Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21661 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21661 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pompei il 23/7/1966
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pompei il 11/12/1990
NOME NOMECOGNOME nato a Pompei il 17/12/1993
COGNOME NOMECOGNOME nato a San Giorgio a Cremano il 28/9/1993
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 22/3/1977
COGNOME COGNOME nato a San Giuseppe Vesuviano il 28/9/1978
avverso la sentenza del 26/4/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare tutti i ricorsi; udito per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; uditi per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; udito per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
udito per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
udito per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 aprile 2021 il Tribunale di Noia, a seguito di giudizio ordinario, dichiarò:
NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 4, d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), condannandolo alla pena di 12 anni di reclusione;
NOME COGNOME responsabile dei reati di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 4 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), e di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73, commi 1 e 6, e 80 d.P.R. 309/90 (capo B della rubrica) e 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capi C, F, G della rubrica), condannando alla pena di 16 anni e 6 mesi di reclusione;
NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 4, d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica) e del reato di cui agli artt. 10 e 14 I. 497/74 (capo L della rubrica), condannandolo alla pena di 14 anni e 6 mesi di reclusione;
NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 4, d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), del reato di cui all’art. 12 quinquies di. 306/92, convertito nella I. n. 356 del 1992 (capo D della rubrica) e del reato di cui agli artt 73 e 80 d.P.R. 309/90 (capo F della rubrica), condannandolo alla pena di 13 anni e 6 mesi di reclusione;
NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 4, d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica) e del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (capo C della rubrica), condannandolo alla pena di 15 anni di reclusione;
NOME COGNOME responsabile dei reati di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 4 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), e di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73, commi 1 e 6, e 80 d.P.R. 309/90 (capo B della rubrica), 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capi C, F, G della rubrica), nonché del reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/92, convertito nella I. n. 356 del 1992 (capo D della rubrica) e del reato di cui agli artt. 10 e 1 I. 497/74 (capo I della rubrica), condannando alla pena di 30 anni di reclusione.
La Corte d’appello di Napoli, provvedendo con la sentenza indicata in epigrafe sulle impugnazioni degli imputati, ha assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME dai reati di cui ai capi I e L perché il fatto non sussiste, ha escluso la recidiva contestata ad NOME COGNOME e ha escluso per tutti gli imputati la circostanza aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/90, così rideterminando le pene inflitte:
NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), 10 anni di reclusione;
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica) e di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73, commi 1 e 6, e 80 d.P.R. 309/90 (capo B della rubrica) e 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capi C, F, G della rubrica), 13 anni e 3 mesi di reclusione;
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NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), 10 anni di reclusione;
NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), al reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/92, convertito nella I. n. 356 del 1992 (capo D della rubrica) e al reato di cui agli artt. 73 e 8 d.P.R. 309/90 (capo F della rubrica), 11 anni e 3 mesi di reclusione;
NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica) e al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (capo C della rubrica), 10 anni e 9 mesi di reclusione;
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), e di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73, commi 1 e 6, e 80 d.P.R. 309/90 (capo B della rubrica), 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capi C, F, G della rubrica), e al reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/92, convertito nella I. n. 356 del 1992 (capo D della rubrica), 24 anni e 3 mesi anni di reclusione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME mediante gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo hanno affidato a due motivi.
2.1. Con il primo, articolato, motivo ha denunciato la violazione degli artt. 125, 192, comma 2, 546, comma 1, cod. proc. pen. e 74 d.P.R. 309/90 e un vizio della motivazione, con riferimento alla esistenza del sodalizio criminoso di cui al capo a) e alla partecipazione allo stesso del ricorrente.
Dopo aver richiamato i criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per poter ritenere dimostrata la partecipazione a una associazione a delinquere, nonché quelli stabiliti per esaminare gli indizi e per valutare i contenuto di conversazioni intercettate, specie se a fine di prova di un reato associativo, ha evidenziato la carenza della motivazione di entrambe le sentenze di merito nella parte relativa alla prova della esistenza del sodalizio di cui al capo a), quale gruppo caratterizzato da un vincolo associativo perdurante, dotato di una struttura organizzata e volto alla attuazione di un programma criminoso indeterminato, che era stata desunta dalla sola consumazione dei reati fine e senza considerare che questi avevano visto coinvolti soggetti diversi.
Ha sottolineato, peraltro, sul punto, che al ricorrente non era stata contestata la commissione di alcun reato fine e che, in ogni caso, i dati probatori valorizzati nelle sentenze di merito non davano conto della effettività di un vincolo strutturale continuativo, emergendo semmai l’esistenza di un gruppo di individui coinvolti nella commissione di singoli reati in materia di stupefacenti, come desumibile dal coinvolgimento di diversi soggetti nei diversi reati fine, dalla assenza di una cassa comune o, comunque, di specifiche forme di suddivisione dei proventi e dalla assenza di significativi rapporti tra gli imputati.
Ha censurato, in particolare, la rilevanza probatoria attribuita alla ritenuta esperienza del ricorrente nella attività di “taglio” delle sostanze stupefacenti, da cui era stata tratta illogicamente la prova della sua partecipazione alla associazione, attraverso una forzatura di tale dato probatorio, che ne determinava un vero e proprio travisamento, con riferimento alla affermazione della disponibilità di un rilevante quantitativo di cocaina e della riferibilità di sostanza a NOME COGNOME.
Analoghe censure ha sollevato in relazione all’altro dato probatorio valorizzato dai giudici di merito per poter ritenere il ricorrente partecipe della associazione, costituito dalla sua pretesa esperienza di bonificatore delle microspie presenti nelle autovetture in uso al sodalizio, sottolineando che né la vettura sulla quale era avvenuto il dialogo intercettato (una Fiat 500 L), né quelle oggetto del dialogo (una Audi S3 e una Fiat Panda di colore grigio) erano mai appartenute al sodalizio, e anche a proposito dell’aver contribuito alla ricerca e alla organizzazione di incontri con altri esponenti del narcotraffico campano allo scopo di procurare altri canali di approvvigionamento al gruppo, da cui non potrebbe ricavarsi un consapevole contributo causale del ricorrente alla attività della compagine associativa, ma solamente, semmai, la collaborazione con un singolo soggetto.
Ha evidenziato anche che le suddette condotte, ritenute dimostrative dell’inserimento del ricorrente nel sodalizio, erano tutte successive alla realizzazione dei reati fine, dunque prive di efficacia causale rispetto agli scopi della associazione.
Infine, ha censurato anche la rilevanza attribuita alle dichiarazioni dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME e al dialogo intercorso tra il ricorrente e il nipote NOME COGNOME, captato il 16/2/2017, in quanto le dichiarazioni di COGNOME si riferivano a una collaborazione prestata dal ricorrente tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014, COGNOME si era limitato a riconoscere i ricorrente per averlo visto una volta in casa di COGNOME e dalla conversazione con il nipote emergeva solo la conoscenza da parte del ricorrente di fatti di penale rilevanza, ma non anche la dimostrazione di un contributo causale alla sussistenza o alla permanenza della associazione contestata.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e processuale e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, escluse omettendo di considerare che il coinvolgimento dell’imputato nelle attività illecite si era protratto per soli tre mesi dell’anno 2017, che il ricorrente n proviene da un ambiente familiare riconducibile all’ambito della criminalità organizzata, nonché lo stato di incensuratezza e la condotta processuale del ricorrente medesimo.
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Ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della medesima sentenza anche NOME COGNOME mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo ha denunciato l’errata applicazione degli artt. 267 e 271 cod. proc. pen. e 13 d.l. 192/91 e un vizio della motivazione, con riferimento alla utilizzabilità delle intercettazioni di cui ai decreti 475/16 e 567/16 (convalida dal giudice per le indagini preliminari il 17/2/2016), e di quelli successivi, tra cui decreti 605 e 612 del 17/2/2016 e il decreto 1718/16 del 4/5/2016, emessi d’urgenza con motivazione apparente, in quanto l’indizio sulla base del quale erano state disposte dette intercettazioni, costituito sulle risultanze di intercettazio ambientali disposte in un altro procedimento a carico di altri soggetti, nel corso delle quali, in una conversazione del 31/12/2015 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME era stata pronunciata una frase ritenuta indiziante a carico di NOME COGNOME (“NOME ha 150 cosi a terra”), non era affatto dimostrativo della disponibilità di droga da parte di COGNOME, né della esistenza di una attività criminale organizzata, con la conseguenza che le operazioni di intercettazione non avrebbero comunque potuto superare 15 giorni di durata. Ciò determinerebbe l’illegittimità del decreto autorizzativo, emesso in via d’urgenza, e di quelli successivi, giustificati sulla base del medesimo elemento indiziario, e la conseguente inutilizzabilità delle conversazioni intercettate, sul cui contenuto era stata fondata l’affermazione di responsabilità di COGNOME e anche del ricorrente.
3.2. Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e l’erronea interpretazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 e la mancanza della motivazione, con riferimento alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il delitto di cui all’art cit. di cui al capo a), per essere stata ritenuta la partecipazione del ricorrente tale associazione solamente sulla base del suo rapporto di parentela con lo zio NOME COGNOME omettendo di considerare che i partecipi alla realizzazione dei vari reati fine erano diversi e che non vi erano elementi da cui desumere la consapevolezza del ricorrente di contribuire con la propria condotta al progetto criminale di COGNOME anziché concorrere nei singoli reati fine. La responsabilità in ordine al reato associativo sarebbe, dunque, stata ricavata esclusivamente dalla partecipazione ad alcuni dei reati fine.
3.3. Con il terzo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 133 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione, stabiliti in misura analoga per reati di differente gravità.
Difformemente a quanto indicato nell’epigrafe del motivo con lo stesso si censura l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo c), contestando la valenza dimostrativa attribuita alla conversazione intercettata in data 5/9/2016 tra i passeggeri della automobile su cui si trovavano COGNOME e tale
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NOMECOGNOME da cui non emergeva che il ricorrente avesse ceduto la sostanza stupefacente indicata nella imputazione a NOME, difettando anche la prova della cessione stessa e del fatto che la stessa avesse riguardato un chilogrammo di cocaina.
