Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2723 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2723 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato il 13/09/1975 a Cosenza avverso l’ordinanza del 13/06/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, decidendo in sede di riesame, confermava la custodia in carcere disposta nei confronti di NOME COGNOME quanto al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico
illecito di sostanze stupefacenti con l’aggravante mafiosa (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; 416-bis.1 cod. pen.) (capo 1) e ai reati fine (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) di cui ai capi 133), 134), 135), 184).
Ha presentato ricorso, nell’interesse dell’indagato, l’Avvocato NOME COGNOME deducendo:
violazione di legge penale e difetto di motivazione in rapporto a:
la sussunzione della condotta in quella di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico;
i rapporti tra il ricorrente e l’associazione in termini di affectio societatis;
la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato associativo;
la valutazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME in ordine alla partecipazione dell’imputato al reato associativo.
Con motivazione conforme per tutti gli indagati si ritiene che, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, l’assiduità dei contatti, il reciproco rapporto di conoscenza tra gli associati, per molti a carattere familiare, e la solidarietà tra gl stessi denotino in modo inequivoco la piena consapevolezza di fornire un apporto alla struttura associativa, senza circostanziare tali affermazioni.
Nulla si dice dell’esistenza di un vincolo associativo perdurante tra i vari sodali e, tantomeno, dello stabile patto associativo tra RAGIONE_SOCIALE e l’associazione.
Non si chiarisce il contributo effettivo del singolo al raggiungimento dello scopo illecito, l’indagato risultando, al contrario, qualificato in termi dispregiativi nelle conversazioni tra NOME e COGNOME.
Neppure sono esplicitati i gravi indizi di colpevolezza idonei a sostenere la consapevolezza dell’esistenza di un programma delinquenziale e di fornire un contributo agevolatore per la sua realizzazione.
Peraltro, posto che la collaboratrice di giustizia COGNOME riferì dell’esistenza di regole rigide quanto allo spaccio della cocaina, aggiungendo, tuttavia, che le droghe leggere erano invece libere – potevano essere spacciate senza particolari attenzioni -, la motivazione dell’ordinanza appare contraddittoria anche là dove assume una sistematica conoscenza da parte dei vertici dell’organizzazione dell’identità di ciascun soggetto incaricato dello spaccio e del relativo gruppo di riferimento, in modo da non lasciare alcun ruolo a soggetti estranei al “sistema”.
Tali dichiarazioni, inoltre, revocano in dubbio la configurabilità sia del reato associativo, almeno quanto al profilo soggettivo, sia dell’aggravante mafiosa, perché escludono il coinvolgimento soggettivo del singolo rispetto agli scopi associativi.
L’ordinanza, poi, reputa pienamente attendibili le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME il quale aveva fatto riferimento a COGNOME come
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a un soggetto «molto attivo nell’attività di spaccio», cognato di COGNOME con il quale tuttavia – il dato è significativo – non correvano buoni rapporti e rispetto al quale lavorava in autonomia.
Non si confronta, però, con le deduzioni difensive.
Le espressioni “NOME“, “NOME“, “F”, ritenute identificative dell’identità del ricorrente, non ricorrono in intercettazioni in cui NOME sia interlocutore diretto; i dialoghi telefonici non sono stati accompagnati da servizi di osservazione e controllo; non sono mai stati eseguiti sequestri di sostanze stupefacenti inequivocabilmente riconducibili ai coindagati NOME e NOME; nulla è emerso sulla necessaria continuità dei rifornimenti di sostanze stupefacenti da parte di NOME.
2.2. Vizio di motivazione quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza riferibili ai reati fine di cui ai capi 133), 134), 135), 184) violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento del fatto di lieve entità.
Benché il Tribunale del riesame, per ricostruire la partecipazione e la sussistenza di significativi elementi indiziari, faccia riferimento esplicito al capo d imputazione 186), da cui trae i principali elementi indizianti, tale capo non compare nella imputazione.
Per il resto, si pongono problemi di identificazione.
