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Affidamento in prova: il lavoro non è un requisito

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21593/2024, ha annullato l’ordinanza che revocava l’affidamento in prova a un soggetto che aveva perso il lavoro per cause non a lui imputabili. La Corte ha ribadito che lo svolgimento di un’attività lavorativa non è un requisito indispensabile per la misura, dovendo il giudice valutare la personalità del condannato nel suo complesso, includendo anche l’impegno in attività di volontariato.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: la perdita del lavoro non ne causa la revoca

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale del condannato. Ma cosa succede se, durante questo percorso, la persona perde il lavoro? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21593/2024) offre un chiarimento cruciale: la mancanza di un’occupazione, specialmente se incolpevole, non può essere l’unico motivo per revocare la misura e sostituirla con la detenzione domiciliare. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Un uomo, ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova, si era visto revocare il beneficio dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze. La ragione? Aveva perso il lavoro per motivi che non dipendevano dalla sua volontà e, nonostante i suoi sforzi, non era riuscito a trovare una nuova occupazione. Per sopperire a questa mancanza e continuare il suo percorso di risocializzazione, aveva iniziato un’attività di volontariato per sei ore settimanali.

Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza aveva ritenuto questa attività insufficiente, definendola una “mancanza di un lavoro o di una consistente attività di volontariato”, e aveva sostituito l’affidamento in prova con la detenzione domiciliare. Contro questa decisione, l’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la valutazione del giudice fosse stata errata e contraria ai principi consolidati in materia.

L’analisi della Cassazione sull’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale: l’affidamento in prova mira a favorire un processo di recupero sociale e a prevenire il pericolo di recidiva. Per raggiungere questo obiettivo, la valutazione del giudice deve essere completa ed esauriente, non potendosi basare su un singolo elemento.

La giurisprudenza costante della Corte, infatti, ha sempre sostenuto che lo svolgimento di un’attività lavorativa, pur essendo un importante mezzo di reinserimento, non costituisce una condizione indispensabile per l’applicazione della misura. La sua mancanza, da sola, non può essere un ostacolo insormontabile.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della sentenza della Cassazione è chiara e si fonda su una visione complessiva del percorso del condannato. La ratio decidendi del provvedimento impugnato è stata ritenuta in contrasto con l’orientamento consolidato della Corte. Il Tribunale di Sorveglianza ha commesso un duplice errore:

1. Ha dato un peso eccessivo e assorbente alla perdita del lavoro, ignorando che questa fosse avvenuta per cause “pacificamente non allo stesso riferibili”.
2. Ha omesso di considerare adeguatamente l’attività di volontariato svolta dal condannato, che rappresentava un chiaro segnale della sua volontà di proseguire nel percorso di reinserimento.

La Cassazione ha sottolineato che il giudizio prognostico favorevole al reinserimento deve basarsi su una pluralità di indicatori: l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, l’attaccamento al contesto familiare e, appunto, l’eventuale impegno in attività socialmente utili come il volontariato. Il Tribunale di Sorveglianza ha dichiarato cessata la misura basandosi unicamente sulla mancanza di lavoro, senza valutare l’alternativa del volontariato che era “non solo generica o ipotetica, ma documentata adeguatamente”.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine dell’esecuzione penale: la valutazione del percorso di risocializzazione deve essere personalizzata e onnicomprensiva. Decidere del futuro di una persona basandosi esclusivamente sulla presenza o assenza di un contratto di lavoro, senza considerare le circostanze e gli altri sforzi compiuti, è una visione riduttiva e contraria allo spirito della legge. La Corte di Cassazione ha quindi annullato l’ordinanza, rinviando gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che dovrà ora deliberare nuovamente tenendo conto dei principi enunciati, ovvero valutando tutti gli elementi a disposizione per giudicare il percorso di reinserimento del condannato.

La perdita del lavoro comporta automaticamente la revoca dell’affidamento in prova?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la perdita del lavoro, specialmente se avvenuta per cause non imputabili al condannato, non può essere l’unica e determinante ragione per revocare la misura. Il giudice deve effettuare una valutazione complessiva.

L’attività di volontariato può essere considerata ai fini del mantenimento dell’affidamento in prova?
Sì. Lo svolgimento di un’attività di volontariato documentata è un elemento positivo che deve essere adeguatamente considerato dal giudice, in quanto dimostra la volontà del soggetto di reinserirsi positivamente nella società, anche in assenza di un’attività lavorativa retribuita.

Quali elementi deve valutare il giudice per decidere sull’affidamento in prova?
Il giudice deve valutare la personalità del soggetto in modo completo, considerando la condotta tenuta dopo la condanna, i comportamenti attuali, l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi, i legami familiari e ogni altro indicatore di un effettivo processo di recupero sociale, come l’impegno nel volontariato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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