Affidamento in Prova: Quando un Lavoro Non Basta a Cancellare il Passato
L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, pensata per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione complessa da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come elementi quali un passato criminale significativo e pendenze giudiziarie possano prevalere su aspetti apparentemente positivi, come l’aver trovato un nuovo impiego, nel negare il beneficio.
I Fatti di Causa: Il Rigetto dell’Istanza
Il caso esaminato riguarda il ricorso di un condannato contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bari, che aveva respinto la sua richiesta di ammissione all’affidamento in prova. Il ricorrente sosteneva che il Tribunale avesse commesso un errore, concentrandosi eccessivamente sul suo passato e sulla presunta ‘strumentalità’ del rapporto di lavoro avviato di recente, senza dare il giusto peso agli elementi positivi attuali necessari per un corretto giudizio prognostico.
La Valutazione dell’Affidamento in Prova e il Peso dei Precedenti
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale di Sorveglianza né illogica né viziata. I giudici supremi hanno sottolineato che la valutazione per la concessione di una misura alternativa deve essere globale e non può limitarsi a considerare solo gli ultimi eventi favorevoli.
Il Lavoro ‘Strumentale’ e la Non Garanzia di Ravvedimento
Uno dei punti centrali del ricorso era la critica alla svalutazione del nuovo rapporto di lavoro. La Cassazione ha spiegato che non è manifestamente illogico considerare con scetticismo un impiego trovato proprio in prossimità della richiesta della misura. Il fatto che il condannato avesse già lavorato in passato, senza che ciò gli impedisse di commettere altri reati, rafforzava la tesi del Tribunale: il lavoro, da solo, non costituisce una garanzia sufficiente di non recidivanza.
Gli Elementi Negativi Prevalenti
La Corte ha evidenziato come il Tribunale di Sorveglianza avesse correttamente posto l’accento su una serie di elementi negativi che, nel loro complesso, delineavano un quadro di personalità non idoneo a un percorso esterno al carcere. Tra questi figuravano:
* Numerosi e gravi precedenti penali.
* Pendenze processuali per fatti commessi dopo il reato per cui si stava eseguendo la pena.
* Informazioni di polizia sfavorevoli.
* Esiti negativi di precedenti misure alternative già godute.
* La sottoposizione a una misura di prevenzione personale.
Questi fattori, considerati insieme, costituiscono fonti di conoscenza legittime e fondamentali per valutare la probabile riuscita dell’affidamento in prova.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Cassazione si fonda sul principio che il giudizio per la concessione di una misura alternativa non può ignorare il percorso di vita complessivo del condannato. La decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata ritenuta logica perché ha bilanciato correttamente tutti gli elementi a disposizione. La conclusione è che gli aspetti negativi del profilo del ricorrente erano talmente preponderanti da giustificare un giudizio di inidoneità della misura. Secondo i giudici, in un simile contesto, il trattamento intramurario diventa necessario affinché il condannato possa acquisire una reale consapevolezza del disvalore delle sue azioni illecite, un obiettivo che l’affidamento in prova non sembrava in grado di garantire.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nell’esecuzione penale: la concessione di misure alternative come l’affidamento in prova non è un diritto, ma il risultato di una valutazione discrezionale e approfondita del giudice. Dimostra che elementi positivi recenti, come un nuovo lavoro, possono essere insufficienti se contrapposti a una storia criminale radicata e a indicatori di pericolosità sociale ancora attuali. Per i condannati, ciò significa che la dimostrazione di un reale e stabile cambiamento deve essere supportata da elementi concreti e duraturi, che vadano oltre soluzioni estemporanee potenzialmente finalizzate solo a ottenere il beneficio.
Avere un nuovo lavoro garantisce l’accesso all’affidamento in prova?
No. Secondo l’ordinanza, trovare un lavoro, specialmente se in prossimità della richiesta, non è di per sé una garanzia sufficiente contro il rischio di recidiva, soprattutto se il condannato ha già avuto esperienze lavorative in passato che non gli hanno impedito di continuare a delinquere.
Quali elementi considera il giudice per concedere una misura alternativa come l’affidamento in prova?
Il giudice compie una valutazione complessiva che include i precedenti penali (numero e gravità), le pendenze processuali, le informazioni di polizia, l’esito di eventuali misure alternative già godute in passato e l’eventuale sottoposizione a misure di prevenzione. Questi elementi negativi vengono bilanciati con quelli positivi attuali.
Perché in questo caso è stata ritenuta necessaria la detenzione in carcere?
La Corte ha ritenuto che la detenzione fosse necessaria perché gli elementi negativi (gravi precedenti, pendenze, etc.) dimostravano che il condannato non era ancora pronto per un percorso di reinserimento esterno. Il carcere è stato visto come l’unico strumento idoneo a fargli acquisire consapevolezza del disvalore delle sue condotte illecite.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14597 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ACQUAVIVA DELLE FONTI il 28/07/1990
avverso l’ordinanza del 17/01/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto dal difensore di COGNOME NOME avverso l’ordinanza con cui in data 17.1.2023 il Tribunale di Sorveglianza di Bari ha rigettato un’istanza di ammissione del condannato alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale;
Evidenziato che, con l’unico motivo di ricorso, si deducono la violazione dell’art. 47-ter Ord. Pen. nonché la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale di Sorveglianza stigmatizza la strumentalità del rapporto di lavoro dell’istante e si concentra sul passato del condannato anziché effettuare un giudizio prognostico fondato sugli attuali elementi positivi;
Ritenuto, in primo luogo, che la motivazione dell’ordinanza impugnata sulla strumentalità del lavoro non può essere considerata manifestamente illogica, giacché i giudici hanno operato un ragionevole riferimento al fatto che l’avere il condannato trovato un lavoro in prossimità della proposizione dell’istanza di misura alternativa non rappresenti garanzia di non recidivanza, atteso che COGNOME aveva già lavorato negli anni precedenti senza che ciò gli avesse impedito di continuare a delinquere;
Ritenuto, in secondo luogo, che il Tribunale di Sorveglianza ha opportunamente messo in evidenza i numerosi e gravi precedenti penali, le pendenze processuali per fatti successivi a quello relativo alla pena da eseguire, le informazioni di polizia, gli esiti delle misure alternative alla detenzione già godute, la sottoposizione medio tempore a misura di prevenzione personale, che indubbiamente costituiscono tra le fonti di conoscenza – elementi da tenere in considerazione nella valutazione della prevedibile proficuità dell’affidamento;
Considerato, quindi, che, alla luce di tale rilievo, è nient’affatto illogica l conclusione dell’ordinanza impugnata, secondo cui si tratti di elementi negativi che legittimano un giudizio di non idoneità della misura alternativa nella prospettiva di un recupero sociale e della prevenzione di recidiva e che, di contro, dimostrano la necessità del trattamento intramurario affinché il condannato acquisisca consapevolezza del disvalore delle condotte illecite poste in essere;
Considerato, pertanto, che il ricorso si limita a sollecitare una non consentita lettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata senza confutarne specificamente le argomentazioni, sicché deve essere
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dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16.1.2025