3.4. Con un quarto motivo ha denunciato la mancanza di motivazione con riferimento alle censure sollevate con l’atto di appello in ordine alla affermazione di responsabilità in relazione al reato di cui al capo b), relativo a un tentativo d importazione di stupefacenti dall’Olanda, in quanto la condivisione e la consapevolezza di tale programma criminoso era stata tratta unicamente dalla sua presenza in Olanda, senza spiegare perché la sua presenza dovesse equivalere a condivisione e consapevolezza del programma criminoso del cugino NOME COGNOME.
3.5. Infine, con un quinto motivo, ha denunciato un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione, stabiliti in misura identica, pari a nove mesi di reclusione, per ciascuno dei reati ritenuti avvinti dal medesimo disegno criminoso, nonostante la loro diversa gravità, in quanto il capo c) riguarda la cessione di un chilogrammo di cocaina, il capo f) attiene alla cessione di 40 chilogrammi di hashish e il capo g) riguarda cessioni di quantitativi non precisati di cocaina, cosicché gli aumenti di pena per ciascuno di essi avrebbero dovuto essere diversificati in ragione della diversa gravità delle condotte.
Anche NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a nove motivi.
4.1. In primo luogo, ha eccepito l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate a causa della illegittima modalità di acquisizione del codice IMEI dell’utenza telefonica attribuita a NOME COGNOME a causa dell’utilizzo, nel corso delle indagini, in mancanza di qualsiasi autorizzazione del giudice, di un sistema di monitoraggio di apparati telefonici e identificazione di codici IMEI, in quanto l’apparecchiatura tecnica utilizzata dalla polizia giudiziaria aveva consentito di captare il segnale telefonico dell’indagato e leggerlo in modo da estrarre il codice seriale IMEI, in violazione della sfera di riservatezza tutelata dall’art. 15 Cost. stante l’assenza di un provvedimento autorizzativo del giudice al compimento di tale attività di captazione.
Una tale autorizzazione si renderebbe necessaria in considerazione della intrusione compiuta nella sfera di riservatezza dell’individuo, in quanto conduce alla identificazione del chiamante ed è dunque in grado di intromettersi nella sfera di riservatezza del soggetto.
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Ha richiamato, in proposito la giurisprudenza della Corte EDU relativa alla acquisizione degli indirizzi IP (si richiama la sentenza COGNOME v. Slovenia), secondo cui le informazioni personali relative all’utilizzo del telefono, della posta elettronica e della rete internet rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. della Convenzione EDU, ossia la norma che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare e dunque alla riservatezza delle comunicazioni, per la cui acquisizione occorre un ordine giudiziale.
L’acquisizione del codice IMEI da parte della polizia giudiziaria italiana doveva, dunque, considerarsi illegittima, essendo priva di una base nella legge nazionale, accessibile alla persona coinvolta, di cui questa possa prevedere le conseguenze e che sia compatibile con i principi di diritto convenzionali, assimilabile, per la sua portata, alla acquisizione dell’indirizzo IP.
La decisione relativa alla fase cautelare resa dalla Quarta Sezione di questa Corte, n. 41385 del 2018, era anteriore alla sentenza della Corte EDU e per questa ragione non era stata considerata in tale decisione, mentre dovrebbe esserlo, contenendo l’affermazione di principi, circa i presupposti per poter acquisire i codici IMEI, rilevanti nella vicenda in esame.
L’illegittimità della acquisizione del codice IMEI determinerebbe anche l’illegittimità del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione e di que successivi e, conseguentemente, l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate.
In subordine ha prospettato l’illegittimità costituzionale dell’art. 256 cod. proc. pen. per violazione dell’art. 15 Cost. e dell’art. 8 della CEDU.
4.2. In secondo luogo, ha eccepito l’inutilizzabilità dei decreti di intercettazione 475 /16, 567/16, 586/16 e 605/16, in quanto fondati su un unico dato investigativo, costituito dalla conversazione intercettata presso l’abitazione di NOME COGNOME nel corso della quale gli interlocutori avevano fatto riferimento alla disponibilità da parte di tale “NOME il chiattone” di 1 chilogrammi di merce, benché dalla trascrizione di tale conversazione fosse in realtà emerso che il detentore di “centocinquanta cosi a terra” non era il suddetto NOME (ritenuto essere NOME COGNOME) bensì tale “Panzalone”, contrariamente a quanto affermato dalla polizia giudiziaria sulla base di registrazioni difficilmente comprensibili a causa dei rumori di fondo, con la conseguenza che i suddetti decreti autorizzativi delle operazioni di intercettazione, nn. 475/16 e 567/16 erano privi del necessario supporto giustificativo, con la conseguente inutilizzabilità dei relativi esiti.
Sarebbe, inoltre, erronea l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la circostanza della disponibilità da parte del suddetto “Panzalone” avrebbe comunque consentito di dare avvio alle operazioni di intercettazione nei confronti di COGNOME, allo scopo di accertare l’identità dei detentori della sostanza
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stupefacente, non essendovi elementi indizianti a carico di COGNOME che consentissero di disporre le intercettazioni nei suoi confronti.
4.3. Con il terzo motivo ha eccepito l’inutilizzabilità dei decreti d intercettazione 586/16, 605/16, 612/16, 2277/16 e 2314/16 sulla base del rilievo che il primo di detti decreti riguardava il dispositivo con codice IMEI 35195207806405, captato dalla polizia giudiziaria attraverso il rilevatore di IMEI nei pressi della abitazione di Scarpa, ossia a ridosso di un edificio composto da diversi appartamenti, mentre il secondo era, relativo all’utenza NUMERO_DOCUMENTO, associata al predetto codice IMEI, con la conseguenza che al momento dell’avvio delle operazioni di intercettazione non vi era alcuna certezza che il codice IMEI e l’utenza telefonica a esso associato fossero riferibili a COGNOME, in quanto ciò era emerso solamente dal successivo ascolto delle conversazioni intercettate.
Ciò determinerebbe, ad avviso del ricorrente, l’illegittimità dei decreti autorizzativi, in quanto fondati su indizi di reato avulsi da COGNOME, illegittimità ch non poteva ritenersi sanata dalla successiva convalida disposta dal giudice per le indagini preliminari, trattandosi di vera e propria carenza dei presupposti di gravità indiziaria necessari per disporre le intercettazioni, non sanabile dal provvedimento di convalida, che tra l’altro aveva fatto riferimento, per ricondurre l’utenza a COGNOME, al tentativo di contatto di una utenza spagnola, pur trattandosi di elemento non individualizzante, con la conseguenza che le intercettazioni risultavano essere state disposte sulla base di indizi generici, ossia senza l’individuazione di una ipotesi di reato e della sua riconducibilità a COGNOME.
Analoghi rilievi si sollevano con riferimento al decreto 612/16, relativo all’utenza straniera n. NUMERO_DOCUMENTO, in quanto alla data di emissione di tale decreto non erano emersi elementi indiziari in ordine all’utilizzo di utenze straniere per traffici di droga, tantomeno da parte di NOME COGNOME né per ritenere che le utenze telefoniche straniere intercettate fossero in uso a COGNOME, essendo tali circostanze emerse solo successivamente mediante le operazioni di ascolto.
Anche in relazione ai decreti 2277/16 e 2314/16 ha sollevato analoghe censure, in quanto relativi a dispositivi con codici IMEI acquisiti nei pressi della abitazione di COGNOME e di cui non era certa l’attribuzione a quest’ultimo.
4.4. Con il quarto motivo ha eccepito l’illegittimità delle proroghe del decreto 605/16, in quanto le conversazioni captate non contenevano alcuna conferma delle ipotesi investigative, avendo offerto dialoghi neutri e irrilevanti, tali da n consentire la prosecuzione delle operazioni di intercettazione, posto che il dato relativo alle autovetture citate nelle conversazioni non era relativo a partite di droga, come ritenuto dalla polizia giudiziaria, bensì a una reale compravendita di una automobile.
4.5. Con il quinto motivo ha lamentato un vizio della motivazione in ordine alla propria richiesta di revoca di alcune ordinanze di acquisizione probatoria e alla
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richiesta di acquisizione della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di NOME COGNOME per il reato contestato in concorso con NOME COGNOME
Ha esposto che con l’atto d’appello aveva censurato l’acquisizione della richiesta di rinvio a giudizio di COGNOME in altro procedimento penale, delle ordinanze rese dal Tribunale di Napoli in sede di riesame, dell’ordinanza cautelare resa nel presente procedimento, dei verbali relativi ai sequestri di stupefacenti contro ignoti eseguiti presso i porti di Salerno e di Gioia Tauro e del dispositivo della sentenza resa in altro procedimento penale, in quanto non pertinenti e non rilevanti rispetto alle contestazioni; con il medesimo atto di gravame era stata chiesta l’acquisizione presso l’autorità giudiziaria olandese della sentenza di assoluzione di NOME in quanto decisiva in relazione al reato di cui al capo b), contestato in concorso al ricorrente; tali richieste erano, però, state disattese dalla Corte d’appello con motivazione errata, trattandosi di atti contro ignoti e privi di definitività, ma nonostante ciò considerati dalla Corte d’appello.
4.6. Con il sesto motivo ha denunciato un vizio della motivazione con riferimento alla affermazione di responsabilità del ricorrente in relazione al reato associativo di cui al capo a), evidenziando come dalle conversazioni intercettate tra COGNOME e COGNOME non fossero emersi elementi dimostrativi di un accordo per l’importazione di droga (di cui al capo b), risultando congetturale l’affermazione della Corte d’appello secondo cui vi erano altre utenze non controllate utilizzate da COGNOME e COGNOME per le loro comunicazioni relative ai traffici illeciti di stupefacenti; altrettanto congetturale risulterebbe, poi, l’affermazione, anch’essa contenuta nella sentenza impugnata, di incontri tra COGNOME ed emissari di COGNOME; si censura anche il rilievo attribuito alle conversazioni intercorse tra lo stesso COGNOME e COGNOME successivamente all’arresto del ricorrente NOME COGNOME, impropriamente ritenute dimostrative dell’esistenza di un sodalizio criminoso, come pure il supporto legale fornito da COGNOME al ricorrente, che ne è nipote, a seguito del suo arresto.
