Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30322 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30322 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Monterotondo il 9/7/1964
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 18/2/2025
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 18.2.2025, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha provveduto su una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale di NOME COGNOME che deve espiare una pena residua di due anni, sei mesi e nove giorni di reclusione per due corruzioni continuate nell’ambito della nota indagine denominata “Mondo di mezzo”.
L’ordinanza premette che non ricorre alcuno degli elementi positivi che il Tribunale di Sorveglianza deve valutare ai fini della concessione della misura
alternativa, ad eccezione dell’esistenza di un domicilio ritenuto idoneo dalla polizia e dall’Uepe.
Viceversa, ricorrono i seguenti elementi di tipo negativo.
In primo luogo, i precedenti penali, tra i quali una grave condanna riportata nel 2009 per i reati di spaccio di stupefacenti aggravato dall’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e di detenzione di armi clandestine, in relazione a cui COGNOME aveva ottenuto l’affidamento ai servizi sociali nel 2012, che tuttavia non si concludeva con esito positivo in quanto, in costanza dello stesso, il condannato commetteva i reati oggetto della attuale esecuzione.
In secondo luogo, la gravità dei reati per i quali è in esecuzione la condanna: si tratta di due corruzioni di pubblici ufficiali, protrattesi per circa anni tra il 2011 e il 2014, al fine di agevolare in modo illegale le cooperative da lui gestite insieme con NOME COGNOME in Roma. Si tratta, inoltre, di reati che egli ha commesso quando era in pieno svolgimento il precedente regime di affidamento ai servizi sociali.
Quanto, in terzo luogo, al confronto del condannato con i reati in esecuzione, lo stesso appare deludente e contraddittorio, in quanto mai COGNOME ha ammesso la natura illecita delle dazioni di denaro in favore dei pubblici ufficiali, e il dato è ripetuto anche nell’istanza di misura alternativa, che rende evidente la mancanza di un avvio di revisione critica.
A questo proposito, appare incomprensibile – secondo il Tribunale di Sorveglianza – il giudizio positivo sulla sua revisione critica contenuto nella relazione dell’Uepe, in modo incongruente, in quanto, dopo aver affermato l’esistenza di una sincera revisione critica delle scelte passate, si parla più limitatamente di significativi passi in avanti compiuti in tal senso.
Inoltre, nulla è stato dedotto circa l’eventuale risarcimento dei danni derivanti da reato, ciò che contrasta con le attuali possibilità economiche del condannato, il quale ammette di aiutare la figlia nel pagamento di un mutuo relativo all’acquisto di un immobile.
Ancora, non v’è alcuna descrizione specifica dell’attività di volontariato che il condannato ha cominciato in una parrocchia da meno di un mese, sicché si può ritenere che l’inizio dell’attività a ridosso della celebrazione dell’udienza si meramente strumentale.
Da ultimo, si sottolinea che la polizia non esclude collegamenti del richiedente con la criminalità organizzata, in modo verosimilmente legato alla commissione dei reati di esecuzione che si inquadravano nel contesto di attività illecite di associazioni per delinquere, capeggiate da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quanto all’attività lavorativa, poi, il Tribunale osserva che, trattandosi di attività di manutenzione del verde di tipo itinerante in tutto il Comune di Roma e nella provincia di Roma, ne derivano difficoltà di controllo da parte delle forze dell’ordine.
In definitiva, il Tribunale di Sorveglianza ritiene, pertanto, che l’unica misura idonea, in relazione alla pericolosità del soggetto, sia quella intramuraria, accompagnata da una seria osservazione psicologica, che finora è da ritenersi insoddisfacente.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando un unico motivo, con cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 47 ord. pen.
Il ricorso lamenta che il Tribunale di Sorveglianza, dopo aver richiamato i principi affermati dalla Suprema Corte in tema di valutazione della misura alternativa, abbia poi reso una motivazione del tutto svincolata da essi.
