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Adulterazione alimentare: condanna anche senza perizia

Il titolare di una macelleria viene condannato per il reato di adulterazione alimentare a causa della presenza di solfiti in un campione di salsiccia. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che il pericolo per la salute pubblica, elemento costitutivo del reato, può essere provato anche senza una specifica perizia tecnica, basandosi sulla natura e sulla quantità dell’additivo vietato rinvenuto.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Adulterazione alimentare: la Cassazione conferma la condanna anche senza perizia

La sicurezza alimentare è un bene primario tutelato con rigore dal nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21901/2024) ha ribadito principi fondamentali in materia di adulterazione alimentare, chiarendo come si possa giungere a una condanna anche in assenza di una perizia tecnica specifica che attesti il pericolo concreto per la salute. Analizziamo il caso e le importanti conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa: Solfiti nella Salsiccia

Tutto ha origine da un controllo effettuato dall’azienda sanitaria presso la macelleria di un commerciante. Durante l’ispezione, veniva prelevato un campione di salsiccia fresca di carne suina, conservata in un vassoio all’interno della cella frigorifera. Le analisi di laboratorio rivelavano la presenza di ione solfito in una quantità pari a 47 mg/kg, un additivo chimico il cui uso è assolutamente vietato nelle carni fresche.

La difesa dell’imputato sosteneva una tesi singolare: la contaminazione sarebbe stata puramente accidentale. La madre dell’imputato, la sera precedente, avrebbe usato lo stesso vassoio per pesare del solfito destinato alla fermentazione del vino di produzione propria. La carne, secondo la difesa, era inoltre destinata allo smaltimento e non alla vendita.

Nonostante le testimonianze dei familiari a supporto di questa versione, sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello condannavano il macellaio per il reato di cui all’art. 440 del codice penale, pur riducendo la pena in secondo grado a 2 anni di reclusione (con sospensione condizionale).

La Decisione della Corte: l’adulterazione alimentare e i vizi processuali

L’imputato ricorreva in Cassazione basandosi su sette diversi motivi, che spaziavano da vizi procedurali a questioni di merito sulla qualificazione del reato. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali.

Le Eccezioni Processuali: Notifica e Competenza

La difesa aveva lamentato due importanti vizi procedurali: un errore nella notifica della citazione per il giudizio d’appello e il fatto che il processo di primo grado si fosse tenuto davanti a un giudice monocratico anziché collegiale. La Corte ha respinto entrambe le doglianze, qualificandole come tardive. Ha chiarito che tali nullità, non essendo assolute, devono essere eccepite tempestivamente nelle sedi e nei termini previsti dal codice di procedura, cosa che la difesa non aveva fatto.

Il Pericolo per la Salute Pubblica come fulcro dell’adulterazione alimentare

Il punto centrale della sentenza riguarda la prova del pericolo per la salute pubblica, elemento essenziale per configurare il delitto di adulterazione alimentare. La difesa sosteneva che, in assenza di accertamenti tecnici specifici sul pericolo derivante da quella modesta quantità di solfito, il reato non sussistesse.

La Cassazione ha smontato questa tesi, affermando un principio consolidato: la prova del pericolo è libera nelle forme. Non è necessaria una perizia, potendo il giudice ricavare la pericolosità da altri elementi. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto sufficienti due fattori:
1. La natura della sostanza: I solfiti sono additivi di notoria pericolosità, tanto che il loro uso è assolutamente vietato per legge (D.M. 209/1996) nelle carni fresche.
2. La quantità rilevata: La concentrazione di 47 mg/kg è quasi cinque volte superiore al limite (10 mg/kg) che, per altri alimenti, fa scattare l’obbligo di segnalazione in etichetta.

Questa palese violazione di legge, unita alla natura della sostanza, è stata ritenuta sufficiente a dimostrare la pericolosità per la pubblica incolumità, integrando così tutti gli elementi del reato contestato.

La Buona Fede e la Valutazione delle Prove

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla presunta buona fede dell’imputato. La valutazione della credibilità dei testimoni (in questo caso, i familiari) è una prerogativa dei giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno di manifeste illogicità, qui non riscontrate. Inoltre, la sentenza di appello aveva correttamente sottolineato che, in ogni caso, sull’esercente grava un preciso onere di vigilanza sui prodotti presenti nel proprio locale commerciale.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ribadito che il delitto di adulterazione alimentare è un reato di pericolo concreto, il cui accertamento non è vincolato a specifiche forme di prova come la perizia. La presenza di un additivo vietato e notoriamente pericoloso per la salute, in quantità significativa e in palese violazione delle normative di settore, costituisce di per sé un elemento sufficiente a dimostrare la pericolosità della sostanza alimentare per la pubblica incolumità. La motivazione sottolinea inoltre il rigore con cui devono essere osservati i termini processuali per sollevare eccezioni di nullità, pena la loro decadenza.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori del settore alimentare. La responsabilità per la sicurezza dei prodotti è massima e non ammette negligenze. La decisione conferma che la tutela della salute pubblica prevale e che la giustificazione di una contaminazione accidentale deve essere provata in modo rigoroso e credibile. Sul piano giuridico, viene consolidato il principio secondo cui la pericolosità di un alimento adulterato può essere desunta logicamente dalla violazione delle norme sanitarie, senza la necessità di ulteriori e complessi accertamenti tecnici, snellendo così l’accertamento di un reato così grave.

Per configurare il reato di adulterazione alimentare è sempre necessaria una perizia tecnica che accerti il pericolo per la salute pubblica?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la prova del pericolo è libera nelle forme. Il giudice può desumere la pericolosità da altri elementi, come la natura della sostanza vietata, la sua quantità e la palese violazione delle norme sanitarie, senza che sia indispensabile un accertamento di carattere peritale.

Un errore nella notifica dell’atto di citazione a giudizio comporta sempre la nullità assoluta della sentenza?
No. La sentenza chiarisce che un’irregolarità nella notifica, come quella avvenuta al difensore anziché al domicilio dichiarato, integra una nullità di ordine generale a regime intermedio. Tale nullità deve essere eccepita dalla parte interessata nel primo atto successivo, altrimenti si considera sanata e non può essere fatta valere per la prima volta in Cassazione.

La giustificazione che una sostanza vietata sia finita accidentalmente in un alimento è sufficiente per escludere la responsabilità penale?
Non necessariamente. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto non credibile la versione dell’imputato e dei suoi familiari. La Corte di Cassazione ha confermato che la valutazione sulla credibilità delle testimonianze è di competenza dei giudici di primo e secondo grado. Inoltre, è stato ribadito che sul titolare di un’attività commerciale grava un onere di vigilanza che non può essere eluso con leggerezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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