Si censura il rilievo attribuito alle conversazioni di COGNOME successivamente all’arresto del ricorrente, spiegabili, anch’esse, con il rapporto di parentela, e anche la mancata considerazione della presenza di elementi che avrebbero consentito di ricondurre l’operazione di importazione ad altro soggetto, tale NOME COGNOME
Ha anche contestato la propria appartenenza alla associazione per delinquere, non desumibile dal suo arresto, che, comunque, era relativo a un unico episodio.
Ha censurato anch’egli l’attendibilità del collaboratore COGNOME e la rilevanza attribuita dai giudici di merito alle sue dichiarazioni, e anche l’omessa considerazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME, cognato di COGNOME e collaboratore di giustizia, che nulla aveva riferito sul conto di COGNOME, e anche l’inattendibilità del collaboratore COGNOME.
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4.7. Con un settimo motivo ha prospettato un vizio della motivazione anche … con riferimento alla sussistenza del reato di cui al capo a) dell’imp sottolineando la mancanza di accertamenti a proposito delle risorse economiche del gruppo, essendo irrilevanti quelle del solo COGNOME, indebitamente e impropriamente valorizzate dai giudici di merito; l’assenza di sofisticati strumenti di comunicazione (non essendovi elementi univoci a proposito della presenza del software PGP nei telefoni cellulari di Punzo, NOME COGNOME e COGNOME, essendo tale circostanza stata solamente riferita oralmente dal teste COGNOME, che non ne aveva neppure dato atto nei verbali di sequestro); l’irrilevanza dell’uso di utenze spagnole e del frequente cambio dei telefoni cellulari; l’episodicità delle importazioni di stupefacenti; l’estraneità di COGNOME al gruppo; l’assenza di una base operativa (illogicamente individuata nella abitazione di COGNOME); l’assenza di una cassa comune; la mancanza di una filiera di rifornimento dello stupefacente.
Ha censurato anche il giudizio di attendibilità dei collaboratori di giustizia e i rilievo attribuito alle loro dichiarazioni, in particolare di COGNOME e COGNOME
4.8. Con un ottavo motivo, rubricato come dodicesimo, ha denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa al mancato riconoscimento della cessazione da parte del ricorrente della condotta delittuosa di cui al capo a) in data 26/4/2016, fondata su una inesistente presunzione di permanenza, applicabile alle associazioni di stampo camorristico, e disgiunta da qualsiasi elemento dimostrativo della prosecuzione della partecipazione al sodalizio oltre tale data.
4.9. Con un nono motivo, rubricato come tredicesimo, ha lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante non gli fosse stato contestato il reato di cui al capo b), tuttavia considerato ai fini del valutazione della gravità della condotta, e senza considerare il ruolo marginale e limitato nel tempo all’interno della associazione, il suo contributo limitato a un solo episodio criminoso, la giovane età all’epoca dei fatti.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a cinque motivi.
5.1. Con il primo motivo ha denunciato anch’egli la violazione dell’ad 74 d.P.R. 309/90 e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della sussistenza della associazione a delinquere di cui al capo a) e anche a proposito della affermazione della propria partecipazione a tale associazione.
Ha censurato, anzitutto, il rilievo attribuito alle dichiarazioni dei collaborato di giustizia COGNOME, NOME e NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, relative a fatti risalenti agli anni 2002, 2006, 2007 e 2008 e quindi irrilevanti rispetto alla prova dell’esistenza del sodalizio di cui capo a), contestato come
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operante da febbraio 2016 a marzo 2017, e anche a quelle dei collaboratori COGNOME e COGNOME relative a contatti da loro intrattenuti con COGNOME come tali irrilevanti, e ha sottolineato la mancanza di elementi dimostrativi della esistenza di una struttura organizzativa del sodalizio, della predisposizione di mezzi e risorse economiche, della prova di un accordo e della assunzione di ruoli significativamente diretti alla realizzazione di plurimi obiettivi.
Ha denunciato l’illogicità della affermazione della esistenza del sodalizio, in quanto desunta dalla esistenza di conversazioni captate tra soggetti comunque legati da rapporti di parentela o familiarità e sulle dichiarazioni dei collaboratori benché relative a periodi precedenti a quello di operatività della associazione, come rilevato a proposito dell’esame dei rilievi sollevati in ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/90, che aveva indotto la Corte d’appello a escluderne la configurabilità proprio in considerazione del riferirsi dette dichiarazioni a un periodo precedente a quello di operatività del sodalizio.
Le dichiarazioni dei collaboratori, in particolare COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME sarebbero generiche quanto alla esistenza di una struttura associativa riconducibile alla suddetta associazione di cui al capo a) e sarebbero state impropriamente e illogicamente valorizzate quanto alle condotte successive agli anni cui le stesse si riferiscono, essendo tutte relative al periodo 2006 – 2008, e, quelle di COGNOME, al 2014.
Le dichiarazioni di COGNOME che ha riferito di aver conosciuto COGNOME nel dicembre 2016 e di aver da lui acquistato in tre occasioni sostanza stupefacente, in una occasione presso l’abitazione di COGNOME, risulterebbero di dubbia credibilità perché lo stesso ha dichiarato di riconoscere NOME COGNOME benché questi sia stato ininterrottamente detenuto in Olanda dal 2016 al 2018.
In ogni caso nessuno dei collaboratori, neppure COGNOME aveva riferito dell’esistenza di una struttura associativa, ma solo di rapporti intrattenuti con COGNOME
Sarebbero, pertanto, del tutto insufficienti gli elementi ritenuti dimostrativi della esistenza del sodalizio e della partecipazione allo stesso da parte del ricorrente COGNOME
5.2. Con un secondo motivo ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 12 quinquies d.l. 306/1992 e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità per il reato di cui trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori di cui al capo d) della rubrica.
Ha censurato, in particolare, la rilevanza attribuita a una conversazione intercettata il 3/10/2016 con NOME COGNOME, relativa alle scelte processuali di quest’ultimo, da cui era stata indebitamente e illogicamente desunta la consapevolezza del ricorrente di concorrere nella intestazione fittizia delle quote della società RAGIONE_SOCIALE per conto e nell’interesse di COGNOME, allo scopo di
consentirgli di eludere futuri provvedimenti ablatori di prevenzione, come pure significato attribuito alle altre conversazioni intercettate tra il ricorrente medesimo e COGNOME e anche suoi familiari, dalle quali non poteva desumersi la consapevolezza da parte del ricorrente della possibile futura applicazione di provvedimenti ablatori di prevenzione nei confronti di COGNOME.
5.3. Con un terzo motivo ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90, nonché degli artt. 125, comma 3, e 192 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo f), fondata esclusivamente e in modo illogico sull’incontro tra il ricorrente e NOME COGNOME in data 4/10/2016, benché la condotta contestata sub f) sia stata realizzata il successivo 12/10/2016 e non vi siano elementi ulteriori dimostrativi della partecipazione del ricorrente a tale condotta.
5.4. Con il quarto motivo ha denunciato la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 e degli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della sussistenza della associazione di cui al capo a) e della partecipazione alla stessa del ricorrente e alla mancata considerazione dei rilievi sollevati su tali punti con l’atto d’appello.
Ha ribadito la genericità e la mancanza di concludenza delle dichiarazioni dei collaboratori, in quanto relative a un periodo di tempo anteriore a quello di operatività della associazione e concernenti solamente rapporti di frequentazione tra NOME COGNOME e appartenenti al suo nucleo familiare, sottolineando che nessuno di essi aveva fatto riferimento al ricorrente COGNOME come un appartenente al sodalizio diretto da COGNOME.
Ha sottolineato l’assenza di elementi dimostrativi degli indici della esistenza di una associazione a delinquere, costituiti da una cassa comune, da mezzi e strutture diretti alla agevolazione dell’attività di spaccio, dalla esistenza d consolidati e stabili canali di approvvigionamento dello stupefacente, e anche la precarietà dei rapporti tra i soggetti ritenuti associati, il numero modesto degli stessi e anche dei fatti di reato, costituiti dai quattro episodi di cui ai capi b), f) g), della rubrica.
Analoghi rilievi sono stati sollevati a proposito dell’elemento psicologico del reato associativo, per non essere stata accertata la consapevole volontà di tutti i presunti associati di far parte del sodalizio, che non potrebbe essere desunta dalla sola partecipazione ad alcuni dei reati fine (per il ricorrente il solo capo f), la c realizzazione era comunque cessata nel novembre 2016.
5.5. Con il quinto motivo ha lamentato la violazione degli artt. 62 bis cod. pen. e 125 e 546 cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante il ruolo di minima importanza svolto dal ricorrente, la sua
incensuratezza il positivo comportamento post delictum, posto che il diniego del beneficio era stato giustificato esclusivamente valorizzando la gravità delle condotte.
NOME COGNOME ha affidato il proprio ricorso, redatto dall’Avvocato NOME COGNOME a tre motivi.
6.1. In primo luogo, ha lamentato l’apparenza della motivazione, con riferimento alla effettiva considerazione dei propri motivi d’appello.
Ha esposto che la Corte d’appello aveva, preliminarmente, dichiarato di condividere gli argomenti della sentenza di primo grado e, solo successivamente, e in modo formale, esaminato e disatteso i motivi d’impugnazione, in tal modo vanificando la funzione di controllo sulla correttezza del percorso logico della sentenza impugnata; inoltre, la Corte territoriale aveva omesso di valutare i plurimi profili di contraddittorietà presenti nella sentenza di primo grado con riferimento alla valutazione delle prove e alla sussistenza, in capo all’COGNOME, dell’a ffectio societatis, ossia di aver assunto un vincolo associativo con altri soggetti e di partecipare agli scopi criminosi di tutti gli associati.