Preliminarmente l’ordinanza impugnata ha assegnato un rilievo pressoché determinante ai precedenti penali, ma tale argomentazione è viziata per non avere il Tribunale adeguatamente considerato il percorso effettuato dal condannato dopo i fatti di cui al titolo in esecuzione. Ai giudici è sfuggito che la finalità rieducativa si compone di una fase statica e di una fase dinamica, quest’ultima in divenire nella fase esecutiva.
Quanto, poi, alla valutazione del presupposto della revisione critica, il Tribunale non si è confrontato con la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui è sufficiente una disponibilità al confronto sui fatti di cui all sentenza e non si richiede una piena revisione critica portata a termine. Di conseguenza, la motivazione è viziata per contraddittorietà, in quanto, da un lato, riconosce il diritto di professare la propria innocenza ma lo confina alla sola fase della cognizione e, dall’altro, valorizza la mancanza di una revisione critica nella fase esecutiva che tuttavia non è espressamente prevista dall’art. 47 ord. pen.
Inoltre, la valutazione del Tribunale in ordine alla relazione dell’Uepe è incongrua e illogica rispetto a tutti gli elementi positivi che la stessa conteneva, avendo enucleato in maniera dettagliata le ragioni per le quali si deve ritenere che il condannato abbia già compiuto significativi passi in avanti nel processo di reinserimento sociale e di revisione critica. A fronte di ciò, l’ordinanza si è limitata a estrapolare alcuni passaggi delle relazioni, decontestualizzandole e traendone conseguenze inconferenti.
La motivazione, inoltre, è contraddittoria e manifestamente illogica quando richiama i reati commessi nella vigenza della precedente misura alternativa, in
quanto non tiene conto che dopo la condanna per i fatti per cui è stata inflitta la pena da espiare COGNOME ha vissuto in libertà dal 2018 e, nonostante ciò, non ha mai commesso reati.
La motivazione risulta manifestamente illogica e carente anche quando il Tribunale ha fatto riferimento a collegamenti con la criminalità organizzata, che tuttavia non sono in alcun modo provati e sono solo presunti dalle forze dell’ordine, sulla base della gravità dei fatti in esecuzione.
Nemmeno può essere posta a fondamento del diniego della misura alternativa la mancata riparazione del danno, peraltro ancorata a un giudizio negativo sul fatto che il condannato contribuisca al pagamento del mutuo della figlia, circostanza che non è idonea a fondare un giudizio di perdurante volontà antisociale ma è semmai indice di sensibilità per le esigenze familiari.
In ordine all’attività lavorativa, ancora, il Tribunale non tiene conto della documentazione che era stata prodotta, da cui risulta che l’attività lavorativa in questione viene svolta dal richiedente sin dal 2018 con funzioni di controllore di diversi cantieri di lavori e che egli possa svolgere questa attività anche in modalità “smart working”.
Infine, la motivazione è contraddittoria e manifestamente illogica anche con riferimento all’attività di volontariato, perché non tiene conto della certificazion rilasciata alla parrocchia dalla quale si evincono modalità e durata delle attività di volontariato svolte.
Con requisitoria scritta trasmessa il 4.4.2025, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini e per le ragioni di seguito esposte.
Il Tribunale di Sorveglianza fonda la decisione di rigetto dell’istanza di affidamento in prova al servizio sociale innanzitutto sui precedenti penali di NOME COGNOME.
In primo luogo, viene messa in risalto la circostanza che egli, condannato nel 2009 per reati in materia di stupefacenti e avendo ottenuto in relazione a tale condanna la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale il 6.12.2012, ha commesso i reati oggetto della condanna attualmente in esecuzione durante il regime di affidamento, che infatti si concludeva con esito non positivo.
In secondo luogo, l’ordinanza impugnata evidenzia la gravità dei reati per i quali COGNOME si trova in espiazione pena, e cioè due corruzioni, consistite nella reiterata corresponsione tra il 2011 e il 2014 di somme periodiche di denaro a pubblici ufficiali, in concorso con altri soggetti gestori di cooperative di alloggi d destinare ad ospitare immigrati, al fine di ottenere agevolazioni per le cooperative medesime.
