Affidamento in Prova: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, mirando al reinserimento del condannato. Tuttavia, l’accesso a tale beneficio è subordinato a una valutazione discrezionale del Tribunale di Sorveglianza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili del ricorso contro una decisione di diniego, soprattutto quando le critiche sollevate non riguardano violazioni di legge ma un riesame dei fatti.
Il Caso in Analisi: Dalla Detenzione Domiciliare al Ricorso
Il caso esaminato trae origine dalla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Milano, che aveva rigettato l’istanza di affidamento in prova presentata da un condannato. Al suo posto, il Tribunale aveva confermato la misura, più restrittiva, della detenzione domiciliare, già concessa in via provvisoria. Insoddisfatto della decisione, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica.
I motivi del ricorso
Il ricorrente, tramite il suo difensore, ha contestato la valutazione del Tribunale di Sorveglianza su tre punti principali:
1. L’erronea convinzione che il condannato non si fosse assunto alcuna responsabilità per i reati commessi.
2. La mancata assunzione di informazioni necessarie riguardo all’attività lavorativa da lui svolta.
3. La mancata consultazione del centro psicosociale che lo aveva in carico.
In sostanza, il ricorso mirava a ottenere dalla Corte di Cassazione una nuova valutazione degli elementi di fatto già esaminati dal giudice di sorveglianza.
Le Motivazioni della Cassazione: il Limite tra Fatto e Diritto
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una lezione fondamentale sulla distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità. La Corte ha stabilito che le censure sollevate dal ricorrente costituivano “mere doglianze versate in fatto”, ovvero critiche all’apprezzamento delle circostanze concrete, che non possono trovare spazio nel giudizio di Cassazione. Quest’ultimo, infatti, è limitato al controllo della corretta applicazione delle norme di diritto e alla coerenza logica della motivazione, senza poter entrare nel merito delle scelte valutative del giudice precedente.
Il Tribunale di Sorveglianza, secondo la Cassazione, aveva fornito una motivazione corretta e priva di vizi logici. Aveva evidenziato come:
– Il condannato non avesse mostrato alcuna assunzione di responsabilità per i gravi fatti commessi.
– Fosse impossibile procedere a una verifica completa dell’attività lavorativa dichiarata.
Di conseguenza, la scelta di mantenere la misura più contenitiva della detenzione domiciliare, rispetto a un affidamento in prova ritenuto “troppo ampio” in quella fase, era apparsa logica e giustificata. Gli argomenti del ricorrente sono stati definiti “assertivi e apodittici”, cioè affermati senza un adeguato supporto probatorio o giuridico, e quindi inidonei a scalfire la tenuta logica della decisione impugnata.
Le Conclusioni: Criteri per un Ricorso Efficace
La decisione sottolinea un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Per avere successo, un ricorso deve evidenziare vizi specifici, come una violazione di legge o una motivazione palesemente illogica o contraddittoria, e non limitarsi a proporre una lettura alternativa delle prove. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità. Questa ordinanza ribadisce l’ampia discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza nel valutare la personalità del condannato e la sua idoneità a beneficiare di misure alternative, una valutazione che può essere censurata in sede di legittimità solo in presenza di vizi giuridici evidenti.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’affidamento in prova?
Perché le censure mosse dal ricorrente erano critiche sulla valutazione dei fatti (doglianze in fatto) e non su errori di diritto. La Corte di Cassazione non può riesaminare il merito delle decisioni, ma solo la corretta applicazione della legge.
Quali elementi ha considerato il Tribunale di Sorveglianza per negare l’affidamento in prova?
Il Tribunale ha basato la sua decisione su due elementi principali: la mancata assunzione di responsabilità da parte del condannato per i gravi reati commessi e l’impossibilità di verificare compiutamente l’attività lavorativa che egli sosteneva di svolgere.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende. La decisione impugnata diventa definitiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5793 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5793 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MONCALIERI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, che era presentata da NOME COGNOME, accordandogli invece la detenzione domiciliare già concessa in via provvisoria e, infine, confermando le prescrizioni già in vigo
Ricorre per cassazione NOME COGNOMECOGNOME a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Erra il Tribunale di sorveglianza, laddove ritiene ch condanNOME non si sia assunto alcuna responsabilità, in ordine ai reati commessi non risultano assunte, inoltre, le necessarie informazioni, in ordine all’at lavorativa espletata dal soggetto, né è stato consultato, infine, il psicosociale che lo ha in carico.
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costitu da mere doglianze versate in fatto. Dette critiche, altresì, sono pedissequamen riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – sec un corretto argomentare giuridico, del tutto privo di spunti di illogic contraddittorietà – dal Tribunale di sorveglianza di Milano. Invero, nell’impugna provvedimento si sottolinea come il condanNOME non si sia assunto alcuna responsabilità, in ordine ai gravi fatti commessi; a ciò si aggiunga, prosegu provvedimento avversato, l’impossibilità di procedere a compiuta verifica, i ordine alla dedotta attività lavorativa. Evidenzia il Tribunale di sorveglia quindi, come l’invocata misura dell’affidamento in prova appaia al momento troppo ampia, apparendo invece preferibile il mantenimento della più contenitiva misura della detenzione domiciliare. L’impugnazione, a fronte di tale motivazione, spende unicamente argomenti assertivi e apodittici, non atti a scalfire la tenuta lo dell’impugnata ordinanza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.