Il Tribunale del riesame compie un generico giudizio di individuazione del ricorrente ritenendo che il coindagato COGNOME, con linguaggio criptico, fosse solito indicare i nominativi dei sodali con abbreviazioni o con le sole iniziali.
Tuttavia, quanto al capo 133), manca qualunque riscontro visivo.
E, quanto ai restanti capi di imputazione, non vi è certezza in ordine alla quantità e alla qualità della sostanza stupefacente (è sempre usato l’avverbio «verosimilmente»), né alle somme di denaro percepite (capi 133, 134 e 135); mancano riscontri al contenuto delle intercettazioni dei coindagati; non si spiega perché il termine “F” che compare in un messaggio porti alla identificazione dell’indagato; non si indica l’arco temporale nel quale NOME avrebbe avuto certa notizia della disponibilità da parte del ricorrente di sostanze stupefacenti; non ci sono riscontri di natura tecnica idonei a sorreggere l’ipotesi dell’incontro tra NOME e NOME; l’ipotesi che NOME abbia ottenuto la disponibilità di due “pagnotte” non dimostra che a cedergliele fosse stato il ricorrente, come anche dimostrato dal fatto che non è stata accertata alcuna reazione del vertice nei confronti dell’indagato, di fronte cattiva qualità del fumo da lui presuntivamente fornito (capo 134); si identifica in “G” l’indagato sulla base del contatto con NOMECOGNOME nonostante la mancata individuazione della data del preventivo accordo
con NOME e l’impossibilità di collocare nel tempo e nello spazio il suddetto incontro con NOME (capo 135).
Né si risponde alle deduzioni relative, ad esempio, alla sfasatura temporale tra l’intercettazione ambientale e la videoripresa del ricorrente nei pressi della casa di Bruno.
Con riferimento al capo di imputazione n. 184), nel corso dell’udienza camerale si evidenziavano contraddizioni nel provvedimento del Giudice dell’udienza preliminare alle quali non e stata data congrua risposta nell’ordinanza impugnata, che si è invece adagiata sulle motivazioni del primo Giudice.
Nessuna indicazione fornisce il Tribunale di Catanzaro quanto alla mancata riqualificazione delle condotte ascritte in ipotesi di cosiddetto fatto lieve nonostante il dato ponderale e la omogeneità delle sostanze presuntivamente trattate, in uno con le modalità dell’azione e le specifiche circostanze della stessa, ben avrebbero potuto legittimarne la sussunzione nell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
2.3. Motivazione apparente in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura applicata.
Per superare la presunzione di idoneità della misura cautelare, la difesa aveva evidenziato: la mancata reiterazione dei reati-fine da parte del ricorrente; la mancanza di gravi indizi di colpevolezza anche in ordine alla pluralità dei canali di approvvigionamento dei quantitativi di sostanze stupefacenti eventualmente riferibili e gestiti da Fantasia.
Su tali punti il Giudici del riesame non hanno osservato alcunché, limitandosi a sostenere che il ricorrente ha perseverato nella sua illecita attività, arricchendosi con la vendita di droga: e ciò sebbene mai siano stati individuati i corrispettivi economici derivanti dalla cessione.
Inoltre, nel corso della discussione camerale e nelle memorie, era rappresentato che lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva dato atto della «non competenza» dell’indagato nell’integrazione delle condotte illecite per come contestate, e non aveva indicato: la cornice temporale in cui il ricorrente avrebbe operato; il quantitativo di sostanze stupefacenti che avrebbe gestito; il mercato da cui si sarebbe approvvigionato.
Da ultimo, non aveva considerato la dedotta completa estraneità del proprio ambiente domestico familiare di qualsiasi attività di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Inammissibili sono i primi due motivi di ricorso, volti a revocare in dubbio la gravità indiziaria in ordine, rispettivamente, all’ipotesi partecipativa e ai reat fine.
2.1. La posizione del ricorrente è compiutamente affrontata da p. 58 a p. 63 dell’ordinanza impugnata, là dove spiega come il ruolo di COGNOME nel narcotraffico fosse emerso dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME e riscontrato in alcune conversazioni intercettate tra due coindagati.