Si tratta di elementi di indubbio rilievo, che tuttavia devono essere valutati alla luce del principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, non possono, di per sé, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna e i precedenti penali (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924 01).
Pur non potendosi prescindere da tali elementi, è necessaria, nondimeno, la valutazione del comportamento del condannato successivo ai fatti per i quali è stata pronunciata la condanna, onde verificare la concreta sussistenza di una positiva evoluzione della sua personalità, tale da rendere possibile il reinserimento sociale mediante la misura alternativa richiesta (Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285855 – 01; Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., Rv. 273985 – 01).
La prognosi sul probabile reinserimento sociale del detenuto deve tenere conto non solo degli elementi relativi alla natura e modalità del reato commesso, dei precedenti penali, delle pendenze processuali e di altre eventuali indicazioni provenienti dalle informative di PS, ma anche ed in pari grado della condotta carceraria mantenuta e dei risultati della indagine socio-familiare operate dalle strutture carcerarie di osservazione (Sez. 1, n. 18437 del 5/4/2013, COGNOME, Rv. 255850 – 01), per verificare concretamente se sussistano, o non, sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa (Sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009, COGNOME, Rv. 244322 – 01).
Il Tribunale di Sorveglianza si è fatto carico di tale verifica, giungendo alla conclusione che nessuno dei fattori ulteriori (salva la disponibilità di un domicilio idoneo) potesse assumere una valenza favorevole al condannato e all’accoglimento della sua istanza.
In questa verifica, l’ordinanza impugnata si confronta, innanzitutto, con il contenuto della relazione dell’UEPE del 12.2.2025, avente ad oggetto l’esito
dell’indagine sociale svolta conseguentemente alla domanda di affidamento in prova.
La relazione, allegata a fini di autosufficienza al ricorso, dà atto, tra l’altr della composizione del nucleo familiare del condannato e della circostanza che egli lavori con contratto a tempo indeterminato dal 7.12.2018, svolgendo anche dal 20.1.2025 un’attività di volontariato. In questo contesto, si afferma pure che COGNOME «sembra assumere una sincera revisione critica delle passate scelte devianti e di tutte le problematiche del passato legate anche all’uso di sostanze stupefacenti».
L’UEPE, quindi, conclude che «tale quadro personologico consente di formulare, allo stato attuale, un giudizio favorevole ad una misura alternativa più ampia come l’affidamento in prova al servizio sociale, che presuppone un già compiuto processo di condivisione delle regole del vivere sociale rispetto al quale il soggetto, in presenza di analisi critiche delle cause della devianza, sembra aver compiuto significativi passi in avanti (…) Nel quadro suesposto, la più ampia misura richiesta appare idonea a far fronte alle esigenze di prevenzione concorrenti, al contempo, al recupero sociale attraverso il reinserimento sociale e lavorativo».
Il Tribunale di Sorveglianza, di fatto, non tiene in alcuna considerazione la relazione dell’UEPE, giudicandola anzi incomprensibile e contraddittoria, in quanto esprime una valutazione in chiave meramente ipotetica («esplicata dalla parola “sembra”») e in parte basata sulle sole affermazioni del condannato.
Non v’è dubbio che, come stigmatizzato dal Tribunale di Sorveglianza, le osservazioni dell’UEPE sulle prospettive di reinserimento sociale del condannato siano affidate, infine, a proposizioni che dal punto di vista semantico si connotano per una certa titubanza e non si sostanziano nell’espressione di un giudizio ben definito.
Tuttavia, alla sua posizione finale – per quanto manifestata con tratti di perplessità – l’UEPE approda dopo aver passato in rassegna una serie di elementi di fatto, per la gran parte successivi alla commissione dei reati per i quali è in corso di esecuzione la pena detentiva.
Il parere in questione non è vincolante e tuttavia, in quanto espresso sulla base di dati puntualmente evidenziati, il suo superamento necessita della esplicitazione delle ragioni contrarie che abbiano convinto l’autorità giudiziaria a disattenderlo o comunque a non tenerne conto.
