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Affidamento in prova: la pericolosità sociale vince

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego dell’affidamento in prova a un soggetto condannato per reati gravi. Nonostante la presenza di elementi positivi come un lavoro stabile e una famiglia, la Corte ha ritenuto prevalente la sua elevata e recente pericolosità sociale, ritenendo che tali fattori non fossero sufficienti a garantire un esito positivo della misura alternativa alla detenzione.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando la Pericolosità Sociale Prevale su Lavoro e Famiglia

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, finalizzata al reinserimento del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 2641/2024) ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione della pericolosità sociale può prevalere anche di fronte a elementi di vita positivi, come un lavoro stabile e il supporto familiare. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo, già in regime di detenzione domiciliare a seguito di una condanna per reati gravi (rapina aggravata e violazione della normativa sugli stupefacenti), che aveva presentato istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale di Sorveglianza competente aveva rigettato la richiesta, motivando il diniego con la mancanza di una revisione critica da parte del condannato rispetto ai gravi fatti commessi e, di conseguenza, con la sussistenza di un’elevata pericolosità sociale.

Il ricorrente, tramite il suo difensore, ha impugnato tale decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse dato un peso esclusivo ai precedenti penali, senza considerare adeguatamente gli elementi positivi presentati: l’assenza di dipendenze, una capacità reddituale lecita, un’attività lavorativa stabile e il supporto di una famiglia.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Valutazione sull’Affidamento in Prova

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno stabilito che il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza non era affatto illogico o viziato. Al contrario, la valutazione compiuta era corretta e ben motivata.

La Corte ha sottolineato che il motivo del ricorso si limitava a una rilettura dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è rivalutare il merito della decisione, ma verificare che essa sia stata presa nel rispetto della legge e con una motivazione coerente.

La Pericolosità Sociale come Fattore Ostacolante

Il punto centrale della decisione è il concetto di pericolosità sociale. Il Tribunale di Sorveglianza aveva notato un paradosso significativo: la presenza di numerosi fattori esistenziali positivi (lavoro, famiglia, assenza di problemi economici o di dipendenza) non aveva impedito al soggetto di commettere reati molto gravi. Questo, secondo i giudici, dimostrava una “maggiore spregiudicatezza e aperta noncuranza della legge” e una “forte determinazione a delinquere”. In altre parole, se neanche una vita stabile è riuscita a fungere da deterrente, il rischio di recidiva rimane elevato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha ribadito che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova, il giudice deve compiere un giudizio prognostico complesso. Non può limitarsi a guardare la “fotografia” attuale del condannato, ma deve valutare l’intera sua storia e personalità. Citando un proprio precedente (Sent. n. 44992/2018), la Corte ha ricordato che la valutazione deve includere:

* La natura e la gravità dei reati commessi.
* I precedenti penali e i procedimenti pendenti.
* La condotta successiva alla condanna, come l’assenza di nuove denunce e il ripudio dei comportamenti devianti.
* L’adesione a valori socialmente condivisi e la condotta di vita attuale.
* L’attaccamento al contesto familiare e una concreta prospettiva di risocializzazione.

Nel caso specifico, la motivazione del diniego è stata ritenuta adeguata perché i gravi e recenti fatti commessi sono stati considerati “impeditivi” della concessione della misura. I fattori positivi, pur presi in considerazione, sono stati giudicati “minusvalenti”, cioè di minor peso, rispetto all’evidente pericolo di recidiva.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica: per ottenere l’affidamento in prova, non è sufficiente presentare al giudice un quadro di apparente stabilità sociale e lavorativa. La decisione si basa su una prognosi globale del rischio che il soggetto torni a delinquere. Se i reati commessi sono gravi, recenti e indicano una profonda inclinazione a violare la legge, questi elementi possono costituire un ostacolo insuperabile, rendendo la pericolosità sociale il fattore decisivo che giustifica il mantenimento dello stato detentivo, seppur in forme alternative al carcere.

Avere un lavoro e una famiglia garantisce l’accesso all’affidamento in prova?
No. La sentenza chiarisce che, sebbene siano elementi positivi da valutare, non sono di per sé sufficienti. Il giudice deve considerare la pericolosità sociale complessiva del condannato, che può essere desunta dalla gravità e dalla recentenza dei reati commessi, e questi ultimi possono avere un peso preponderante.

Come valuta il giudice la richiesta di affidamento in prova?
Il giudice compie un giudizio prognostico sul buon esito della prova. Deve considerare non solo i reati commessi e i precedenti penali, ma anche la condotta successiva del condannato, l’assenza di nuove denunce, il ripudio dei comportamenti devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi e la concreta prospettiva di risocializzazione.

Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una condanna al pagamento di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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