Da tali intercettazioni si desume che l’indagato era il fornitore stabile di sostanza stupefacente, di tipo hashish, di NOME, uno dei sottocapi della organizzazione, il quale era solito riferirsi a lui con il diminutivo “Fanta” addirittura abbreviandone il cognome in “F” o il nome in “NOME” (NOME).
Premesso che non è il giudizio di legittimità la sede ove affrontare la censura relativa all’identificazione dell’indagato (si tratta di questione di fatto, motivat dai Giudici di merito in modo compiuto e non illogico, anche, peraltro, attraverso il richiamo a videoriprese), le deduzioni difensive sulla mancata contestualizzazione delle conversazioni tra NOME ed COGNOME, per un verso, sono neutralizzate dal rinvio operato nell’esordio del provvedimento impugnato alla corposa motivazione dell’ordinanza di custodia cautelare; per altro verso, non appaiono comunque irrilevanti, stante il carattere evidentemente e gravemente indiziante del loro contenuto.
Del pari, sempre il contenuto delle richiamate captazioni – da cui si desume un’assiduità di rapporti ed una stabile messa a disposizione del singolo alle esigenze dell’associazione – consente di agevolmente superare le eccezioni relative allo sparuto numero di cessioni/reati-fine contestati.
2.2. Sul punto, è il caso di proporre minime precisazioni in replica alle deduzioni difensive.
Innanzitutto, alla luce di quanto poc’anzi osservato, a nulla rileva che gli episodi fossero quattro o cinque.
Inoltre, le conversazioni in oggetto non necessitano di riscontri (salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica. Per tutte, Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150), essendo state effettuate all’insaputa dei soggetti intercettati, come emerge dal loro contenuto auto-accusatorio.
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Né l’esistenza di un rapporto stabile con il gruppo è revocabile in dubbio in considerazione dei termini dispregiativi con cui NOME si riferiva al ricorrente durante le sue conversazioni.
Ancora, una volta che si ritenga gravemente indiziata la stabilità del contributo in termini di fornitura della sostanza stupefacente hashish ad Illuminato, da ciò discende anche l’affectio societatis, essendo chiaro che l’indagato, agendo come ha agito, non poteva non rappresentarsi di contribuire alla realizzazione del programma criminoso del sodalizio.
Infine, la coerenza dell’ordinanza non risulta inficiata dalle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia NOME COGNOME che, nel delineare le rigide regole nel commercio di eroina e cocaina, aveva precisato come lo spaccio di droghe leggere fosse invece libero: è evidente, infatti, che si trattasse di condizione possibile, ma non necessaria, sicché quanto riferito dalla collaboratrice nulla toglie all’indiziata fidelizzazione di RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE e, per il tramite d questi, al suo sottogruppo all’interno della più ampia associazione criminale.
2.3. Né la mancata risposta alla richiesta di “derubricare” i reati fine nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 vizia la motivazione, trattandosi di deduzione manifestamente infondata: alla luce così dei consistenti quantitativi di droga movimentati dall’indagato (misurabili in chilogrammi), come della valutazione complessiva degli altri elementi del fatto (Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, Scorcia, Rv. 285706), ivi incluso lo specifico contesto criminale in cui le azioni sono state realizzate.
Infondato è anche il terzo motivo, sulle esigenze cautelari, adeguatamente motivate.
L’ordinanza ricava la spiccata propensione al crimine dell’indagato dalla non occasionalità del fatto e dal suo inserimento in ambiti criminali con cui ha dimostrato di avere dimestichezza, sia sul fronte dell’approvvigionamento dello stupefacente sia su quello della sua commercializzazione, aggiungendo che NOME ha numerosi precedenti penali e carichi pendenti, molti dei quali della stessa indole, il che è stato ritenuto denotare una personalità recidivante e proclive a delinquere insuscettibile di essere contenuta dagli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Con il che l’ordinanza risponde altresì alle censure sull’adeguatezza della misura di massimo rigore.
Alla luce delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
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Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comm 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10/12/2024