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Affidamento in prova: il lavoro non è un requisito

La Corte di Cassazione annulla la decisione di un Tribunale di Sorveglianza che aveva negato l’affidamento in prova a un detenuto esclusivamente per la mancanza di una prospettiva lavorativa. La Suprema Corte ribadisce che il lavoro è solo uno dei tanti elementi da considerare nel giudizio complessivo sulla possibilità di risocializzazione del condannato.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Avere un Lavoro non è un Requisito Indispensabile

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la mancanza di un’attività lavorativa non può essere, da sola, motivo sufficiente per negare questo beneficio. La valutazione del giudice deve essere completa e considerare tutti gli aspetti della personalità e della condotta del soggetto.

I Fatti del Caso: La Richiesta di un Detenuto

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un uomo, in regime di detenzione domiciliare, che aveva presentato istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Questa misura, prevista dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, consente di scontare la pena residua in libertà, seguendo un programma di rieducazione e reinserimento sotto la supervisione dei servizi sociali.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza di Lecce aveva rigettato la richiesta. La motivazione si basava su un unico punto: il richiedente non aveva prospettato lo svolgimento di alcuna attività lavorativa o socialmente utile. Secondo il Tribunale, questa assenza impediva di formulare un giudizio prognostico positivo circa l’esistenza di una “buona prospettiva risocializzante”, ritenuta necessaria per la concessione del beneficio. In sostanza, per il giudice di primo grado, senza un lavoro non c’era possibilità di reinserimento.

Le Motivazioni del Ricorso in Cassazione

Il difensore del condannato ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale fosse errata e contraddittoria. La critica principale era che il provvedimento si fondava esclusivamente sulla mancanza di una prospettiva lavorativa, ignorando un principio consolidato nella giurisprudenza e recentemente recepito anche dal legislatore. Il lavoro, secondo la difesa, è solo uno dei tanti parametri da valutare, non l’unico né il più importante.

Le Motivazioni della Cassazione sull’Affidamento in Prova

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno chiarito che il giudizio per la concessione dell’affidamento in prova non può basarsi su un singolo elemento, ma deve scaturire da una valutazione complessiva e sintetica di tutti gli indicatori disponibili.

Il Tribunale di Sorveglianza, pur avendo considerato i precedenti penali e la buona condotta del soggetto durante la detenzione domiciliare (attestata dalle relazioni delle forze dell’ordine), ha fondato la sua decisione finale “sull’assorbente considerazione della mancata prospettazione di attività lavorativa”.

Questo approccio è stato giudicato inadeguato. La Cassazione ha ribadito che lo svolgimento di un’attività lavorativa non è un requisito indefettibile, ma solo “uno degli aspetti idonei a concorrere alla formazione del giudizio prognostico”. Il giudice di merito ha il dovere di apprezzare tutti gli elementi a disposizione, sia positivi che negativi, per formulare una prognosi completa sul percorso di reinserimento del condannato.

Tra gli indicatori positivi da considerare vi sono:
* L’assenza di nuove denunce.
* Il ripudio delle condotte devianti passate.
* L’adesione a valori socialmente condivisi.
* L’attaccamento al contesto familiare.

Inoltre, la stessa legge (art. 47 comma 2 bis ord. pen.) prevede alternative al lavoro retribuito, come il volontariato o attività di pubblica utilità, a dimostrazione che l’impegno sociale del condannato può manifestarsi in varie forme.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione rafforza la finalità rieducativa della pena. La decisione di concedere o meno una misura alternativa come l’affidamento in prova deve basarsi su una valutazione globale della persona, non su un singolo aspetto come la sua condizione lavorativa. Negare il beneficio solo perché manca un’offerta di lavoro significa creare una barriera insormontabile per molti, tradendo lo spirito della legge. Il Tribunale di Sorveglianza dovrà quindi riesaminare il caso, tenendo conto di tutti gli indicatori disponibili per valutare se il percorso di emenda del condannato sia sufficientemente avviato e se la misura alternativa possa contribuire efficacemente alla sua risocializzazione e a prevenire future ricadute nel reato.

È necessario avere un lavoro per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo svolgimento di un’attività lavorativa non è un requisito indispensabile per l’accesso alla misura, ma costituisce solo uno degli aspetti che il giudice deve valutare per formulare il suo giudizio prognostico.

Quali elementi valuta il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice deve compiere una valutazione complessiva basata su tutti gli elementi disponibili. Oltre alla prospettiva lavorativa, deve considerare la condotta del soggetto, l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte passate, l’adesione a valori socialmente condivisi, i legami familiari e la possibilità di svolgere attività di volontariato o di pubblica utilità.

Cosa succede se il Tribunale nega l’affidamento basandosi solo sulla mancanza di lavoro?
Come avvenuto in questo caso, la sua decisione è illegittima per inadeguatezza della motivazione. Il provvedimento può essere impugnato davanti alla Corte di Cassazione, la quale può annullarlo con rinvio, ordinando al Tribunale di compiere una nuova e più completa valutazione del caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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