In particolare, con l’atto d’impugnazione era stato sottolineato come la prova della partecipazione alla associazione fosse stata desunta esclusivamente dal concorso nella realizzazione delle condotte di cui al capo c), senza l’indicazione di ulteriori condotte agevolative della esistenza e dell’attività della associazione, ma la Corte d’appello si era limitata a disattendere tali rilievi attraverso un generico richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado, nella quale, tra l’altro, la partecipazione del ricorrente COGNOME alle condotte di cui al capo c) era stata illustrata in modo assai generico; nonostante ciò la Corte d’appello si era limitat a recepire, genericamente, quanto esposto sul punto nella sentenza di primo grado, in tal modo omettendo di effettivamente esaminare i propri motivi di impugnazione.
6.2. In secondo luogo, ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90, a proposito della ritenuta adesione del ricorrente al programma criminoso della associazione e della stabile disponibilità ad attuarlo, desunta, in modo illogico, dalla partecipazione alla condotta di cessione di stupefacenti di cui al capo c), da cui era stata ricavata la consapevolezza del ricorrente di operare all’interno di una organizzazione stabile e strutturata, nonostante la mancanza di ulteriori elementi dimostrativi di tale partecipazione e della consapevolezza da parte del ricorrente dell’inserimento in detta organizzazione, benché necessari per distinguere il concorso nel reato dalla partecipazione a un reato associativo.
6.3. Con un terzo motivo ha denunciato un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla determinazione della misura della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, cui la Corte d’appello era pervenuta trascurando
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i segnali di resipiscenza mostrati dal ricorrente nel corso del giudizio di primo grado e violando i criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen. per determinare le pene, senza adeguatamente giustificare, se non attraverso un generico richiamo alla gravità delle condotte, la misura della pena.
Anche NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, mediante gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo hanno affidato a quattordici motivi.
7.1. In primo luogo, ha eccepito anch’egli l’inutilizzabilità delle intercettazion telefoniche a causa della illegittima modalità di acquisizione del codice IMEI dell’utenza telefonica attribuitagli, sulla base di argomenti identici a quelli posti fondamento del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.1., censurando l’utilizzo del cosiddetto IMEI catcher in assenza di autorizzazione giurisdizionale, richiamando anch’egli la sentenza della Corte EDU del 24 aprile 2018, COGNOME c. Slovenia e l’assimilabilità dell’indirizzo IP al codice IMEI, e prospettando per le medesime ragioni l’illegittimità costituzionale dell’art. 256 cod. proc. pen., per violazione dell’art. 15 Cost e dell’art. 8 CEDU.
7.2. In secondo luogo, ha eccepito l’inutilizzabilità dei decreti di intercettazione 475/16, 567/16, 586/16 e 605/16, sulla base di argomenti identici a quelli posti a fondamento del secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.2.
7.3. Con il terzo motivo ha eccepito l’inutilizzabilità dei decreti d intercettazione 586/16, 605/16, 612/16, 2277/16 e 2314/16, sulla base, anche in questo caso, di argomenti identici a quelli posti a fondamento del terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.3.
7.4. Con il quarto motivo ha eccepito anch’egli l’illegittimità delle proroghe del decreto 605/16, sulla base, anche in questo caso, di argomenti identici a quelli posti a fondamento del quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.4.
7.5. Con il quinto motivo ha sollevato i medesimi rilievi oggetto del quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.5., in ordine a vizi del motivazione nella parte relativa alla propria richiesta di revoca di alcune ordinanze di acquisizione probatoria e alla richiesta di acquisizione della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di NOME COGNOME per il reato allo stesso contestato in concorso con NOME COGNOME.
7.6. Con il sesto motivo ha prospettato un vizio della motivazione nella parte relativa alla affermazione della propria responsabilità in ordine al reato di cui al capo b), per ragioni in parte sovrapponibili a quelle del sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.6.
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Ha sottolineato il carattere congetturale della affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, della esistenza di altri canali di comunicazione tra il ricorrente e COGNOME, relativi alla importazione di droga dall’Olanda, non essendo emersi elementi in tal senso dalle conversazioni intercettate, né tra il ricorrente COGNOME né con i nipoti COGNOME o altri trafficanti, posto che l’unico canale alternativo di comunicazione tra il ricorrente e il suddetto COGNOME era costituito dal telefono cellulare della moglie di quest’ultimo (tale COGNOME.
Analoghi rilievi sono stati sollevati a proposito della esistenza di contatti tra medesimo COGNOME ed emissari di COGNOME, relativi al suddetto tentativo di importazione di stupefacenti dall’Olanda di cui al capo b), in quanto anche tale affermazione era frutto di una mera supposizione della Corte d’appello, non essendovi alcuna prova di tali incontri.
I contatti tra il ricorrente e COGNOME successivamente all’arresto in Olanda di NOME COGNOME erano riconducibili all’interesse del ricorrente per le sorti de nipote, posto che da tali conversazioni non emergeva nessuna consapevolezza da parte di COGNOME degli accordi illeciti intercorsi tra il narcotrafficante e suo nipot tenendo conto della circostanza che l’interessamento del ricorrente per le sorti del nipote arrestato era spiegabile anche con lo stato di detenzione del padre di NOME COGNOME NOME COGNOME che gli impediva di attivarsi nell’interesse e a favore del figlio.
Anche le rassicurazioni fornite dal ricorrente a Pequeno, interpretate come dimostrative della sua partecipazione all’accordo illecito per l’importazione di droga dall’Olanda, non denotavano affatto, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello, detta consapevolezza e neppure la partecipazione all’accordo illecito, né ad accordi per la realizzazione di successivi illeciti.
Ha lamentato anche la mancata considerazione di quanto esposto nei motivi d’appello a proposito della riconducibilità della operazione illecita di cui al suddetto capo b) a una associazione criminale facente capo a tale NOME COGNOME emergente anche dagli atti di indagine menzionati dalle difese.
7.7. Con il settimo motivo ha prospettato un analogo vizio della motivazione, che sarebbe assente, manifestamente illogica e contraddittoria, anche con riferimento alla affermazione della propria i responsabilità per il reato di cui al capo c), relativo alla cessione di un chilogrammo di cocaina da NOME COGNOME ed NOME COGNOME e destinata a tale NOME, per essere congetturali e illogici i rilievi della Corte d’appello sulla base dei quali era stata ravvisata la partecipazione del ricorrente COGNOME a tale condotta, sia a proposito della sua individuazione, essendo tra l’altro stato dimostrato che il 5/9/2016 COGNOME di trovava in Olanda, sia riguardo all’appartenenza di COGNOME al gruppo ritenuto riconducibile a COGNOME.
7.8. Anche con l’ottavo motivo ha lamentato violazioni di legge penale e vizi della motivazione, con riferimento alla conferma della affermazione di responsabilità in relazione al reato di cui al capo d).
Ha censurato, in particolare, l’affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza impugnata, secondo cui tra gli elementi costitutivi del reato di trasferimento fraudolento di valori cui all’art. 512 bis cod. pen. (di cui al capo D) vi è il pericolo dell’avvio di un procedimento di prevenzione, in quanto la disposizione richiede solo il fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e quindi il suddetto pericolo costituisce solamente uno degli indici della sussistenza del dolo specifico, che, però, risulta privo di rilievo in assenza del requisito della confiscabilità del bene. Risultava, pertanto, errata la scarsa considerazione della provenienza del bene e, con essa, dell’esito negativo di un possibile procedimento di prevenzione.
7.9. Con il nono motivo ha denunciato un ulteriore vizio della motivazione con riferimento alla affermazione della propria responsabilità in relazione al reato di cui al capo f).
Ha censurato, anzitutto, il riferimento contenuto nella motivazione della sentenza impugnata alla busta menzionata nelle conversazioni intercettate come quella contenente i telefoni individuati dalla Guardia di Finanza e risultati collegat alle comunicazioni tra COGNOME e Nocera, essendo tale affermazione congetturale, e anche alle richieste di NOME COGNOME di recuperare tale busta, rivolta ai fratell NOME COGNOME e non al ricorrente, come pure il riferimento, presente nelle conversazioni intercettate tra il ricorrente e il nipote COGNOME a un telefono colorato, che non era stato accertato fosse quello utilizzato per le conversazioni con COGNOME
Ha sottolineato anche l’irrilevanza, rispetto alla prova del reato di cui al capo f), della conversazione del 31/1/2017 con un soggetto non identificato relativo ad altre forniture di stupefacenti, e anche del fatto che la cessione di stupefacente contestata fosse stata organizzata da NOME COGNOME e NOME COGNOME dai locali della società RAGIONE_SOCIALE riconducibile al ricorrente, e per mezzo di telefoni cellulari e schede sim riconducibili al ricorrente medesimo. Analoghi rilievi sono stati sollevati a proposito della data dell’appuntamento concordato in Puglia tra Cola e Nocera.
7.10. Anche con il decimo motivo ha denunciato vizi della motivazione con riferimento alla affermazione di responsabilità in relazione al reato di cui al capo g) (relativo alla cessione, in concorso con NOME COGNOME, di cocaina del valore di 13.000,00 euro a NOME COGNOME), in quanto il coinvolgimento del ricorrente nella condotta di cessione era stato desunto esclusivamente e in modo illogico dal riferimento in una conversazione telefonica a uno zio di NOME COGNOME, non necessariamente identificabile nel ricorrente, posto che COGNOME aveva ben quattro zii, alcuni dei quali coinvolti in passato in traffici di stupefacenti.
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Anche la spiegazione del credito verso COGNOME, attribuito a cessioni di stupefacenti, benché nelle conversazioni si facesse riferimento alla vendita di una automobile, risultava illogica.
7.11. Con l’undicesimo motivo ha lamentato vizi della motivazione anche con riferimento alla sussistenza del reato associativo di cui al capo a).
