Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8411 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8411 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a San Giuseppe Vesuviano il 11/08/1980
avverso l’ordinanza del 31/10/2024 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI GENOVA
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e, qualificato il reclamo come ricorso, la dichiarazione di inammissibilità dello stesso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 31 ottobre 2024 il Tribunale di sorveglianza di Genova ha dichiarato inammissibile il reclamo presentato dal condannato NOME COGNOME contro il decreto del magistrato di sorveglianza di Massa del 13 agosto
2024 che aveva respinto l’istanza di modificazione delle prescrizioni dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Il condannato aveva chiesto gli fosse consentito di proseguire l’espiazione in Romania. Il magistrato di sorveglianza aveva respinto l’istanza in quanto non era possibile alcun controllo da parte delle autorità rumene in considerazione della tipologia di lavoro che svolgeva il ricorrente.
Il Tribunale di sorveglianza ha dichiarato inammissibile il reclamo in quanto non previsto dalla legge come mezzo di impugnazione.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce che il mezzo di impugnazione è previsto dall’art. 35 dell’ordinamento penitenziario, e che comunque, anche qualora non fosse previsto dalla legge il reclamo, il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto convertirlo in ricorso per cassazione in base al principio generale dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. Nel merito, il ricorso sarebbe fondato, perché la normativa europea, recepita con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 38, permette l’esecuzione della misura alternativa nel territorio di altro Stato europeo.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e, qualificato il reclamo come ricorso, la dichiarazione di inammissibilità dello stesso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
Occorre affrontare preliminarmente la questione della impugnabilità o meno del decreto del magistrato di sorveglianza di Massa.
Il provvedimento impugnato è stato emesso ai sensi dell’art. 97, comma 7, d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 secondo cui “se nel corso della prova viene richiesto che la stessa prosegua in luogo situato in altra giurisdizione, il magistrato di sorveglianza, su dettagliato parere del centro di servizio sociale che segue la prova, provvede di conseguenza, con corrispondente modifica delle prescrizioni. Il provvedimento è comunicato all’affidato e ai centri di servizio sociale interessati. La cancelleria dell’ufficio di sorveglianza trasmette il fascicolo dell’affidamento in prova, all’ufficio di sorveglianza divenuto competente. Anche il centro di servizio sociale che seguiva la prova trasmette i propri atti a quello divenuto competente.
Se il magistrato di sorveglianza non accoglie la domanda, ne fa dare comunicazione all’interessato dal centro di servizio sociale”.
La norma del regolamento è applicazione dell’art. 47, comma 8, ord. pen. che dispone che “nel corso dell’affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza”.
Nella giurisprudenza di legittimità non si rinvengono precedenti circa la impugnabilità del provvedimento che decide sulla istanza di modifica delle prescrizioni dell’affidamento in prova, emesso dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 47, comma 8, ord. pen.
Il ricorso sostiene che il potere di reclamo è previsto dall’art. 35 ord. pen., che, però, è una norma non pertinente al caso in esame, perché prevede il reclamo generico, e non il reclamo giurisdizionale (sulle differenze v., per tutte, Sez. 1, n. 28258 del 09/04/2021, Gallico, Rv. 281998). Il reclamo giurisdizionale è previsto dagli artt. 35-bis e 69 ord. pen., ma può essere esercitato contro le decisioni dell’amministrazione penitenziaria, ed, è infatti, uno strumento a disposizione dei “detenuti e degli internati”, ed il ricorrente non appartiene né agli uni né agli altri
Nel senso che non esista il potere di reclamo conviene il Procuratore generale, che nelle sue conclusioni scritte evidenzia che il potere di reclamo contro un provvedimento quale quello del magistrato di sorveglianza non è previsto dal sistema processuale, ma che deve ritenersi consentito il potere di ricorrere per cassazione, in quanto l’art. 71-ter ord pen. è stato ritenuto abrogato implicitamente dall’art. 678 cod. proc. pen. solo per le materie del Tribunale di sorveglianza, e non per quelle del magistrato di sorveglianza (v. Sez. U, Sentenza n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, Rv. 234147).