Si intende dire che, al di là delle pur legittime riserve sul modo di espressione linguistica di alcuni passaggi della relazione, l’ordinanza impugnata depotenzia gli elementi su cui l’UEPE ha fondato il proprio giudizio, senza
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confrontarsi del tutto con le emergenze documentali e con la parte descrittiva della relazione stessa.
Lo si evidenzia, in quanto l’idoneità della misura alternativa a realizzare la rieducazione del reo deve essere valutata in base alle risorse di cui in concreto il condannato potrà valersi durante la prova, sia in ordine alle attività trattamentali che potrebbe svolgere (lavorative, riparative, solidaristiche), sia in merito al tessuto sociale che lo sosterrebbe in ambiente libero.
Nella prospettiva appena indicata, la relazione aveva segnalato che il condannato svolge ormai da circa sette anni e mezzo un’attività lavorativa a tempo indeterminato.
L’ordinanza, invece, non vi annette alcuna particolare valenza e, anzi, ne individua un aspetto critico nel fatto che si tratti di attività itinerante svolgersi anche nel territorio della provincia di Roma, ciò che renderebbe difficoltoso il controllo delle forze dell’ordine sull’osservanza della misura Tuttavia, il dato è contraddetto dalla comunicazione all’UEPE del datore di lavoro in data 28.11.2024, da cui risulta che le mansioni di COGNOME si svolgono “sul territorio comunale”, mentre il precedente riferimento a lavori svolti nel territori della provincia è stato operato nella nota in questione solo a titolo esemplificativo dei precedenti impegni lavorativi del condannato.
Il Tribunale di Sorveglianza, poi, non riserva alcuna considerazione alla situazione familiare del condannato, che invece nella relazione viene indicata come una possibile risorsa e come un punto di riferimento affettivo, mentre reputa strumentale l’attività di volontariato cui si dedica COGNOME, in quanto iniziata solo un mese prima dell’udienza di decisione della richiesta di misura alternativa.
Il punto di maggiore dissenso rispetto al giudizio dell’UEPE è rappresentato dall’atteggiamento del condannato rispetto ai reati in esecuzione, che l’ordinanza definisce “deludente e contraddittorio”, laddove la relazione parla, sia pure nei termini non propriamente inconfutabili cui si faceva prima riferimento, di una revisione critica e di un processo di condivisione delle regole del vivere sociale.
Il Tribunale di Sorveglianza valorizza, da questo punto di vista, il fatto che nel processo COGNOME non abbia ammesso la sua partecipazione psicologica al fatto materiale di corruzione e che ancora nell’istanza abbia ribadito tale versione. Di contro, l’UEPE riporta nella sua relazione che il condannato «oggi riconosce le proprie responsabilità nei reati a lui ascritti» e che «ci tiene a precisare che l’attuale stile di vita è oggi caratterizzato dall’impegno con il lavoro e con gli affetti familiari e che non ha più legami amicali con le persone del
passato che in qualche modo appartenevano ad un contesto deviante e con le altre persone coinvolte nel processo».
L’ordinanza non tiene conto di queste affermazioni, sostanzialmente considerandole non provate (come quando, per esempio, dubita del cessato uso di stupefacenti), ma in tal modo finendo per ritenere pressoché pregiudizialmente inaffidabile il carattere specialistico dell’osservazione di personalità prevista dall’art. 47, comma secondo, ord. pen., e la sua inidoneità a fornire al giudice di sorveglianza gli elementi di conoscenza per formulare il suo giudizio prognostico.
In questo contesto, l’ordinanza corrobora il suo apprezzamento negativo sulle prospettive di rieducazione del reo (e indirettamente sul risultato della osservazione di personalità) con alcuni elementi di dubbia consistenza oggettiva o di limitata valenza prognostica.
