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Affidamento in prova: i criteri della Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38282/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale contro la concessione dell’affidamento in prova a un condannato. La Corte ha ribadito che, per concedere la misura, è sufficiente dimostrare l’avvio di un percorso di revisione critica del proprio passato, supportato da elementi positivi come un lavoro stabile, senza che sia necessaria una completa e definitiva revisione. Il ricorso è stato respinto in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: basta l’inizio di un percorso critico

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno degli strumenti più importanti per la risocializzazione del condannato. Ma quali sono i requisiti concreti per ottenerlo? È necessaria una piena e totale revisione del proprio passato criminale? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che per la concessione del beneficio è sufficiente che il percorso di revisione critica sia stato ‘almeno avviato’.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Venezia di concedere la misura alternativa dell’affidamento in prova a un condannato. Contro questa decisione, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha proposto ricorso in Cassazione, ritenendo errata la valutazione del Tribunale. Secondo il Procuratore, gli elementi a disposizione, come l’inaffidabilità del datore di lavoro e l’inadeguatezza dell’attività lavorativa, non erano sufficienti a giustificare la concessione del beneficio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Procuratore Generale inammissibile. I giudici hanno sottolineato che le censure sollevate non riguardavano violazioni di legge, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità. Il ricorso, secondo la Corte, si limitava a contrapporre una diversa interpretazione degli elementi probatori già vagliati dal Tribunale di Sorveglianza, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella decisione impugnata.

Le Motivazioni della Corte: i Criteri per l’Affidamento in Prova

Il cuore della pronuncia risiede nella riaffermazione dei principi che governano la concessione dell’affidamento in prova. La Corte ha chiarito che:

1. Valutazione Complessiva: Sebbene la natura e la gravità dei reati commessi costituiscano il punto di partenza dell’analisi, la valutazione decisiva riguarda la condotta del condannato successiva alla condanna. È indispensabile esaminare i comportamenti attuali per verificare l’idoneità della misura a favorire la risocializzazione e a contenere il pericolo di recidiva.

2. Presenza di Elementi Positivi: Non basta l’assenza di indicazioni negative. Per concedere il beneficio, il giudice deve riscontrare la presenza di elementi positivi concreti. Nel caso specifico, il condannato non aveva commesso nuovi reati, non disponeva di risorse economiche illecite e, soprattutto, aveva reperito una stabile attività lavorativa.

3. Inizio del Percorso Critico: La Corte ha ribadito un principio fondamentale: non si può pretendere la prova che il soggetto abbia compiuto una ‘completa revisione critica del proprio passato’. È invece sufficiente che, dall’osservazione della sua personalità, emerga che ‘un siffatto processo critico sia stato almeno avviato’. Il percorso di reinserimento è, per sua natura, graduale.

Il Tribunale di Sorveglianza, secondo la Cassazione, ha correttamente applicato questi principi, basando la sua decisione sulle informazioni ricevute dagli operatori penitenziari e dalle forze di polizia, che attestavano un percorso serio e affidabile intrapreso dal condannato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un approccio orientato alla finalità rieducativa della pena. Sottolinea che la valutazione per la concessione delle misure alternative deve essere proiettata verso il futuro, valorizzando i progressi compiuti dal condannato piuttosto che rimanere ancorata esclusivamente alla gravità dei reati passati. La decisione rafforza la discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza nella valutazione del percorso individuale di ogni detenuto, confermando che segnali concreti di cambiamento, come l’impegno nel lavoro e l’avvio di una riflessione critica, sono elementi sufficienti per dare fiducia al percorso di reinserimento sociale.

È necessario che un condannato dimostri di aver completato una revisione critica del proprio passato per ottenere l’affidamento in prova?
No, secondo la Corte di Cassazione è sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un tale processo critico sia stato almeno avviato.

Quali elementi valuta il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice parte dalla natura e gravità dei reati, ma deve poi valutare la condotta successiva del condannato, accertando non solo l’assenza di elementi negativi ma anche la presenza di elementi positivi (come un’attività lavorativa stabile e l’inizio di un percorso di revisione critica) che rendano la misura idonea alla risocializzazione e a contenere la pericolosità sociale.

Un ricorso in Cassazione può contestare la valutazione dei fatti compiuta dal Tribunale di Sorveglianza?
No, il ricorso in Cassazione si svolge in sede di legittimità e non può sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti. In questo caso, la Corte ha ritenuto inammissibili le censure del Procuratore proprio perché miravano a una rilettura delle emergenze probatorie, operazione non consentita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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