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Adulterazione alimenti: condanna per salsiccia con solfiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un esercente condannato per adulterazione alimenti, avendo posto in vendita salsicce con solfiti vietati. La sentenza conferma che la consapevolezza dell’alterazione del prodotto è sufficiente per integrare il reato, respingendo le censure relative a vizi procedurali e alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, data la pericolosità per la salute pubblica.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Adulterazione Alimenti: La Cassazione Conferma la Condanna per Salsiccia con Solfiti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36955/2025, ha affrontato un caso significativo di adulterazione alimenti, confermando la condanna del titolare di un minimarket per aver venduto salsiccia contenente additivi non consentiti. Questa decisione ribadisce la severità della legge nella tutela della salute pubblica e chiarisce importanti aspetti procedurali e sostanziali relativi ai reati alimentari.

I Fatti di Causa

Il titolare di un’attività commerciale veniva condannato dal Tribunale di Torino per i reati previsti dagli articoli 516 e 440 del codice penale. L’accusa era di aver messo in vendita salsiccia di bovino contenente solfiti, un additivo non ammesso dalla normativa vigente (d. m. 209/1996 e Reg. (CE) 1333/2008), in una misura rilevante (98 + 21 mg/Kg). Secondo l’accusa, tale condotta configurava il reato di vendita di sostanze alimentari non genuine e quello di adulterazione alimenti, rendendo i prodotti pericolosi per la salute pubblica.

La pena inflitta in primo grado era di 11 mesi di reclusione, sostituita con il lavoro di pubblica utilità.

I Motivi del Ricorso alla Corte di Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato diversi motivi di doglianza, che sono stati qualificati come ricorso per cassazione:

1. Violazione del diritto di difesa: Si lamentava una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, poiché la condanna era intervenuta per adulterazione colposa aggravata dalla cosiddetta “colpa cosciente”, un elemento non specificamente contestato nell’imputazione iniziale.
2. Vizio di logicità: La difesa riteneva contraddittoria la motivazione del Tribunale riguardo all’elemento psicologico del reato.
3. Mancata applicazione della causa di non punibilità: Si richiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. per la particolare tenuità del fatto.
4. Diniego della sospensione condizionale della pena: Si contestava la mancata concessione di un ulteriore beneficio della sospensione condizionale.

Adulterazione Alimenti e la Valutazione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure difensive con argomentazioni precise.

Nessuna Violazione del Diritto di Difesa

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che non vi è stata alcuna violazione del diritto di difesa. Il principio di correlazione tra accusa e sentenza è violato solo quando il fatto ritenuto in sentenza è eterogeneo rispetto a quello contestato, compromettendo così le facoltà difensive. Nel caso di specie, la condanna si fondava esattamente sulle condotte descritte nel capo d’imputazione (artt. 440 e 452 c.p.). Il Tribunale non ha operato una riqualificazione del fatto, ma ha semplicemente valutato gli elementi costitutivi del reato già contestato, senza ledere le prerogative della difesa.

La Responsabilità Penale per la Messa in Vendita

Per quanto riguarda la censura sulla logicità della motivazione, la Cassazione ha chiarito che il reato di cui all’art. 516 c.p. punisce la sola messa in vendita di alimenti adulterati. È irrilevante chi abbia materialmente compiuto l’adulterazione. Nel caso specifico, l’imputato era consapevole dell’alterazione del prodotto, tanto da aver indicato lui stesso agli organi accertatori la presenza dell’additivo, la cui nocività era palese dall’etichetta.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

La Corte ha ritenuto infondata anche la richiesta di applicare la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. Il Tribunale aveva correttamente motivato il diniego basandosi sul grado di pericolosità concreto dell’adulterazione alimenti, accertato tramite risultanze tecniche. La valutazione della tenuità del fatto, infatti, richiede un’analisi complessiva della condotta, del grado di colpevolezza e dell’entità del pericolo, elementi che nel caso in esame sono stati giudicati significativi e non trascurabili.

Infine, la mancata concessione di una seconda sospensione condizionale della pena è stata giustificata dalla presenza di una precedente condanna a carico dell’imputato, ostativa al beneficio ai sensi dell’art. 164, comma 4, c.p.

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati a tutela della salute pubblica. La motivazione principale risiede nella gravità intrinseca del reato di adulterazione alimenti. La Corte ribadisce che la commercializzazione di prodotti alimentari non conformi alle normative sanitarie espone la collettività a un rischio che l’ordinamento intende reprimere con fermezza. Viene sottolineato che la consapevolezza da parte del venditore circa l’alterazione della merce è sufficiente a integrare la responsabilità penale, senza necessità di provare che sia stato lui stesso l’autore materiale della manipolazione. Inoltre, i principi procedurali, come quello di correlazione tra accusa e sentenza, sono interpretati in modo da tutelare il diritto di difesa in concreto, senza trasformarsi in formalismi che ostacolino l’accertamento della verità, specialmente quando l’imputato ha avuto piena possibilità di difendersi sui fatti materiali contestati.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori del settore alimentare. La responsabilità per la sicurezza dei prodotti messi in commercio è rigorosa e non ammette leggerezze. La pronuncia chiarisce che la semplice messa in vendita di un prodotto alterato, con la consapevolezza di tale alterazione, è una condotta penalmente rilevante e di difficile giustificazione. Le conclusioni pratiche sono chiare: non è possibile invocare la “particolare tenuità del fatto” quando l’adulterazione alimenti crea un pericolo concreto e significativo per la salute dei consumatori. La decisione conferma, infine, che la giustizia penale valuta la sostanza dei fatti, respingendo cavilli procedurali quando il diritto di difesa è stato, nella sostanza, garantito.

Quando la vendita di un alimento con additivi non permessi costituisce reato?
La vendita di un prodotto alimentare, come una salsiccia contenente solfiti vietati, costituisce reato ai sensi dell’art. 516 del codice penale quando il venditore, pur consapevole dell’alterazione della merce, la mette in commercio, rendendola potenzialmente pericolosa per la salute pubblica.

È possibile essere condannati per un’aggravante non esplicitamente contestata?
Secondo la Corte, non si ha una violazione del diritto di difesa se il giudice riconosce un elemento giuridico, come un’aggravante, che emerge direttamente dai fatti materiali descritti nel capo d’imputazione. Ciò è possibile a condizione che l’imputato abbia avuto la possibilità di difendersi su tutti gli aspetti dell’accusa fattuale.

Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”?
La causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. non è stata applicata perché il Tribunale, con decisione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto che la condotta presentasse un grado di pericolosità significativo per la salute pubblica. La valutazione della “tenuità” richiede un’analisi complessiva che, in questo caso, ha escluso che il fatto potesse essere considerato di lieve entità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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