Da questo punto di vista, per esempio, il riferimento al fatto che le forze dell’ordine non escludano eventuali collegamenti di COGNOME con la criminalità organizzata non ha evidentemente alcuna rilevanza, dal momento che la nota dei Carabinieri di San Cesareo non contiene alcun dato oggettivo e verificabile da cui è stato tratta questa affermazione, già di per sé intrinsecamente priva di concretezza.
Né ha rilievo ostativo la circostanza che COGNOME non avrebbe risarcito i danni derivanti dai reati (risulta dalla sentenza che alle parti civili costituite fos stata assegnata una provvisionale esecutiva di complessivi 200.000 euro).
La concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale non è subordinata al risarcimento del danno in favore della vittima, difettando una disposizione prescrittiva in tal senso (Sez. 1, n. 30785 del 9/7/2001, Iegiani, Rv. 219606 – 01); anzi, ai sensi dell’art. 47, comma settimo, ord. pen., l’adoperarsi del condannato in favore delle vittime del reato rientra proprio fra le possibili prescrizioni applicabili al soggetto nei confronti del quale l’affidamento sia stato invece disposto (Sez. 1, n. 15098 dell’8/3/2001, COGNOME, Rv. 218405 – 01).
In questo ambito, peraltro, non è un dato marginale quello attestato dall’Uepe secondo cui a COGNOME è stato pignorato un quinto dello stipendio per pagare le spese processuali.
In definitiva, l’ordinanza impugnata si concentra principalmente sul passato criminale di COGNOME, dal quale trae elementi significativi ai fini dell decisione sulla concessione del beneficio penitenziario richiesto.
Di contro, la valutazione del Tribunale è insufficiente in ordine alla situazione del condannato nel periodo successivo ai fatti, fino all’attualità, e non tiene nel dovuto conto il dato che i reati commessi – così come la inosservanza delle
prescrizioni del precedente affidamento in prova che gli era stato concesso risalgono al più tardi al 2014: da allora, COGNOME non ha commesso altri reati e ha intrapreso una stabile attività lavorativa.
La motivazione è da considerarsi carente e contraddittoria nella parte in cui considera completamente recessivi gli ulteriori elementi positivi evidenziati nella relazione dell’UEPE e in cui ne sottovaluta la portata significativa in relazione alle prospettive di rieducazione e di reinserimento sociale del condannato.
In questo modo, non è stata fatta corretta applicazione del principio secondo cui, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto dell’affidamento in prova, non può richiedersi, positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924 – 01).
L’affidamento in prova al servizio sociale non presuppone una totale assenza di pericolosità sociale del condannato, realizzabile solo attraverso il completamento del processo di rieducazione, ma postula più limitatamente l’esistenza di elementi dai quali possa desumersi l’avvenuto inizio di detto processo, da riguardarsi come concettualmente identico per qualsiasi condannato, indipendentemente dalla natura del reato commesso (Sez. 1, n. 688 del 5/2/1998, COGNOME, Rv. 210389 – 01). In questa valutazione, deve essere particolarmente considerata la prospettiva che il condannato acquisisca la consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e di conformare, in genere, il proprio agire a tale rispetto.
Sotto questo profilo, in sostanza, l’ordinanza non ha vagliato la considerevole distanza cronologica dai fatti commessi, ma soprattutto il decorso di un lungo periodo nel quale il condannato ha dato segnali concretamente indicativi di una riacquisita capacità di convivere nel consorzio libero.
È possibile, cioè, individuare una serie di elementi positivi, quali l’assenza di nuove denunce, una stabile attività lavorativa da sette anni, un buon contesto familiare di riferimento, un inizio di disconoscimento delle condotte devianti passate e di adesione ai valori socialmente condivisi, che il Tribunale di Sorveglianza non ha adeguatamente considerato quando ha formulato una prognosi di non proficuità dell’affidamento e ha escluso la sussistenza di una prospettiva risocializzante.
Ne consegue, pertanto, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma, per un nuovo esame alla luce dei principi sopra menzionati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di
Sorveglianza di Roma.
Così deciso il 9.5.2025