Ha sottolineato quanto già esposto nell’atto d’appello e non adeguatamente considerato dalla Corte territoriale, a proposito della indisponibilità di risors economiche da parte del sodalizio, di cui non era stata accertata l’esistenza; della mancata dimostrazione dell’utilizzo di sofisticati strumenti di comunicazione (tra cui sistemi PGP all’interno dei telefoni blackberry), desunto dalla sola deposizione del teste di p.g. COGNOME, risultando irrilevante l’utilizzo di schede sim stranie (sottolineata dalla Corte d’appello); della inattendibilità dei collaboratori giustizia (in particolare COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME) e della scarsa rilevanza delle loro dichiarazioni, in quanto relative a periodi di tempo anteriori a quello di operatività del sodalizio di cui al capo a); della episodicità delle condotte di importazione di stupefacenti; della autonomia operativa di COGNOME; dell’assenza di una base operativa, individuata in modo illogico nella abitazione del ricorrente e nella sede della società RAGIONE_SOCIALE dell’assenza di una cassa comune e di una filiera di rifornimento dello stupefacente.
Tali aspetti, idonei a consentire di escludere l’esistenza della associazione, non erano stati adeguatamente considerati dalla Corte d’appello, con la conseguente sussistenza di un vizio della motivazione anche su tale punto, posta l’idoneità delle circostanze evidenziate a mettere in dubbio l’esistenza del sodalizio.
7.12. Con il dodicesimo motivo ha lamentato un ulteriore vizio della motivazione con riferimento alla propria qualificazione come promotore e organizzatore della medesima organizzazione di cui al capo a), desunta in modo illogico da quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia NOME e NOME NOME, COGNOME e COGNOME, che avevano solo riferito che il ricorrente era attivo nel settore del narcotraffico sin dagli anni 2007 – 2008, oltre che da condotte non significative ai fini del riconoscimento di tale ruolo (la dotazione di apparecchiature telefoniche, le relazioni con fornitori stranieri e l’avvio di nuove relazioni per l’espansione delle attività illecite).
7.13. Con il tredicesimo motivo ha lamentato la carenza e la manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. 309/90 in relazione al reato di cui al capo b), non essendo stata analizzata in Italia la sostanza stupefacente sequestrata in Olanda.
7.14. Infine, con il quattordicesimo motivo ha lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante la propria
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incensuratezza e la non definitività della sentenza di condanna a suo carico per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, impropriamente e indebitamente valorizzata dalla Corte d’appello, come pure il generico e non meglio dimostrato attivismo del ricorrente nel settore del narcotraffico negli anni 2007 – 2008, mentre il riconoscimento di tale beneficio avrebbe consentito di meglio adeguare la sanzione alla obiettiva entità dei fatti.
8. Con memoria del 8 febbraio 2024 lo stesso NOME COGNOME ha ribadito la fondatezza dei motivi del proprio ricorso, sottolineando, quanto al primo motivo, l’illegittimità della acquisizione del codice IMEI del telefono cellulare del ricorrente l’inutilizzabilità dei decreti di intercettazione 475/16, 567/16, 586/16 e 605/16, oggetto del secondo motivo; l’inutilizzabilità dei decreti di intercettazione indicat nel terzo motivo e l’illogicità della motivazione in ordine alla attribuibil dell’utenza telefonica NUMERO_TELEFONO; le richieste di revoca delle ordinanze di acquisizione di documenti, oggetto del quinto motivo; il vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità in relazione al reato di cui al capo b), oggetto del sesto motivo, anche in conseguenza del travisamento delle frasi in spagnolo pronunciate da COGNOME nel corso della telefonata con COGNOME dolo l’arresto di NOME COGNOME; il vizio della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo a), oggetto dell’undicesimo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non sono fondati.
2. Va, preliminarmente, rilevato che la maggiore parte dei motivi di ogni ricorso (in particolare quelli, comuni a più ricorrenti, relativi alla esistenza del sodalizio cui al capo A, alla partecipazione allo stesso, alla utilizzabilità degli esiti de operazioni di intercettazione, alla attendibilità e rilevanza delle dichiarazioni de collaboratori, alla prova dei reati fine, al trattamento sanzionatorio), sono riproduttivi dei corrispondenti motivi d’appello, tutti adeguatamente considerati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello di Napoli con la sentenza impugnata, cosicché essi risultano, anzitutto, privi della necessaria idoneità a costituire mezzi di critica argomentata della decisione impugnata, in quanto, per consolidata giurisprudenza, il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merit adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 3, n.
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44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608 – 01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708 – 01).
Sempre in premessa è necessario evidenziare, con riferimento ai motivi, sviluppati da vari ricorrenti, con cui è stata eccepita l’inutilizzabilità degli esiti operazioni di intercettazione di comunicazioni o conversazioni e censurata l’acquisizione di alcuni documenti e la mancata acquisizione della sentenza di assoluzione di NOME COGNOME (primo motivo del ricorso di NOME COGNOME secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME), che tutte tali doglianze sono prive del prescritto confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, con il complesso della sua struttura giustificativa e di tutti gl argomenti in essa sviluppati e, soprattutto, della illustrazione della incidenza sulla stessa delle prove ritenute inutilizzabili o indebitamente acquisite, ossia della cosiddetta “prova di resistenza”, con la conseguente assenza della necessaria specificità, sia intrinseca sia estrinseca.
Va, infatti, ricordato che quando con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico (che nella specie non è neppure stato esattamente indicato, tantomeno nel suo contenuto probatorio, posto che non è stato illustrato il contenuto degli esiti delle intercettazioni che sarebbero stat indebitamente disposte, dei documenti acquisiti e di quelli di cui si lamenta la mancata acquisizione), il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti e ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identi convincimento (v. Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416 – 01, nonché, tra le tante successive, Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 285533 – 01; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De COGNOME, Rv. 270303 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269218 – 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011 – 01).
In tema di intercettazioni di comunicazioni, qualora, come nel caso in esame, in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità dei relativi risultati, per neppure chiaramente indicati, è quindi onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare (v. Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Baiano, Rv. 277608 – 02), oltre che sulla specificità dell’atto di impugnazione, che
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risulta inidoneo a censurare la decisione impugnata (cfr. Sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, COGNOME Rv. 266774 – 01).
Nel caso in esame tali oneri non sono in alcun modo stati soddisfatti dai ricorrenti che non hanno indicato il contenuto delle prove di cui hanno eccepito l’inutilizzabilità e, soprattutto, hanno omesso il prescritto confronto, tantomeno critico, con la motivazione della sentenza impugnata e con il complesso della sua portata giustificativa, con la conseguente inammissibilità di dette censure a causa della loro genericità, intrinseca ed estrinseca.
Tanto premesso in termini generali, vanno esaminate per prime, in ordine logico, le doglianze relative alla inutilizzabilità delle intercettazioni di conversazio o comunicazioni, a causa della illegittimità della acquisizione del codice IMEI di alcune delle utenze intercettate (primo e terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME e di quello, di contenuto sovrapponibile, di NOME COGNOME), trattandosi di censure di carattere processuale che investono l’utilizzabilità di alcuni elementi di prova, come tali da esaminare preliminarmente.
Sia NOME COGNOME sia NOME COGNOME si dolgono della acquisizione da parte della polizia giudiziaria, attraverso l’utilizzo di uno specifico apparecchio elettronic (idoneo ad acquisire i codici IMEI dei telefoni cellulari utilizzati in una determinat area, cosiddetto IMEI catcher), del codice IMEI di alcuni telefoni portatili, che ha consentito, una volta acquisito tale codice identificativo, di disporre l’intercettazione delle conversazioni svolte mediante tali telefoni, indipendentemente dal numero di telefono utilizzato (così vanificando il ricorso a numeri di telefono o schede telefoniche straniere o il frequente mutamento di numero di telefono e di scheda), sostenendo che anche l’acquisizione di tale dato, consentendo l’identificazione dell’utilizzatore dell’apparecchio telefonico, determinerebbe una intrusione nella sfera di riservatezza dell’individuo, consentendo l’identificazione dell’utilizzatore di un determinato apparecchio telefonico portatile impiegato per comunicare con altri, e dovrebbe, quindi, essere autorizzata dal giudice, ai sensi dell’art. 15 Cost.
Va, dunque, anzitutto osservato che il codice IMEI, che è l’acronimo di International Mobile Equipment Identity, è un codice numerico che identifica univocamente un terminale mobile (Mobile Equipment), che può essere un telefono cellulare o un modem, che sfrutti la tecnologia cellulare GSM, GPRS, UMTS, HSDPA/HSUPA, LTE, 5G/NGMN. Il codice IMEI è salvato nella memoria non volatile del cellulare (NVRAM) e all’avvio di ogni chiamata viene trasmesso alla rete dell’operatore.
Esso, dunque, identifica l’apparecchio e non l’utilizzatore e consente, una volta disposte le intercettazioni di conversazioni svolte utilizzando l’apparecchio
identificato, di eseguirle indipendentemente dall’utente, anche qualora questi utilizzi diverse schede SIM sul medesimo telefono.
Risulta evidente, dunque, come l’acquisizione di tale codice non attenga a conversazioni o comunicazioni, ma solamente allo strumento, in particolare all’apparecchio telefonico portatile, utilizzato per effettuarle, come già chiarito da questa Corte con la sentenza n. 40654 del 2012 (Sez. 2, n. 40654 del 09/10/2012, Pm in proc. COGNOME, Rv. 253446 – 01), nella quale è stato precisato che “integra il reato di appropriazione di cose smarrite e non quello di furto l’impossessamento di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, atteso che il codice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio identifica la cosa ma non la proprietà del bene”.
