programma di trattamento, che può includere proposte di attività lavorativa o equipollenti. Il Tribunale non ha considerato questo aspetto, né ha valutato negativamente un eventuale rifiuto ingiustificato del richiedente a svolgere tali attività.
4. Carenza Motivazionale: L’ordinanza impugnata è stata giudicata carente anche perché non ha minimamente considerato gli argomenti difensivi, come la presunta mancata notifica della convocazione al colloquio presso l’UEPE, un elemento che il Tribunale aveva invece valutato negativamente.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza l’idea che la concessione dell’affidamento in prova non può essere subordinata a rigidi automatismi. Il giudice di sorveglianza ha il dovere di compiere un’analisi completa e individualizzata, bilanciando tutti gli elementi a disposizione. Attribuire un peso decisivo alla sola mancanza di un’offerta di lavoro, ignorando altri segnali positivi del percorso di risocializzazione del condannato, costituisce un vizio di motivazione. La decisione finale deve sempre fondarsi su una prognosi ragionevole di reinserimento sociale, basata su una valutazione complessiva della persona e del suo percorso post-delictum.

L’assenza di un lavoro impedisce di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, sebbene l’attività lavorativa sia un importante mezzo di reinserimento, la sua mancanza non costituisce da sola una condizione ostativa all’applicabilità della misura. Deve essere considerata unitamente ad altri elementi.

Quali elementi deve valutare il Tribunale di Sorveglianza per concedere l’affidamento in prova?
Il Tribunale deve compiere una valutazione complessiva della personalità del condannato, analizzando la condotta tenuta dopo il reato, i comportamenti attuali, l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi e l’eventuale prospettiva di risocializzazione. Precedenti e gravità del reato sono solo il punto di partenza dell’analisi.

Cosa succede se un condannato non si presenta a un colloquio fissato dall’UEPE?
Il giudice non può valutare negativamente tale assenza in modo automatico. Deve tenere in considerazione le giustificazioni fornite dalla difesa. Nel caso di specie, il Tribunale aveva errato non considerando che l’interessato sosteneva di non aver mai ricevuto la convocazione e di essere detenuto in quel periodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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