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Affidamento in prova: basta l’inizio della revisione

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un detenuto. La Corte ha stabilito che, per la concessione della misura, non è necessaria una piena ammissione di colpevolezza, ma è sufficiente che il condannato abbia avviato un processo di revisione critica del proprio passato. La decisione del Tribunale è stata ritenuta contraddittoria perché, pur riconoscendo la condotta positiva post-reato del soggetto, ne aveva negato il beneficio basandosi sulla mancata ammissione degli addebiti, un criterio non in linea con la giurisprudenza consolidata.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in prova: non serve la confessione, basta avviare la revisione critica

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, non è indispensabile una piena confessione dei reati commessi. È invece sufficiente che il condannato abbia dato inizio a un percorso di revisione critica del proprio passato. Questa pronuncia chiarisce i criteri che i Tribunali di sorveglianza devono seguire nel valutare le istanze dei condannati, ponendo l’accento più sul percorso rieducativo avviato che su una rigida ammissione di colpa.

Il caso in esame: la richiesta di affidamento negata

Il caso riguarda un uomo, in detenzione domiciliare per scontare una pena di oltre quattro anni per il reato di autoriciclaggio (art. 648-ter c.p.), che aveva richiesto di essere ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale di sorveglianza di Lecce aveva rigettato la sua richiesta.

Contro questa decisione, il difensore del condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione. La difesa ha evidenziato come il Tribunale non avesse considerato adeguatamente elementi positivi, come il buon esito di un precedente affidamento in prova per un’altra pena, e il fatto che l’uomo avesse già intrapreso, sin dal 2020, un percorso di revisione critica e di rottura con il suo passato, ricostruendo i legami familiari e avviando un nuovo progetto di vita.

L’affidamento in prova e i motivi del ricorso

Il ricorso si basava su un punto di diritto consolidato: la giurisprudenza di legittimità ritiene che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova, sia sufficiente l’avvio di un processo di revisione critica e che la mancata ammissione degli addebiti, di per sé, non possa costituire un ostacolo insormontabile. Il Tribunale di sorveglianza, invece, aveva basato il proprio diniego proprio sulla “sostanziale carenza di ammissione degli addebiti” e sull’assenza di una completa revisione critica, ritenendo che il condannato collegasse ancora il reato alla sua normale attività lavorativa passata.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza e rinviando il caso per un nuovo esame. La Suprema Corte ha ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato contraddittoria e non in linea con i principi giurisprudenziali.

Le motivazioni: basta avviare la revisione critica

Nelle motivazioni, la Corte ha chiarito che elementi come la gravità del reato, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza non possono, da soli, essere decisivi per negare la misura alternativa. Ciò che conta è il giudizio prognostico sulla futura condotta del condannato e sul buon esito della prova.

Per formulare questo giudizio, è indispensabile esaminare i comportamenti attuali del soggetto. L’obiettivo è accertare non solo l’assenza di segnali negativi, ma anche la presenza di elementi positivi che indichino una concreta possibilità di reinserimento e una riduzione del rischio di recidiva.

La Cassazione ha sottolineato che, secondo un indirizzo costante, è sufficiente che il processo di revisione critica sia stato “almeno avviato”. Il Tribunale di sorveglianza, invece, aveva errato nel pretendere una revisione completa e una piena ammissione dei fatti.

Inoltre, la decisione del Tribunale è apparsa intrinsecamente contraddittoria. Da un lato, negava il beneficio per la mancata revisione critica; dall’altro, lo stesso provvedimento riconosceva che il condannato aveva mantenuto una condotta positiva dopo il reato e non aveva nuovi carichi pendenti. Questi elementi, uniti alla relazione favorevole dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) che attestava l’avvio di un percorso di rivisitazione, avrebbero dovuto portare a una valutazione diversa.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa sentenza rafforza un approccio all’esecuzione penale orientato alla rieducazione e al reinserimento sociale. Le conclusioni pratiche sono significative:

1. Focus sul percorso, non sulla confessione: La valutazione per l’affidamento in prova deve concentrarsi sul percorso evolutivo del condannato e sui suoi sforzi attuali, piuttosto che richiedere una confessione che potrebbe non arrivare, specialmente in casi in cui l’imputato si è sempre dichiarato innocente.
2. Valutazione complessiva: I giudici di sorveglianza devono compiere una valutazione globale della personalità e della condotta del soggetto, considerando tutti gli elementi disponibili, inclusi quelli positivi come la buona condotta e le relazioni degli operatori sociali.
3. Coerenza della motivazione: Le decisioni devono essere logicamente coerenti. Non è possibile negare un beneficio sulla base di un singolo elemento (mancata confessione) quando altri fattori (condotta positiva, assenza di recidiva) indicano una prognosi favorevole.

Per ottenere l’affidamento in prova è necessaria una piena ammissione di colpevolezza?
No, secondo la sentenza non è necessaria una mancata ammissione di colpevolezza. Elementi come questo non possono assumere, da soli, un rilievo decisivo in senso negativo.

Cosa è sufficiente dimostrare per accedere all’affidamento in prova riguardo al proprio passato criminale?
È sufficiente dimostrare che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un processo di revisione critica del proprio passato sia stato almeno avviato. Non è richiesta la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica.

Come deve essere valutata la condotta del condannato per concedere la misura alternativa?
Il giudice deve esaminare i comportamenti attuali del condannato per accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico favorevole sul buon esito della prova e sulla prevenzione del pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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