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Acquisizione prove digitali: quando è valida?

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di omicidio preterintenzionale in cui la difesa contestava le modalità di acquisizione delle prove digitali, in particolare i filmati di videosorveglianza. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la violazione delle procedure tecniche non comporta l’automatica inutilizzabilità della prova, ma ne influenza l’attendibilità. Inoltre, ha applicato il principio della “prova di resistenza”, evidenziando che l’impianto accusatorio si basava anche su altre fonti di prova decisive, come intercettazioni e ammissioni.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Acquisizione prove digitali: Non basta l’irregolarità per renderle inutilizzabili

L’era digitale ha reso le prove informatiche, come i video di sorveglianza, centrali in molti procedimenti penali. Ma cosa succede se le procedure tecniche per la loro raccolta non vengono seguite alla lettera? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34707/2024) offre un chiarimento fondamentale, distinguendo tra l’inutilizzabilità e la mera attendibilità della prova. La corretta acquisizione delle prove digitali è cruciale, ma un vizio formale non sempre invalida l’intero quadro accusatorio.

I Fatti del Caso: Un Epilogo Tragico

Il caso nasce da un tragico evento accaduto presso un’importante struttura per eventi musicali. Durante un diverbio tra uno spettatore e il datore di lavoro di una ditta di allestimenti, un dipendente di quest’ultima è intervenuto colpendo lo spettatore con un pugno alla base del cranio. La vittima, colta di sorpresa e trovandosi su una scalinata, ha perso l’equilibrio, cadendo rovinosamente e perdendo la vita a causa delle gravi lesioni riportate.
Le indagini hanno portato all’applicazione della custodia cautelare in carcere per l’indagato con l’accusa di omicidio preterintenzionale. La decisione è stata confermata anche dal Tribunale del riesame.

Il Ricorso in Cassazione e la contestata Acquisizione delle Prove Digitali

La difesa ha impugnato l’ordinanza cautelare dinanzi alla Corte di Cassazione, concentrando le proprie censure su un unico, specifico punto: le modalità di acquisizione delle prove digitali. In particolare, si contestava la validità dei filmati estratti dalle telecamere di videosorveglianza della struttura.
Secondo il ricorrente, le operazioni non avrebbero rispettato i protocolli tecnici previsti dalla legge (in particolare la L. 48/2008 e l’art. 354 c.p.p.), lamentando l’assenza di verbali dettagliati, la mancata indicazione dei valori hash a garanzia dell’integrità dei file, e l’omessa specificazione del sistema utilizzato. Tali violazioni, a dire della difesa, avrebbero dovuto comportare l’inutilizzabilità dei filmati ai sensi dell’art. 191 c.p.p.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e aspecifico. Le motivazioni della decisione si basano su due principi cardine della procedura penale.

Distinzione tra Inutilizzabilità e Attendibilità

Il primo punto chiarito dalla Corte è la differenza sostanziale tra l’inutilizzabilità di una prova e la sua attendibilità. L’inutilizzabilità è una sanzione grave, prevista solo quando una prova viene acquisita in violazione di un divieto esplicitamente stabilito dalla legge. Le norme tecniche sull’acquisizione delle prove digitali, pur essendo importanti per assicurare la genuinità e l’immodificabilità del dato informatico, non sono presidiate da un divieto probatorio. Di conseguenza, la loro violazione non rende il dato automaticamente inutilizzabile.
Piuttosto, la mancata adozione di tali cautele può incidere sull’attendibilità della prova. Spetterà al giudice di merito, nel corso del processo, valutare se le modalità di estrazione dei file ne abbiano compromesso l’affidabilità, ma non si tratta di una questione che può essere risolta con l’esclusione a priori della prova.

Il Principio della “Prova di Resistenza”

Il secondo argomento, decisivo, è l’applicazione del cosiddetto “principio della prova di resistenza”. La Corte ha sottolineato che il ricorso era aspecifico perché la difesa, pur lamentando l’irregolarità dei video, non aveva dimostrato perché tale prova fosse decisiva per l’intero impianto accusatorio.
Il Tribunale del riesame, infatti, aveva basato la propria decisione su una pluralità di fonti di prova:
1. Intercettazioni: In una conversazione, un collega dell’indagato descriveva il colpo come “una bomba da dietro”.
2. Dichiarazioni confessorie: Lo stesso indagato, intercettato, aveva ammesso di aver dato una “spinta” alla vittima sulle scale.
3. Testimonianze: Un agente di polizia giudiziaria aveva udito l’indagato, nell’immediatezza dei fatti, ammettere di aver colpito la vittima, mimando il gesto.

Dinanzi a un quadro così solido, anche se i filmati fossero stati eliminati, le altre prove sarebbero state più che sufficienti a sostenere la gravità indiziaria richiesta per la misura cautelare. Il ricorso fallisce quindi la “prova di resistenza”, poiché l’eventuale accoglimento della censura non avrebbe modificato l’esito della decisione.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale pragmatico e rigoroso in materia di prove digitali. Viene ribadito che, per contestare efficacemente l’acquisizione di un dato informatico, non è sufficiente denunciare una mera irregolarità formale. È necessario, invece, dimostrare in concreto come tale irregolarità abbia inficiato l’affidabilità della prova e, soprattutto, che quella prova sia stata l’elemento determinante su cui si fonda la decisione del giudice. In assenza di questi elementi, e in presenza di un quadro indiziario composito, il ricorso è destinato a essere respinto.

La violazione delle procedure tecniche per l’acquisizione di un video di sorveglianza rende la prova sempre inutilizzabile?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la mancata adozione di specifici protocolli tecnici (come il calcolo dell’hash) non comporta automaticamente l’inutilizzabilità della prova, prevista solo in caso di violazione di un divieto probatorio esplicito. Tali irregolarità possono, invece, incidere sull’attendibilità della prova, valutazione che spetta al giudice di merito.

Cosa significa “prova di resistenza” in un ricorso per cassazione?
È un principio secondo cui, se si contesta l’uso di un elemento di prova, il ricorrente deve dimostrare che l’eliminazione di quella singola prova renderebbe l’intero quadro accusatorio insufficiente. Se, anche senza quella prova, gli altri elementi a carico sono sufficienti a giustificare la decisione, il ricorso viene respinto per mancanza di decisività.

In un procedimento cautelare, è sufficiente contestare genericamente l’acquisizione di una prova digitale per ottenere l’annullamento della misura?
No. Il ricorso deve essere specifico. Non basta lamentare in astratto la violazione di protocolli. Il ricorrente deve indicare quali parti della prova sarebbero inaffidabili a causa della violazione e, soprattutto, dimostrare che quella prova è stata decisiva per la decisione del giudice, superando la “prova di resistenza”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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