L’art. 71-ter ord. pen. dispone, in effetti, che “avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza, il pubblico ministero, l’interessato e, nei casi di cui agli articoli 14-ter e 69, comma 6, l’amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento (…)”.
La norma, pur non espressamente abrogata, è stata, però, travolta dall’entrata in vigore del codice di procedura penale, atteso che l’art. 236, comma secondo, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice dispone che, in dette materie, “continuano ad osservarsi le disposizioni della L. 26 luglio 1975 n. 354 diverse da quelle contenute nel capo II bis del titolo II della stessa legge”, capo nel quale è appunto compreso l’art. 71-ter, che, pertanto, deve ritenersi non si “osservi” più, per ripetere l’espressione delle disposizioni di attuazione.
La pronuncia Passamani delle Sezioni Unite sopra citata ha riguardato un caso che rientrava nella competenza del Tribunale di sorveglianza ed ha ritenuto l’art. 71-ter non più applicabile in tali materie.
Nella giurisprudenza di legittimità si rinviene, però, anche un precedente relativo ad un provvedimento attribuito alla competenza del magistrato di sorveglianza, in particolare una remissione del debito, in cui la Corte ha ritenuto che “l’art. 678 cod. proc. pen., come riformulato dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, nel rinviare agli artt. 666 e, in alcune materie specifiche, 667, comma 4, cod. proc. pen., ha assoggettato l’intero procedimento di sorveglianza ad una nuova disciplina, che non consente di riconoscere forza ultrattiva agli artt. 71 e ss. ord. pen.” (Sez. 1, Sentenza n. 30638 del 14/02/2017, COGNOME, Rv. 270960). Secondo questo orientamento, pertanto, l’art. 71-ter è stato implicitamente abrogato anche per le materie attribuite alla competenza del magistrato di sorveglianza.
Il collegio ritiene di dare continuità all’orientamento della sentenza COGNOME e ritiene, pertanto, che l’art. 71-ter non sia più una base normativa utile per sostenere l’esistenza di un potere generale di ricorso per cassazione contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza.
Come ritenuto nella pronuncia Lombardo, infatti “la novella, attuata con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha introdotto lo statuto processuale da seguire per le decisioni del Tribunale di sorveglianza e del Magistrato di sorveglianza ed operando rinvio all’art. 666 cod. proc. pen. ed in alcune materie specifiche all’art. 667 comma 4 cod. proc. pen., ha inteso assoggettare l’intera materia ad una nuova disciplina, che non lascia residuare spazi interpretativi da cui inferire una forza ultrattiva degli artt. 71 e ss I. penitenziaria”.
Ne consegue che il potere di ricorso per cassazione contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza non è generale, ma deve essere rinvenuto in una specifica norma attributiva di tale potere, che può essere quella ricavabile dal combinato disposto dell’art. 678-bis e degli artt. 666 e 667, comma 4, cod. proc. pen. oppure una norma speciale.
Il principio di tassatività delle impugnazioni, infatti, impone di escludere che avverso un provvedimento possa essere proposta una impugnazione, se non prevista espressamente dalla legge (Sez. 1, n. 5031 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285853, in motivazione; Sez. 1, n. 4606 del 1/12/2009, dep. 2010, COGNOME, n.m.).
Nel caso della sentenza COGNOME, che aveva ad oggetto un provvedimento di remissione del debito, si era in presenza di una competenza del magistrato di sorveglianza espressamente prevista dall’art. 678, comma 1-bis, cod. proc. pen.,
in cui il potere di ricorso per cessazione era, pertanto, ricavabile agevolmente dal combinato disposto degli artt. 666, 667, comma 4, 678-bis, cod. proc. pen.
Il potere di modifica delle prescrizioni dell’affidamento in prova non è previsto, però, dall’art. 678, comma 1-bis, cod. proc. pen., e trova la sua fonte, come detto, nell’art. 47, comma 8, ord. pen. e nell’art. 97, comma 7, del regolamento di esecuzione, e nessuna di queste due norme prevede un potere di ricorso per cassazione contro le decisioni del magistrato di sorveglianza.
Il collegio ritiene, però, che il potere di ricorso per cassazione nella materia in esame debba essere ricavato dalla norma generale dell’art. 111, comma 7, Cost., secondo cui “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.
