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Affectio societatis: quando non c’è associazione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47573/2024, ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La Corte ha stabilito che un rapporto stabile di fornitura di droga, di per sé, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza della necessaria ‘affectio societatis’, ovvero la volontà cosciente di far parte di un’organizzazione criminale e di contribuire al suo programma comune. Sono necessari specifici indicatori fattuali che dimostrino come la condotta del singolo si proietti oltre il mero reato individuale.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affectio Societatis: Essere Pusher non Significa Essere Parte del Clan

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 47573/2024) riaccende i riflettori su un principio cardine del diritto penale associativo: la distinzione tra la commissione di un reato e la partecipazione a un’associazione per delinquere. Il fulcro della decisione è il concetto di affectio societatis, l’elemento soggettivo che segna il confine tra un semplice spacciatore e un membro effettivo di un’organizzazione criminale. Vediamo nel dettaglio come la Suprema Corte ha affrontato il caso.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. nei confronti di un individuo, indagato per associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (ex art. 74 d.P.R. 309/90) e per singoli episodi di spaccio. Secondo l’accusa, l’indagato operava come pusher sotto le direttive del cugino, figura vicina a un clan locale, dal quale acquistava sistematicamente a credito lo stupefacente per poi rivenderlo al dettaglio.

Il Tribunale del riesame confermava l’ordinanza, ritenendo che il rapporto continuativo e stabile di fornitura tra l’indagato e il cugino fosse un elemento indiziario grave, sufficiente a desumere non solo il suo coinvolgimento nello spaccio, ma anche la sua consapevolezza di contribuire al programma criminoso del sodalizio. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso

La difesa ha articolato diversi motivi di ricorso, ma i più rilevanti, accolti dalla Corte, riguardavano la carenza di motivazione su due punti cruciali:

1. Violazione di legge sulla gravità indiziaria (art. 273 c.p.p.): Si contestava che il Tribunale avesse erroneamente equiparato un rapporto di fornitura, seppur stabile, alla partecipazione consapevole a un’associazione criminale. Mancavano, secondo la difesa, elementi che dimostrassero la volontà dell’indagato di far parte del sodalizio e di agire per i suoi scopi.
2. Vizio di motivazione sul pericolo di recidiva (art. 274 c.p.p.): Il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato elementi favorevoli all’indagato, come lo stato di incensuratezza, il ruolo marginale e il tempo trascorso dai fatti contestati (risalenti al 2021), per valutare l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione del reato.

La Valutazione della Cassazione sulla Affectio Societatis

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i motivi relativi alla gravità indiziaria per il reato associativo. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: per configurare il delitto di associazione per delinquere, non basta accertare l’accordo tra i sodali e l’esistenza di una struttura organizzativa, ma è indispensabile provare la cosiddetta affectio societatis. Questo requisito implica che ogni aderente operi con la consapevolezza che la propria attività e quella degli altri si sostengono a vicenda per realizzare il programma criminale comune.

Nel caso di specie, la Corte ha osservato che la motivazione del Tribunale del riesame era carente proprio su questo punto. L’intero impianto accusatorio si fondava essenzialmente sul rapporto sinallagmatico (dare-avere) tra l’indagato e suo cugino, fornitore di droga. Tuttavia, mancavano indicatori fattuali concreti che potessero dimostrare una condotta criminis proiettata oltre la sfera individuale dello spaccio.

Le motivazioni

La Corte ha specificato che non è sufficiente desumere l’affectio societatis eo ipso (cioè automaticamente) dal semplice fatto che in un determinato contesto territoriale, come quello di Cosenza, l’attività di spaccio non fosse consentita al di fuori di contesti criminali organizzati. Questa è una massima di esperienza che non può sostituire la prova rigorosa del contributo consapevole del singolo al mantenimento e alla realizzazione di un programma criminale più vasto e duraturo. Il rapporto continuativo di fornitura, pur essendo un indizio di un’attività di spaccio, non dimostra di per sé la volontà di partecipare a un’associazione. Occorre provare che l’agente abbia agito con la consapevolezza di contribuire a un’entità autonoma, la società criminosa, e non solo per trarre profitto dal singolo atto di compravendita di droga.

Anche riguardo al pericolo di recidiva, la Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale insufficiente, poiché non aveva adeguatamente ponderato le argomentazioni della difesa relative al ruolo marginale, all’incensuratezza e al fattore tempo, elementi che avrebbero potuto incidere sulla valutazione dell’attualità del pericolo.

Le conclusioni

Per queste ragioni, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame. Il Tribunale dovrà rivalutare il quadro indiziario alla luce dei principi espressi dalla Suprema Corte, cercando elementi concreti che dimostrino, al di là del rapporto di fornitura, la consapevole partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale. Questa sentenza rafforza il principio di garanzia secondo cui l’accusa di partecipazione a un’associazione criminale richiede una prova rigorosa dell’elemento psicologico, l’affectio societatis, che non può essere presunto sulla base del solo svolgimento di un’attività illecita funzionale agli interessi del clan.

Avere un rapporto continuativo di fornitura di droga con un membro di un clan significa automaticamente far parte dell’associazione?
No. Secondo la sentenza, un rapporto continuativo e stabile di fornitura è un grave indizio di spaccio, ma non è di per sé sufficiente a dimostrare la partecipazione all’associazione criminale. Occorrono ulteriori elementi che provino il contributo consapevole al programma comune del sodalizio.

Cosa si intende per ‘affectio societatis’?
È la volontà e la consapevolezza di partecipare, insieme ad almeno altre due persone, a una società criminosa strutturata e finalizzata a un programma illegale. Implica che ogni membro sa che la propria attività e quella degli altri si aiutano a vicenda per raggiungere gli scopi comuni dell’associazione.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione e perché?
La Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza di custodia cautelare. La motivazione del Tribunale del riesame è stata ritenuta carente perché non ha fornito indicatori fattuali concreti della ‘affectio societatis’ dell’indagato, basando la gravità indiziaria quasi esclusivamente sul rapporto di fornitura di droga, e non ha valutato adeguatamente gli argomenti difensivi sul pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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