Nella motivazione di tale sentenza è stato chiarito che la mera attività di individuazione dell’identità del singolo apparecchio telefonico, attraverso il monitoraggio di una utenza, non operando alcuna intrusione nelle conversazioni in transito sull’apparecchio monitorato e costituendo unicamente il presupposto operativo di una successiva attività captativa di conversazioni, non necessita di un decreto autorizzativo, perché non è assimilabile a un mezzo di ricerca della prova. Si tratta, in definitiva, di un’attività di individuazione che si rivolge esclusivament all’identità del singolo apparecchio telefonico, che non è neppure finalizzata ad acquisire elementi sugli eventuali contatti telefonici che tale apparecchio intrattiene in un determinato arco temporale (cosicché non si tratta neppure di attività assimilabile all’acquisizione di tabulati telefonici, acquisibili sulla base autorizzazione del pubblico ministero), che, può, essere ricondotta tra gli atti che la polizia giudiziaria pone in essere di propria iniziativa ai fini di cui all’art. 55
La non assimibilità della acquisizione del codice IMEI alla captazione di conversazioni o comunicazioni, che richiede, invece, l’autorizzazione giudiziale, è stata già chiarita da questa Corte nella sentenza n. 41385 del 2018 (Sez. 4, n. 41385 del 12/6/2018, COGNOME, Rv. 273929 – 01), relativa ai ricorsi proposti dagli stessi NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 12 febbraio 2018 del Tribunale di Napoli che ha rigettato (salvo che per il capo E della rubrica) le richieste di riesame dagli stessi presentate nei confronti dell’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere per i reati oggetto della sentenza impugnata mediante i ricorsi in esame, affermando che “l’individuazione da parte della polizia giudiziaria dell’utenza telefonica da sottoporre ad intercettazione attraverso il monitoraggio di utenze presenti in una determinata zona, mediante apparecchiature in grado di individuarne i codici identificativi previo posizionamento in prossimità del cellulare da “tracciare”, rientra tra gli atti urgenti e “innominati” demandati agli organi di polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 55 e 348 cod. proc. pen., non soggetto ad una preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
proc. pen., in vista di successive attività investigative, e in modo non dissimile ad altre specificamente previste dal codice di rito (come l’identificazione personale di cui all’art. 349 cod. proc. pen., o le ulteriori attività di cui agli artt. 352 e 354 proc. pen.).
Tale acquisizione non determina, dunque, alcuna intrusione nelle conversazioni in transito sull’apparecchio individuato e poi monitorato e non può, quindi, essere assimilata a un mezzo di ricerca della prova, costituendo unicamente il presupposto operativo della successiva attività captativa delle conversazioni.
Tali conclusioni, che il Collegio condivide e ribadisce, non mutano neppure considerando quanto esposto nella sentenza della Corte EDU del 24 aprile 2018 nel caso Benedik c. Slovenia (ricorso n. 62357/14), che i ricorrenti hanno richiamando sottolineandone l’incidenza in quanto pubblicata successivamente alla decisione sul loro ricorso cautelare, ossia alla pronuncia della citata sentenza n. 41385 del 2018, in quanto la stessa si riferisce alla acquisizione di un indirizzo IP dinamico (acronimo di Internet Protocol address), attraverso il quale è possibile risalire ai dati del traffico telefonico o in rete.
Nel caso esaminato dalla Corte EDU il ricorrente era stato condannato per lo scambio di immagini pedopornografiche via Internet e si lamentava che i suoi dati erano stati detenuti illegalmente dall’internet service provider (I.S.P.), e che i suoi dati di abbonato, associati al suo indirizzo dinamico I.P. (e, quindi, alla sua identità), erano stati ottenuti dalla polizia in maniera arbitraria. Secondo la Corte EDU la richiesta di tali dati da parte della polizia si è risolta in un’interferenza ne vita privata del ricorrente; nonostante l’interferenza fosse prevista dalla legge, ai tempi del procedimento, questa non regolamentava in maniera specifica le condizioni per la conservazione dei dati, né assicurava garanzie adeguate contro gli abusi della polizia nelle procedure di accesso e di trasferimento dei dati in questione. Inoltre, l’internet service provider (RAGIONE_SOCIALE) era stato costretto a forni all’autorità di polizia, in assenza di una supervisione indipendente, una grande quantità di dati relativi alle attività on-line svolte dal ricorrente senza il consenso, con la conseguente affermazione della violazione dell’art. 8 CEDU.
Nell’affermare la sussistenza di tale violazione la Corte EDU ha spiegato che un indirizzo IP è un numero univoco assegnato a ciascun dispositivo di una rete, che consente ai dispositivi di comunicare tra loro. A differenza dell’indirizzo IP statico, che è assegnato in modo permanente a una particolare interfaccia di rete di un particolare dispositivo, un indirizzo IP dinamico viene assegnato temporaneamente a un dispositivo dall’ISP, in genere ogni volta che il dispositivo si connette a Internet. L’indirizzo IP da solo consente di determinare alcuni dettagli, come l’ISP a cui l’utente è connesso e una posizione fisica più ampia, molto probabilmente la posizione dell’ISP, e per ottenere il nome e l’indirizzo dell’abbonato utilizzando un indirizzo IP dinamico occorre esaminare i dati di
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connessione pertinenti dell’abbonato medesimo (v. par. 96 e par. 108 della sentenza Benedik c. Slovenia).
La Corte EDU ha, poi, ulteriormente chiarito che “l’unico scopo di ottenere le informazioni sull’abbonato era quello di identificare una persona particolare dietro i contenuti raccolti in modo indipendente, rivelando i dati che aveva condiviso” (par. 109), ravvisando, di conseguenza, l’indebita acquisizione di informazioni relative alle interazioni di una persona con altre, rientranti nell’ambito della vit privata, con la conseguente esigenza di protezione di tali informazioni (che potrebbero rivelare l’attività on line di un individuo, compresi i dettagli sensibili d suoi interessi, delle sue convinzioni e del suo stile di vita intimo), e la sussistenza della violazione dell’art. 8 CEDU.
Risulta evidente, dunque, la mancanza di incidenza di tale decisione nella vicenda in esame, in considerazione della chiara differenza tra il codice IMEI acquisito nel corso delle indagini a carico dei ricorrenti, che identifica solamente un determinato apparecchio telefonico o un modem, e l’indirizzo IP, che è un numero univoco assegnato a ciascun dispositivo di una rete, che consente ai dispositivi di comunicare tra loro, che viene assegnato temporaneamente a un dispositivo dall’ISP, in genere ogni volta che il dispositivo si connette a Internet, per la cui individuazione occorre esaminare i dati di connessione pertinenti dell’abbonato medesimo.
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza dei rilievi sollevati dai ricorrenti a proposito della indebita acquisizione dei codici IMEI degli apparecchi telefonici dagli stessi utilizzati, non comportando la stessa anche l’acquisizione di dati relativi a comunicazioni o conversazioni o a traffico informatico, essendo solo prodromica e preliminare a tali acquisizioni, che sono state debitamente autorizzate, nelle forme prescritte.
4. Sempre in termini generali, trattandosi di censura sollevata da più ricorrenti (primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME), vanno esaminati i rilievi in ordine alla inutilizzabilità dei decreti intercettazione nn. 475/15, 567/16, 586/16 e 605/16, del decreto n. 612/16 e delle relative proroghe.
Va dunque, anzitutto, osservato che tali censure sono generiche in quanto, pur contestando la sussistenza dei presupposti per poter disporre le operazioni di intercettazione, a causa della mancanza dei necessari indizi, per l’equivocità del dato considerato indiziante, non illustrano, come già osservato al par. 2, gli esiti di tali intercettazioni, che non sono stati considerati nella illustrazione dei motiv né si confrontano con il complesso degli elementi di prova acquisiti e con la motivazione delle sentenze di merito, e quindi sono prive della necessaria
specificità, essendo inidonee a costituire valido mezzo di critica argomentata della sentenza impugnata, di cui non è stata considerata la ratio e la portata giustificativa.
Esse, inoltre, sono volte, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, a censurare la valutazione del dato indiziario sulla base del quale è stata ravvisata la sussistenza degli elementi per poter disporre l’avvio di dette operazioni di intercettazione, che non è manifestamente illogica né fondata sul travisamento del dato probatorio considerato, e non è, quindi, suscettibile di rivisitazione o rilettura in questa sede.
La Corte d’appello, nel disattendere gli identici rilievi sollevati con gli atti impugnazione, in particolare da NOME COGNOME ha ribadito la sussistenza di elementi indizianti per poter disporre le operazioni di intercettazione, evidenziati nel primo decreto del giudice per le indagini preliminari, nel quale è stata sottolineata l’univocità di quanto emerso nel corso di una conversazione intercettata in altro procedimento, a proposito del fatto che tale NOME o’COGNOME di Terzigno (identificato in NOME COGNOME) aveva la disponibilità di un ingente quantitativo di stupefacenti (“150 cosi a terra”), ritenendo trattarsi di elemento idoneo, in ragione della sua concludenza, per poter disporre l’avvio delle operazioni di intercettazione nei confronti di COGNOME. La Corte territoriale ha anche considerato le osservazioni svolte sul punto dal consulente della difesa COGNOME, che ha prospettato una diversa interpretazione del contenuto di tale conversazione (soprattutto a proposito della identificazione di COGNOME come “NOME o’COGNOME“), evidenziando le diverse conclusioni raggiunte sul punto da due periti e, in ogni caso, l’univocità e la concludenza del dato considerato, anche alla luce dei collegamenti con COGNOME emersi nel corso delle indagini su altri gruppi malavitosi operanti in Campania nel settore degli stupefacenti (nell’ambito della cosiddetta “Operazione Positano”, che aveva consentito di accertare l’esistenza nel territorio del Comune di Torre Annunziata di una associazione a delinquere avente quale oggetto il traffico nazionale e internazionale di stupefacenti, facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME risultata avere dei collegamenti con COGNOME). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tali considerazioni, sufficienti a giustificare l’affermazione della esistenza di indizi idonei a consentire di disporre l’avvio delle operazioni di intercettazione nei confronti di COGNOME, e non manifestamente illogiche, stante l’univoca portata dimostrativa del dato considerato indiziante, né fondate sul travisamento dello stesso, sono state censurate in modo generico ed esclusivamente sul piano della lettura delle risultanze delle indagini e della loro valutazione, di cui è stata proposta una rivisitazione e una rilettura, non consentite, in presenza di motivazione idonea e immune da vizi logici, in questa sede di legittimità.