Nella giurisprudenza di legittimità è, infatti, consolidato l’indirizz interpretativo che – con riferimento ad un provvedimento analogo a quello oggetto dell’odierno giudizio, ma emesso nell’ambito della espiazione di pena nella misura alternativa della detenzione domiciliare – ritiene che “avverso i provvedimenti adottati dal magistrato di sorveglianza a seguito di richieste di modifica delle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, è esperibile il ricorso in cassazione per violazione di legge, trattandosi di provvedimenti che incidono sulla libertà personale” (Sez. 1, Sentenza n. 52134 del 07/11/2019, Z., Rv. 277884; in senso conforme di recente Sez. 1, Sentenza n. 1944 del 11/12/2024, dep. 2025, Alia, n.m.; Sez. 1, Sentenza n. 47268 del 22/11/2024, Tarantino, n.m.).
Il collegio ritiene che, in un caso quale quello in esame, in cui la richiesta di modifica delle prescrizioni dell’affidamento in prova comportava un completo cambiamento di vita dell’interessato che chiedeva di proseguire l’espiazione in misura alternativa non più a Massa, ma in Romania, il provvedimento del magistrato di sorveglianza deve ritenersi attenga alla libertà personale del condannato. Non è stata, infatti, richiesta la modifica di una mera modalità del trattamento del soggetto sottoposto a misura alternativa, ma di una prescrizione che conforma in modo sostanziale lo status libertatis dell’interessato.
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La conclusione che si tratti di un provvedimento attinente)alibertà personale del condannato induce a ritenere che nei suoi confronti sia proponibile il ricorso per cessazione per violazione di legge ex art. 111, comma 7, Cost.
Ne consegue che il reclamo presentato dall’interessato non avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, ma avrebbe dovuto essere convertito dal Tribunale di sorveglianza in ricorso per cassazione, in osservanza della norma dell’art. 568, comma 5, secondo periodo, cod. proc. pen. Per questi motivi l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Genova, che lo ha dichiarato inammissibile, deve essere annullata senza rinvio.
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Trattenuto in decisione il reclamo, qualificato come ricorso, la Corte ritiene che lo stesso sia fondato.
E’ indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, infatti, che “in tema di misure alternative alla detenzione, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 38, è consentita l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale la cui esecuzione debba svolgersi in uno Stato estero membro dell’Unione Europea dove il condannato abbia residenza legale ed abituale, in conformità a quanto disposto dal menzionato decreto legislativo” (Sez. 1, n. 20977 del 15/06/2020, COGNOME Rv. 279338).
Il magistrato di sorveglianza ha respinto l’istanza affermando che gli spostamenti sul territorio rumeno che il condannato chiede di svolgere per motivi di lavoro non consentirebbero alle autorità della Romania un efficace controllo della corretta esecuzione della misura alternativa.
Ma, come evidenziato nella pronuncia COGNOME appena citata, “il controllo sull’osservanza del contenuto prescrittivo della misura attiene all’esecuzione della stessa e costituisce, dunque, l’oggetto della attribuzione allo Stato di esecuzione”, cui l’autorità italiana non può sostituirsi in via preventiva. Infatti, sempre per citar la pronuncia COGNOME “la comune adesione all’Unione Europea e al suo ordinamento assicura la reciproca adeguatezza, fra gli Stati, nell’adempimento dei compiti che derivano dal principio di collaborazione”.
Il provvedimento del magistrato di sorveglianza deve, pertanto, essere annullato con rinvio per nuovo esame, che, libero nell’esito, valuterà se la modifica richiesta alle prescrizioni della misura alternativa in essere possa soddisfare comunque la possibilità di formulare la doppia prognosi positiva richiesta dall’art. 47 ord. pen. (Sez. 1, n. 16942 del 25/05/2020, COGNOME, Rv. 279144 – 01, in motivazione).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e, qualificato come ricorso per cassazione il reclamo proposto avverso il decreto emesso in data 13 agosto 2024 dal magistrato di sorveglianza di Massa, annulla il decreto suddetto, con rinvio per nuovo giudizio al magistrato di sorveglianza di Massa.
Così deciso il 14 gennaio 2025
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