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Affidamento in prova: criteri di valutazione corretti

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un detenuto. Il diniego era motivato dalla presunta alta densità criminale della zona in cui si trovava l’attività lavorativa offerta. La Suprema Corte ha stabilito che la valutazione deve concentrarsi sulla personalità e sul percorso del condannato, non su fattori esterni e generici come le caratteristiche di un quartiere, ritenendo tale motivazione illogica e contraddittoria.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Zona di Lavoro non Può Essere un Ostacolo

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale per il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione dipende da una valutazione attenta e personalizzata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la valutazione deve basarsi sulla persona e sul suo percorso, non su pregiudizi legati al contesto territoriale, come la presunta pericolosità di un quartiere.

Il Caso: Diniego Basato sul Contesto Ambientale

Un detenuto, dopo aver mostrato un comportamento esemplare in carcere e aver intrapreso un percorso di studi e lavoro, presentava istanza per essere ammesso all’affidamento in prova. A supporto della sua richiesta, produceva la disponibilità di un’azienda a stipulare un contratto di lavoro.

Il Tribunale di Sorveglianza, pur riconoscendo i “progressi compiuti” e il “comportamento corretto” del richiedente, respingeva l’istanza. La motivazione principale del rigetto era duplice:
1. L’effettività dell’offerta lavorativa non era stata, a loro dire, sufficientemente documentata.
2. L’attività commerciale si trovava in una zona di Torino definita “ad alta densità criminale”.

Insoddisfatto di questa decisione, ritenuta illogica e contraddittoria, il detenuto proponeva ricorso per cassazione.

I criteri per la concessione dell’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno sottolineato che la valutazione per la concessione di una misura alternativa non può basarsi su elementi esterni e generici, del tutto slegati dalla condotta e dalla personalità del soggetto.

L’obiettivo dell’affidamento è formulare una prognosi favorevole sul reinserimento sociale del condannato. Questa prognosi deve fondarsi sull’osservazione della sua personalità, sui comportamenti tenuti dopo la condanna e sul percorso di revisione critica avviato. La gravità del reato commesso e i precedenti penali sono solo il punto di partenza dell’analisi, non un ostacolo insormontabile.

La valutazione sulla personalità del reo

La giurisprudenza è costante nell’affermare che per l’affidamento in prova non è necessaria la prova di una completa redenzione, ma è sufficiente che sia stato avviato un processo critico sul proprio passato. Indicatori utili in tal senso sono:
* L’assenza di nuove denunce.
* L’adesione a valori socialmente condivisi.
* La condotta di vita attuale.
* L’attaccamento al contesto familiare.
* Una concreta prospettiva di risocializzazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza “illogica e contraddittoria”. In primo luogo, lo stesso Tribunale aveva dato atto che l’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) aveva contattato il potenziale datore di lavoro, il quale aveva confermato la sua disponibilità all’assunzione, fornendo anche la relativa documentazione. L’affermazione sulla mancata verifica dell’offerta di lavoro era, quindi, smentita dagli stessi atti del procedimento.

In secondo luogo, e in modo ancora più incisivo, la Cassazione ha censurato il riferimento all'”alta densità criminale” del quartiere. Questo tipo di valutazione è stato definito generico e basato su fattori sociali esterni, che non possono e non devono influenzare il giudizio sulla personalità e sul percorso individuale del condannato. Il giudice deve attenersi alla condotta e alla personalità del reo, non a valutazioni sociologiche sul contesto in cui andrà a lavorare.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Suprema Corte riafferma un principio di civiltà giuridica: la valutazione per l’accesso alle misure alternative deve essere rigorosamente individualizzata. Pregiudizi e valutazioni generiche su contesti territoriali non possono precludere un percorso di reinserimento a chi ha dimostrato con i fatti di voler cambiare vita. Il provvedimento è stato annullato con rinvio, il che significa che il Tribunale di Sorveglianza di Torino dovrà riesaminare il caso, ma questa volta basando la sua decisione esclusivamente sugli elementi pertinenti alla personalità e al percorso rieducativo del richiedente, senza lasciarsi influenzare da fattori esterni e discriminatori.

È possibile negare l’affidamento in prova solo perché il lavoro trovato dal detenuto si trova in un quartiere considerato “a rischio”?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione deve concentrarsi sulla personalità e sulla condotta del soggetto, non su fattori esterni e generici come la presunta criminalità di un quartiere. Tale motivazione è considerata illogica.

Quali elementi deve considerare il giudice per concedere l’affidamento in prova?
Il giudice deve valutare la personalità del condannato, i suoi comportamenti successivi al reato, l’assenza di nuove denunce, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, i legami familiari e la prospettiva di risocializzazione. Il percorso di revisione critica del proprio passato, anche se solo avviato, è un elemento centrale.

Il detenuto deve dimostrare una completa revisione critica del proprio passato per ottenere la misura alternativa?
No, non è richiesta la prova di una completa revisione critica. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, è sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un tale processo critico sia stato almeno avviato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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