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Affectio societatis: Cassazione e associazione criminale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La difesa contestava la sussistenza della ‘affectio societatis’ e la necessità della misura detentiva. La Corte ha ritenuto logica la motivazione del Tribunale del Riesame, basata sulla pluralità di reati, la collaborazione stabile e la condivisione dei proventi, confermando che tali elementi sono sufficienti a dimostrare l’inserimento consapevole nel sodalizio criminoso.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affectio Societatis: la Cassazione sui criteri per la custodia cautelare

La recente sentenza n. 18181/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere nel contesto di associazioni a delinquere finalizzate al traffico di stupefacenti. Il fulcro della decisione ruota attorno al concetto di affectio societatis, ovvero la prova della consapevole partecipazione dell’indagato al sodalizio criminale. Questo caso conferma come la valutazione del giudice debba basarsi su una serie di elementi fattuali che, nel loro insieme, delineano un quadro di stabile inserimento nell’organizzazione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Catanzaro che, in sede di riesame, confermava la misura della custodia cautelare in carcere per un individuo. Le accuse erano di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di plurimi episodi di cessione delle stesse. Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso in Cassazione, articolando due motivi principali:
1. Vizio di motivazione sulla sussistenza della gravità indiziaria per il delitto associativo, sostenendo che gli elementi raccolti (pluralità dei reati, collaborazione con altri indagati e corresponsione di proventi) non fossero sufficienti a dimostrare la necessaria affectio societatis, ma al più una serialità nell’attività di spaccio.
2. Carenza di motivazione riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari e all’inadeguatezza di misure meno afflittive rispetto al carcere.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato in entrambi i motivi. I giudici di legittimità hanno avallato pienamente l’impianto argomentativo del Tribunale del riesame, giudicandolo logico, coerente e in linea con i principi di diritto consolidati in materia.

Le Motivazioni: la Prova dell’Affectio Societatis

Il primo motivo di ricorso è stato respinto poiché la Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame avesse correttamente desunto il consapevole inserimento dell’indagato nel sodalizio criminoso da una pluralità di elementi fattuali. La sentenza sottolinea che la affectio societatis non richiede prove dirette, ma può essere logicamente inferita da comportamenti concludenti.
Nel caso specifico, elementi come:
– il continuativo svolgimento dell’attività di spaccio (pusher);
– la stabile collaborazione con altri congiunti coinvolti nei traffici;
– la dazione di una parte dei proventi a un coindagato con funzioni di cassiere;
sono stati considerati, nella loro ricorrenza e interconnessione, come la chiara manifestazione di una cosciente partecipazione alle attività delittuose del gruppo. La Corte ribadisce il principio secondo cui il suo ruolo non è quello di riesaminare nel merito le prove, ma solo di verificare la logicità e la coerenza della motivazione del giudice precedente.

Le Motivazioni: le Esigenze Cautelari e la Scelta del Carcere

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ricordato che, per il grave delitto di associazione a delinquere, operano delle presunzioni legali (seppur relative) sia sulla sussistenza delle esigenze cautelari, sia sull’adeguatezza della sola misura carceraria. Spetta alla difesa fornire elementi concreti per superare tali presunzioni, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.
Inoltre, il Tribunale aveva adeguatamente motivato la sua decisione, evidenziando sia l’attualità del pericolo di recidiva (l’attività di spaccio si era protratta fino a un’epoca recente), sia l’ostatività rappresentata dai precedenti penali dell’indagato, che rendevano inadeguata qualsiasi misura meno afflittiva del carcere.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida due principi fondamentali. Primo, la prova dell’affectio societatis in un’associazione criminale può essere validamente desunta da un insieme di elementi fattuali che, letti congiuntamente, dimostrano uno stabile e consapevole inserimento dell’individuo nel gruppo. Non è necessario un ‘patto’ formale, ma è sufficiente un comportamento sintomatico. Secondo, nel ricorso per cassazione avverso misure cautelari, il controllo della Suprema Corte è limitato alla valutazione della coerenza logica della motivazione, senza poter entrare nel merito della valutazione degli indizi. Infine, viene ribadita la forza delle presunzioni legali in materia di esigenze cautelari per reati di particolare allarme sociale, ponendo a carico della difesa l’onere di fornire prove concrete per il loro superamento.

Quali elementi fattuali possono dimostrare l’esistenza della ‘affectio societatis’ in un’associazione a delinquere?
Secondo la sentenza, la prova può essere desunta da una pluralità di elementi, quali il continuativo svolgimento di attività illecite (come quella di pusher), la stabile collaborazione con altri membri del gruppo e la condivisione dei proventi dell’attività criminale. La loro ricorrenza contestuale viene interpretata come sintomo di una partecipazione cosciente al programma delittuoso.

Perché è stata confermata la custodia in carcere invece di una misura meno grave?
La Corte ha confermato la custodia in carcere basandosi sulla presunzione legale di adeguatezza di tale misura per il grave reato di associazione a delinquere. Inoltre, il Tribunale aveva motivato la decisione evidenziando l’attualità del pericolo di reiterazione del reato e la presenza di allarmanti precedenti penali a carico dell’indagato, elementi che rendevano ogni altra misura inefficace.

Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione in materia di misure cautelari?
Il ruolo della Corte di Cassazione non è quello di riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo compito è limitato alla verifica della correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento impugnato, controllando cioè che le ragioni addotte siano adeguate, non contraddittorie e conformi ai principi di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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