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Affidamento in prova: i requisiti di affidabilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato contro il diniego dell’affidamento in prova. La decisione conferma la valutazione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva negato il beneficio a causa di precedenti penali, mancanza di lavoro e scarsa collaborazione con i servizi sociali, elementi che dimostravano l’inaffidabilità del soggetto per la concessione della misura alternativa.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando la Mancanza di Affidabilità Blocca la Misura Alternativa

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento cruciale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato, offrendo un’alternativa concreta al carcere. Tuttavia, la sua concessione non è automatica, ma subordinata a una rigorosa valutazione da parte del Tribunale di Sorveglianza. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci ricorda quali sono i presupposti imprescindibili per accedere a questo beneficio, sottolineando l’importanza della completa affidabilità del richiedente.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda il ricorso presentato da un uomo contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, che gli aveva negato la misura dell’affidamento in prova. Il Tribunale aveva basato il suo diniego su una serie di elementi negativi: i precedenti penali dell’interessato, le informazioni sfavorevoli fornite dai Carabinieri (che includevano precedenti di polizia per fatti commessi fino a due anni prima), l’assenza di un’attività lavorativa e una scarsa collaborazione con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), il quale aveva comunicato di non essere riuscito a svolgere gli accertamenti richiesti.

Contro questa decisione, l’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, chiedendo di riesaminare la sua posizione.

L’Analisi della Corte di Cassazione e l’Affidamento in Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e finalizzato a una semplice rivalutazione dei fatti, attività che non rientra nelle competenze del giudice di legittimità. Gli Ermellini hanno stabilito che il Tribunale di Sorveglianza aveva agito correttamente, fondando la sua decisione su una motivazione logica e coerente, senza incorrere in errori nell’applicazione della legge penitenziaria.

Il cuore della decisione risiede nel concetto di “giudizio prognostico”: il giudice di merito deve prevedere, sulla base di elementi concreti, se il condannato sia meritevole di fiducia e se la misura alternativa sia idonea a prevenire la commissione di nuovi reati. In questo caso, la prognosi è stata negativa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha confermato che la valutazione del Tribunale di Sorveglianza era ben fondata, poiché basata su univoci indicatori soggettivi e informazioni negative. Gli elementi considerati sono stati:

1. I precedenti penali e di polizia: La presenza di un passato criminale, anche recente, è un fattore che pesa negativamente sulla valutazione di affidabilità.
2. L’assenza di un percorso di reinserimento: La mancanza di un’attività lavorativa o di altre iniziative a carattere risocializzante indicava un’assenza di impegno concreto nel cambiare stile di vita.
3. La scarsa collaborazione istituzionale: Il fatto che l’UEPE non sia riuscito a svolgere i suoi compiti per la mancata collaborazione dell’interessato è stato interpretato come un segnale sintomatico e particolarmente grave.

Il Tribunale ha correttamente concluso che l’affidamento in prova presuppone una “completa affidabilità” del soggetto, che nel caso di specie non era stata affatto dimostrata. La misura alternativa non poteva quindi raggiungere le sue finalità di prevenzione speciale.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere l’affidamento in prova non è sufficiente l’assenza di una pericolosità sociale attuale, ma è necessario dimostrare attivamente di aver intrapreso un percorso di cambiamento. Il condannato deve fornire prove concrete della sua affidabilità, come la ricerca di un lavoro, la partecipazione a programmi di recupero e, soprattutto, la piena e leale collaborazione con le istituzioni preposte al suo reinserimento. Un ricorso generico, che non contesta specifiche violazioni di legge ma si limita a chiedere un nuovo esame dei fatti, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Per quale motivo principale è stato negato l’affidamento in prova in questo caso?
L’affidamento in prova è stato negato perché il richiedente non è stato ritenuto sufficientemente affidabile. Il giudice ha basato questa valutazione su precedenti penali, informazioni negative delle forze dell’ordine, assenza di un’attività lavorativa e scarsa collaborazione con i servizi sociali (UEPE).

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava specifici errori di diritto del provvedimento precedente, ma mirava a una nuova valutazione dei fatti già esaminati dal Tribunale di sorveglianza, operazione non consentita in sede di legittimità.

Cosa deve dimostrare un condannato per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale?
Secondo la decisione, il condannato deve dimostrare una “completa affidabilità”. Ciò si ottiene non solo con l’assenza di comportamenti negativi, ma anche attraverso elementi positivi concreti come un’attività lavorativa o altre attività risocializzanti e una piena collaborazione con gli uffici preposti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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