Considerazioni analoghe possono essere svolte a proposito delle altre censure relative ai provvedimenti istruttori e alla valutazione delle prove, ossia in ordine alla legittimità delle acquisizioni documentali (relative alla richiesta di rinv a giudizio di COGNOME in altro procedimento, alla ordinanza del tribunale del riesame, ai provvedimenti di sequestro di stupefacenti nei porti di Salerno e Gioia Tauro, alla sentenza resa nel procedimento n. 4305 del 2016) e al diniego di quelle richieste dagli imputati, relative alla sentenza di assoluzione pronunziata nei confronti di NOME COGNOME de iesus (oggetto del quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME e di NOME COGNOME) e riguardo alla attendibilità dei collaboratori di giustizi (oggetto del sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME, del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e dell’undicesimo motivo del ricorso di NOME COGNOME).
Anche tali censure, infatti, sono generiche, perché non illustrano la rilevanza dei documenti della cui indebita acquisizione ci si duole e la decisività di quelli non acquisiti e prive di confronto, tantomeno critico, con la motivazione della sentenza impugnata, nella quale le identiche censure sono state disattese sottolineando analiticamente la rilevanza dei documenti acquisiti ai fini del giudizio sulla personalità degli imputati, per la ricostruzione del contesto nel quale si collocano le condotte contestate e per le determinazioni in ordine al trattamento sanzionatorio, e l’irrilevanza della sentenza di assoluzione di NOME de3esus: si tratta di considerazioni idonee a giustificare i provvedimenti istruttori confermati dalla Corte d’appello, censurate dai ricorrenti in modo generico e, anche a questo proposito, sul piano delle valutazioni di merito, ossia della rilevanza dei documenti in questione, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimità.
Quanto ai collaboratori di giustizia, in particolare NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME la Corte d’appello, anche a questo riguardo, ha esaminato le censure degli imputati in ordine alla loro attendibilità e alla rilevanza delle loro dichiarazioni (censure riprodotte senza particolari elementi di novità con i ricorsi per cassazione, dunque in termini puramente contestativi), stante l’intervallo di tempo esistente tra quanto dagli stessi riferito e le condott contestate, sottolineandone la rilevanza, soprattutto quanto all’aspetto dell’inserimento di COGNOME nel settore del narcotraffico sin dagli anni 2006 – 2007 e alla sua identificazione con il soprannome di NOME o’COGNOME, ossia il nome al quale è stato fatto riferimento nelle conversazioni considerate indizianti a carico di COGNOME; da tali dichiarazioni i giudici di merito non hanno tratto la prova della realizzazione delle condotte contestate, in quanto commesse successivamente al periodo al quale hanno fatto riferimento i collaboratori, come eccepito dai ricorrenti, ma solo dell’inserimento di COGNOME nel settore del narcotraffico e della sua individuazione con il suddetto soprannome, cosicché le censure dei ricorrenti che hanno criticato la considerazione delle dichiarazioni di tali collaboratori
risultano, oltre che generiche, in quanto prive di analisi del contenuto di dette dichiarazioni e di confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, evidentemente infondate, non essendo state valutate dette dichiarazioni a fine di prova delle condotte contestate ma della individuazione di COGNOME e della sua personalità.
Anche l’esistenza della associazione finalizzata alla realizzazione di delitti in materia di stupefacenti di cui al capo a) è stata oggetto di censure sovrapponibili, esaminabili unitariamente (si tratta del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, del sesto e del settimo motivo del ricorso di NOME COGNOME, del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, dell’undicesimo motivo del ricorso di NOME COGNOME).
La Corte d’appello, sia pure esaminando la censura sollevata sul punto da NOME COGNOME ma con considerazioni poi riproposte in occasione dell’esame degli analoghi motivi proposti dagli altri ricorrenti, ha confutato con motivazione idonea tutti i rilievi difensivi sollevati a sostegno della affermazione della insussistenza d tale sodalizio, al quale hanno partecipato tutti i ricorrenti.
Innanzitutto è stata sottolineata la rilevanza dei quantitativi di stupefacente trattati dagli appartenenti al sodalizio, trattandosi di circostanza indicativa dell disponibilità di non modeste risorse finanziarie per garantirsene l’approvvigionamento e di importanti canali di rifornimento e anche di smercio, evidenziando che il tentativo di importazione di cocaina di cui al capo b) riguardava 40 chilogrammi di cocaina, che il quantitativo di cocaina prelevato da COGNOME presso l’abitazione di Scarpa e ceduto subito dopo nella piazza di spaccio di Secondigliano, di cui al capo c), era pari a 1 chilogrammo e che il quantitativo di hashish di cui al capo f) ceduto a NOME COGNOME era pari a 40 chilogrammi.
Sono state, poi, sottolineate la costituzione di società schermo, come la RAGIONE_SOCIALE di cui al capo d), utilizzate per reinvestire i proventi della atti illecita, e l’utilizzo di sofisticati strumenti di comunicazione, quali tele Blackberry, che venivano cambiati frequentemente, dotati di sistemi PGP (pretty good privacy, ossia di un sofisticato sistema di crittografia idoneo a eludere le investigazioni) e di schede telefoniche di diverse nazionalità (olandesi, spagnole e rumene); la sistematicità del traffico di stupefacenti e dell’attività di importazion dall’estero, tanto da considerare il fallimento di quella di cui al capo b) come un semplice incidente di percorso.
E’ stata, poi evidenziata, la disponibilità di due sedi del sodalizio, costituit dalla abitazione di COGNOME e di molti membri della sua famiglia, partecipi della associazione, nella quale veniva custodito lo stupefacente, come emerso dalle condotte contestate al capo c) e come riferito concordemente dai collaboratori, che hanno descritto tale abitazione e segnalato che nella stessa COGNOME custodiva
droga e armi; e dalla sede della RAGIONE_SOCIALE, le cui quote erano state intestate a COGNOME, nei cui locali erano depositati i telefoni cellulari e le schede sim utilizzate pe contattare fornitori e acquirenti dello stupefacente e nei quali più volte alcuni degli associati si erano incontrati (come emerso dalle conversazioni intercettate, avvenute proprio in tali locali).
Infine, è stata sottolineata la disponibilità di stabili canali di rifornimen documentati dai ripetuti contatti di COGNOME con tale COGNOME, fornitore di 40 chilogrammi di cocaina a NOME e NOME COGNOME, grazie ai propri contatti con i fornitori sudamericani e con operatori portuali italiani.
Tali rilievi, idonei a giustificare l’esistenza di un sodalizio stabilment strutturato, con un capo e promotore (COGNOME e con suddivisione di ruoli, costituito allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti, dotato di più sedi e depositi e società schermo per il reimpiego dei profitti, con stabili e collaudati canali di approvvigionamento, i cui associat utilizzavano tra loro sofisticati sistemi di comunicazione e ai quali venivano frequentemente forniti nuovi telefoni e nuove schede sim per evitare di essere intercettati, sono stati censurati in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, in particolare della lettura e dell’apprezzamento degli elementi indiziari, che non è manifestamente illogica, essendo, anzi, conforme alle regole razionali e a consolidate massime di comune esperienza (quali, ad esempio, quelle relative alle ragioni per le quali vengono utilizzati telefoni blackberry dotati di sistemi PGP, con schede sim straniere e frequentemente cambiate), dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità, nel quale non è possibile procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso, in termini generali, il ricorso proposto da NOME COGNOME dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90, di cui al capo A della rubrica), è infondato.
7.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata censurata l’idoneità della motivazione di entrambe le sentenze di merito a giustificare l’affermazione della esistenza del sodalizio di cui al capo a) e della partecipazione allo stesso del ricorrente, è volto, in realtà, sia pure attraverso una analitica ricostruzione dell risultanze istruttorie considerate nei confronti del ricorrente e delle parti dell motivazione che lo riguardano, a censurare la lettura e la valutazione delle risultanze istruttorie che, però, sono state considerate in modo non manifestamente illogico dai giudici di merito e, quindi, non sono suscettibili di rilettura o rivalutazione nel giudizio di legittimità, come invece proposto dal
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ricorrente, che, negandone la valenza dimostrativa, ne contesta, in sostanza, l’apprezzamento e la valutazione che ne hanno compiuto i giudici di merito.
La Corte d’appello, come esposto al par. 6, ha dato atto degli elementi dimostrativi dell’esistenza della associazione e, quanto alla partecipazione alla stessa da parte di NOME COGNOME, ha riportato dettagliatamente quanto riferito dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME a proposito della collaborazione prestata da NOME COGNOME nel traffico di stupefacenti organizzato e diretto da NOME COGNOME sottolineando, in particolare, che COGNOME aveva chiesto ad COGNOME dei solventi per “tagliare” la cocaina e lui gli aveva dato il nome di un rifornitore (anche se poi l’affare non si concluse).
Sono, poi, stati evidenziati i plurimi, significativi e concordanti elementi emersi dall’istruttoria, tra cui il contenuto della conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME all’interno di una automobile, nella quale vi è l’univoco riferimento ai comuni affari illeciti, e quello delle conversazioni tra il medesimo NOME COGNOME e il nipote NOME, dalle quali emergono la competenza e l’esperienza dello stesso COGNOME quale bonificatore di microspie, soprattutto in automobili (che era uno dei compiti assegnatigli all’interno del sodalizio).
Altrettanto analiticamente la Corte d’appello ha evidenziato gli elementi dimostrativi della competenza e dell’esperienza del medesimo NOME COGNOME nella attività di “taglio” della cocaina, emergenti in modo inequivoco dalla conversazione del 25/11/2016 con tale NOMECOGNOME e anche quale procacciatore di nuovi canali di approvvigionamento della sostanza stupefacente necessaria per i traffici del sodalizio, a riscontro di quanto dichiarato dai collaboratori, condotte che costituivano gli ulteriori compiti attribuitigli all’interno del sodalizio.
Sulla base di questi elementi è stata, quindi, ribadita la piena partecipazione del ricorrente al sodalizio, con un ruolo significativo e determinante (di bonificatore di microspie, espero del “taglio” di stupefacenti e procacciatore di nuovi canali di rifornimento), non riconducibile al solo rapporto di parentela con NOME COGNOME cosicché le censure sollevate in proposito con il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME risultano infondate.
7.2. Il secondo motivo del medesimo ricorso, relativo al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, essendo volto a censurare, esclusivamente sul piano delle valutazioni di merito, il giudizio di gravità della condotta e quello negativo sulla personalità del ricorrente, sulla base dei quali è stato determinato il trattamento sanzionatorio ed è stata esclusa la riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche.
Queste, come da consolidata giurisprudenza di legittimità, possono essere escluse anche all’esito di una valutazione sintetica degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., mediante la sottolineatura di quelli giudicati prevalenti o assorbenti,
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che nel caso in esame sono stati indicati, essendo state sottolineate, nella valutazione di gravità della condotta e nel giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, la rilevanza del ruolo dallo stesso svolto all’interno del sodalizio e la risalenza nel tempo e la stabilità della sua collaborazione con NOME COGNOME, indicativi della gravità della condotta e della sua propensione a delinquere: si tratta di motivazione idonea e non manifestamente illogica, censurata in modo generico e, soprattutto, sul piano delle valutazioni di merito, dunque in modo non consentito.
Le doglianze sulla misura della pena sono, poi, manifestamente infondate, essendo la stessa stata rideterminata, a seguito della esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 74, quarto comma, d.P.R. 309/90, nel minimo di 10 anni di reclusione.
7.3. Il ricorso proposto da NOME COGNOME deve, pertanto, essere rigettato in ragione della infondatezza del primo motivo e della inammissibilità del secondo.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME dichiarato responsabile dei reati di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica) e di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73, commi 1 e 6, e 80 d.P.R. 309/90 (capo B della rubrica) e 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capi C, F, G della rubrica), è infondato.
8.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata eccepita l’inutilizzabilità degl esiti delle intercettazioni di conversazioni disposte dal pubblico ministero e convalidate dal Giudice per le indagini preliminari, è inammissibile a causa della sua genericità, per le ragioni esposte al par. 4.
Esso, infatti, si limita a richiamare, genericamente, i numeri dei decreti autorizzativi, senza illustrare l’oggetto e lo stato del procedimento nell’ambito del quale vennero disposte le operazioni di intercettazione e il contenuto della prova che ne è stata tratta, senza neppure indicarne la rilevanza nell’ambito delle complessive risultanze istruttorie e delle valutazioni compiute dai giudici di merito, con la conseguente genericità della doglianza, sia intrinseca sia estrinseca.
8.2. Il secondo motivo, mediante il quale è stata censurata l’affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo di cui al capo a), è inammissibile, sia a causa della sua genericità, sia perché è volto, sia pure attraverso la deduzione di violazioni di legge penale e di vizi della motivazione, a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie.
La doglianza è, anzitutto, priva di confronto, tantomeno critico, con la struttura argomentativa delle concordi sentenze di merito, consistendo solamente nella generica affermazione della mancanza di elementi dimostrativi della partecipazione alla associazione di cui al capo a) diversi e ulteriori rispetto alla partecipazione alla realizzazione ai reati fine ascritti al ricorrente, disgiunta dal considerazione di quanto esposto nella sentenza impugnata a tale proposito, nella
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quale è stato sottolineato che NOME COGNOME oltre ad aver partecipato al tentativo di importazione di 40 chilogrammi di cocaina dall’Olanda di cui al capo b), durante l’assenza di COGNOME aveva garantito la prosecuzione degli affari del sodalizio, consentendo a COGNOME di entrare nella disponibilità di un chilogrammo di cocaina destinata al mercato di Secondigliano; egli, inoltre, all’interno del sodalizio gestiva la consegna di ingenti partite di stupefacenti, come dimostrato dalla consegna di 41 chilogrammi di hashish a NOME COGNOME e si era anche occupato, per conto di COGNOME, di intimidire e malmenare tale COGNOME debitore nei confronti di COGNOME del corrispettivo di precedenti cessioni di stupefacenti.
La censura, inoltre, tende a conseguire una rilettura e una rivisitazione delle risultanze istruttorie, che, come osservato, sono state considerate in modo non manifestamente illogico dai giudici di merito e, dunque, non sono suscettibili di rilettura nel giudizio di legittimità, neppure sul piano del travisamento della prova, non essendo stato lamentato che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma essendo stata prospettata una diversa lettura degli elementi probatori, non consentita nel giudizio di legittimità.
8.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Pur tralasciando il rilievo che nell’epigrafe vengono prospettate doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio, in particolare a proposito degli aumenti di pena disposti per la continuazione, e che nell’esposizione del motivo si censura l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo c), con la conseguente contraddittorietà della censura, non risultando chiaramente specificato quale sia il vizio denunciato tra quelli di cui all’art. 606 cod. proc. pe con la conseguente mancanza di specificità intrinseca della censura; questa, in ogni caso, si risolve, nuovamente, in una generica rilettura del contenuto di conversazioni intercettate, di cui si propone una spiegazione alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che non è manifestamente illogica e, dunque, non è suscettibile di rivisitazioni nel giudizio di legittimità.
8.4. Considerazioni analoghe possono essere svolte a proposito del quarto motivo, con cui si censura l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo b), concernente un tentativo di importazione di sostanza stupefacente dall’Olanda, in quanto anche mediante tale motivo di ricorso si censurano, nuovamente in modo generico, in quanto privo di autentico confronto critico con il complesso della motivazione delle concordi sentenze di merito, la lettura e la considerazione degli elementi di prova, che non sono, anche a questo proposito, stati valutati in modo manifestamente illogico, né, tantomeno, travisati, cosicché ne è esclusa una rivisitazione in questa sede di legittimità, tantomeno sul piano della lettura degli elementi di prova e della loro valutazione.
8.5. Il quinto motivo, relativo alla insufficienza della motivazione nella relativa alla misura degli aumenti di pena per la continuazione con i reati di capi b), c), f) e g), è infondato, perché l’identità di tali aumenti, stabiliti nella misura di 9 mesi di reclusione per ciascuno di tali reati, è stata adeguatamente giustificata, sottolineandone, sia pure sinteticamente, ma comunque in modo sufficiente, le ragioni per ciascun reato.
La Corte d’appello, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio anche nei confronti di NOME COGNOME, responsabile dei reati di cui ai capi a), b), c), f), g ha escluso la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 74, quarto comma, d.P.R. 309/90, ha determinato la pena base per il più grave reato di cui al capo a) in 10 anni di reclusione; aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo b) di un anno di reclusione in considerazione del ruolo decisivo svolto nel tentativo di importazione di un ingente quantitativo di stupefacente del peso di 40 chilogrammi; ulteriormente aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo c) di 9 mesi di reclusione in considerazione del ruolo strategico svolto dal ricorrente nel reperimento del carico di stupefacente da consegnare a NOME durante l’assenza di COGNOME; nuovamente aumentata di 9 mesi di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo f), in considerazione dell’ingente quantitativo di stupefacente consegnato a NOME COGNOME definitivamente aumentata di ulteriori 9 mesi di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo g), per il ruolo decisivo svolto, anche attraverso le gravi minacce rivolte a COGNOME
Poiché le caratteristiche delle condotte addebitate al ricorrente in relazione alle quali sono stati disposti i suddetti aumenti di pena per la continuazione sono state ampiamente descritte nella parte della motivazione relativa alla affermazione di responsabilità in relazione a ciascuna di esse, i riferimenti mediante i quali sono stati giustificati i suddetti aumenti di pena risultano sufficienti, dovendo essere letti unitamente alla descrizione delle condotte contenuta nella medesima sentenza, sia pure in altra parte.
8.6. In conclusione, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, a cagione della inammissibilità dei primi quattro motivi e della infondatezza del quinto.
Il ricorso di NOME COGNOME dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 di cui al capo a) della rubrica, è infondato.
9.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata eccepita l’illegittimità dell acquisizione del codice IMEI dell’utenza telefonica utilizzata da NOME COGNOME e la conseguente illegittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni dell comunicazioni intercorse mediante tale utenza e l’inutilizzabilità dei relativi esiti non è fondato, per le ragioni illustrate al par. 3 circa la non assimilabilità del
operazioni di acquisizione del codice IMEI di un apparecchio telefonico alla intercettazione di conversazioni o comunicazioni o alla acquisizione di dati relativi a comunicazioni, e a proposito della conseguente possibilità di acquisire tale codice anche in mancanza di autorizzazione del giudice.
9.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, relativi alla inutilizzabilità dei de di intercettazione 475/16, 567/16, 586/16 e 605/16 (secondo motivo), nonché dei decreti di intercettazione 586/16, 605/16, 612/16, 2277/16 e 2314/16, del decreto 612/16, relativo all’utenza straniera n. 0034/604125878, e dei decreti 2277/16 e 2314/16 (terzo motivo), e delle proroghe del decreto 605/16 (quarto motivo), sono inammissibili per le ragioni esposte al par. 4, essendo fondati su un presupposto errato, ossia l’illegittimità della acquisizione del codice IMEI del telefono utilizzato da NOME COGNOME a causa della mancanza della autorizzazione del giudice (che non è necessaria), privi della illustrazione degli esiti dell operazioni di intercettazione disposte con tali decreti e con le relative proroghe e della loro rilevanza nell’ambito di tutti gli elementi di prova acquisiti a seguito del indagini e dell’istruttoria, oltre che volti a sindacarne sul piano delle valutazioni merito l’apprezzamento e la valutazione.
9.3. