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Affidamento in prova: la mancata restituzione basta?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44501/2024, ha respinto il ricorso del Procuratore generale militare contro la concessione dell’affidamento in prova a un ex militare condannato per peculato. La Corte ha stabilito che la mancata restituzione del profitto del reato non è di per sé un ostacolo insormontabile alla concessione della misura alternativa. L’elemento cruciale è la valutazione complessiva del percorso di risocializzazione del condannato, basata su elementi come la buona condotta carceraria, i permessi premio e le prospettive di reinserimento sociale e lavorativo.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: Concesso Anche Senza Restituzione del Profitto del Reato?

La concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta un pilastro del sistema penitenziario orientato alla rieducazione del condannato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 44501/2024) affronta una questione delicata: la mancata restituzione del profitto derivante dal reato può impedire l’accesso a questa misura alternativa? La risposta della Suprema Corte chiarisce i criteri di valutazione e ribadisce la centralità del percorso di risocializzazione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un ex maresciallo dell’Esercito Italiano, condannato in via definitiva a nove anni e due mesi di reclusione per peculato militare continuato e aggravato. Dopo un periodo di detenzione, il Tribunale militare di sorveglianza accoglieva la sua istanza, ammettendolo alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. Questa decisione si basava su una valutazione positiva del percorso trattamentale del condannato durante la carcerazione.

Il Ricorso del Procuratore Generale

Contro questa ordinanza, il Procuratore generale militare proponeva ricorso in Cassazione. La Procura lamentava un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale non avrebbe condotto una reale valutazione dei progressi del condannato e della sua effettiva consapevolezza degli errori commessi. Il punto centrale del ricorso era la constatazione che l’ex militare non si era mai attivato per recuperare e restituire il profitto dei reati, potendo così trarre un ingiusto vantaggio dalla sua condotta criminosa passata.

La Valutazione della Cassazione sull’Affidamento in Prova

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, respingendolo. I giudici hanno innanzitutto chiarito che l’affidamento in prova è una forma di esecuzione della pena esterna, finalizzata al completo reinserimento sociale del condannato. La sua concessione si fonda su un giudizio prognostico favorevole, basato sull’osservazione della personalità e su altri elementi di conoscenza.

Per formulare questa prognosi, il giudice deve considerare una pluralità di fattori: il reato commesso, eventuali precedenti penali, la condotta carceraria, i risultati delle indagini socio-familiari e le prospettive di vita future. Tutti questi elementi concorrono a delineare un quadro della persona e a stabilire se la misura alternativa possa rivelarsi proficua.

La Mancata Restituzione del Profitto e l’Affidamento in Prova

La Corte ha affrontato direttamente il nodo centrale del ricorso. I giudici hanno stabilito che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza era adeguatamente motivata e non illogica. La decisione di concedere l’affidamento in prova si basava su elementi concreti e positivi:

* La regolare condotta tenuta in carcere.
* La positiva fruizione dei permessi premio.
* L’ammissione al lavoro all’esterno (ex art. 21 Ord. pen.).
* L’assenza di precedenti penali e di altre pendenze.
* Le concrete prospettive di attività lavorativa e di volontariato.

In questo contesto, la mancata attivazione per il recupero del profitto del reato non è stata considerata una circostanza ostativa assoluta. Il Tribunale, con una motivazione ritenuta non contraddittoria dalla Cassazione, ha dato prevalenza ai progressi trattamentali e al processo di risocializzazione già avviato dal condannato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano sul principio che il giudizio per la concessione di una misura alternativa è un apprezzamento di merito che, se logicamente e coerentemente argomentato, non può essere censurato in sede di legittimità. Il ricorso del Procuratore, secondo la Corte, mirava a ottenere una diversa valutazione degli elementi processuali, un compito che esula dalle funzioni della Cassazione. Il giudice di sorveglianza aveva correttamente bilanciato tutti i fattori in gioco, formulando una prognosi favorevole di non recidivanza basata su un solido quadro di elementi positivi emersi durante l’esecuzione della pena. La mancata restituzione, pur essendo un elemento da considerare, non può da sola vanificare un percorso rieducativo altrimenti positivo e promettente.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 44501/2024 riafferma un principio fondamentale dell’ordinamento penitenziario: la valutazione per l’accesso alle misure alternative deve essere globale e incentrata sulla persona. Sebbene la riparazione del danno economico sia un aspetto importante, non costituisce un prerequisito inderogabile. La priorità resta il percorso di reinserimento sociale, valutato sulla base di progressi concreti e di una prognosi ragionevole di un futuro rispetto della legge. La decisione di ammettere il condannato all’affidamento in prova è stata quindi confermata.

La mancata restituzione del profitto di un reato impedisce automaticamente la concessione dell’affidamento in prova?
No, la sentenza chiarisce che la mancata attivazione del detenuto per fare recuperare il profitto del reato non è una circostanza ostativa assoluta alla concessione dell’affidamento. Il giudice deve dare rilievo primario ai progressi trattamentali e al processo di risocializzazione del condannato.

Quali elementi considera il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice compie una valutazione prognostica complessiva basata su molteplici fattori, tra cui: la condotta in carcere, la positiva fruizione di permessi premio, l’ammissione al lavoro all’esterno, l’assenza di precedenti penali e pendenze, e le prospettive di attività lavorativa e di volontariato future.

Perché la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Procuratore?
La Corte ha respinto il ricorso perché le lamentele del Procuratore sollecitavano un apprezzamento di merito, ovvero una nuova valutazione dei fatti, che è estraneo al giudizio di legittimità. La Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di sorveglianza fosse coerente, adeguata e non manifestamente illogica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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