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Affidamento in prova: la condotta post reato è decisiva

Un uomo condannato per reati fiscali si è visto negare l’affidamento in prova dal Tribunale di Sorveglianza, che ha dato peso ai precedenti penali e a recenti segnalazioni. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova, è fondamentale valutare il comportamento tenuto dal condannato dopo la commissione del reato per cui si procede. Il giudice non può ignorare elementi favorevoli, come una relazione positiva dei servizi sociali (UEPE), senza fornire una motivazione adeguata.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Condotta Post-Condanna è Più Importante dei Precedenti?

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato, offrendo un’alternativa concreta al carcere. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una complessa valutazione del giudice. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: nella decisione, il comportamento tenuto dal soggetto dopo la commissione del reato per cui è stato condannato assume un’importanza preponderante rispetto ai suoi precedenti penali.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato a una pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione per emissione di fatture per operazioni inesistenti, un reato commesso diversi anni prima. L’uomo, attraverso il suo difensore, aveva richiesto di poter scontare la pena in regime di detenzione domiciliare o, in subordine, tramite l’affidamento in prova al servizio sociale.

Il Tribunale di Sorveglianza competente respingeva entrambe le richieste. La detenzione domiciliare veniva dichiarata inammissibile poiché la pena superava il limite di 2 anni. Per quanto riguarda l’affidamento in prova, il Tribunale esprimeva un giudizio prognostico negativo sulla possibile ricaduta nel reato. Questa valutazione si basava su diversi elementi: i precedenti penali per guida in stato di ebbrezza e resistenza a pubblico ufficiale, informazioni negative della Questura relative a deferimenti recenti, una passata misura cautelare per associazione a delinquere e reati fiscali, e la presunta precarietà della sua situazione lavorativa.

Il Ricorso in Cassazione e le Censure al Giudizio del Tribunale

L’uomo proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. Sosteneva che il Tribunale avesse fondato la sua decisione quasi esclusivamente su fatti pregressi e datati, senza analizzare adeguatamente il suo comportamento successivo alla commissione del reato.

In particolare, il ricorrente evidenziava come il Tribunale avesse completamente ignorato la relazione positiva dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Tale relazione, basata su un’osservazione diretta e recente, aveva dato parere favorevole all’ammissione alla misura alternativa, sottolineando la buona condotta, lo svolgimento di un’attività lavorativa regolare (il cui contratto era stato nel frattempo prorogato), la disponibilità di un domicilio idoneo e l’inserimento in un contesto familiare stabile e supportivo.

L’Affidamento in Prova e la Valutazione della Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: ai fini della concessione dell’affidamento in prova, la valutazione del giudice non può limitarsi alla natura e alla gravità dei reati per cui è intervenuta la condanna. È necessario, invece, avere riguardo soprattutto al comportamento e alla situazione del soggetto successivi ai fatti per cui si procede.

Questo approccio è essenziale per verificare se sia in atto un’effettiva e positiva evoluzione della personalità del condannato, tale da rendere possibile il suo reinserimento sociale attraverso una misura esterna al carcere. Ignorare questo percorso evolutivo significa vanificare lo scopo rieducativo della pena.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza palesemente carente. Il provvedimento impugnato si era concentrato su elementi negativi (precedenti penali, pendenze, informazioni di polizia) senza però confrontarsi minimamente con la relazione dell’UEPE del giugno 2024. Quest’ultima proponeva l’affidamento in prova proprio in ragione dei risultati positivi dell’osservazione della personalità del soggetto e dell’analisi della sua situazione personale, familiare e lavorativa.

Il Tribunale, pur non essendo vincolato alle conclusioni dell’UEPE, ha l’obbligo di prenderle in considerazione e, qualora intenda discostarsene, deve fornire una motivazione rafforzata, spiegando analiticamente perché ritenga non attendibili o non rilevanti gli elementi positivi emersi. In questo caso, mancava qualsiasi cenno alla relazione, rendendo la decisione illogica e non conforme ai principi di legge. Il giudice di merito non ha spiegato perché le pendenze penali e i precedenti dovessero prevalere su un percorso di cambiamento attestato da un organo specializzato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza e rinviato il caso al Tribunale di Sorveglianza per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà riesaminare la richiesta tenendo conto di tutti gli elementi a disposizione, in particolare della condotta serbata dal condannato dopo la commissione del reato e delle conclusioni contenute nella relazione dei servizi sociali. La sentenza riafferma che il giudizio prognostico sulla pericolosità sociale deve essere attuale e concreto, basato su un’analisi completa della personalità del condannato e non su un’automatica valutazione negativa legata al suo passato.

Per concedere l’affidamento in prova, il giudice deve considerare di più i reati passati o la condotta tenuta dopo la condanna?
Secondo la Corte di Cassazione, è necessaria la valutazione del comportamento del condannato successivo ai fatti per i quali è stata pronunciata la condanna. Questo serve a verificare la concreta sussistenza di una positiva evoluzione della sua personalità, elemento essenziale per il reinserimento sociale.

Un parere favorevole dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) è vincolante per il giudice?
No, il giudice non è vincolato dai giudizi espressi nelle relazioni degli organi di osservazione come l’UEPE. Tuttavia, è tenuto a considerare le informazioni in esse contenute e, se decide di discostarsene, deve fornire una motivazione specifica e logica che spieghi le ragioni della sua diversa valutazione.

Precedenti penali e nuove denunce impediscono automaticamente l’accesso all’affidamento in prova?
No, non lo impediscono automaticamente. Sebbene siano elementi di cui tener conto, il giudice deve valutarli nel contesto di un’analisi complessiva. Se la condotta successiva alla condanna dimostra un’evoluzione positiva e un concreto percorso di reinserimento, il beneficio non può essere negato solo sulla base del passato criminale o di pendenze non ancora definite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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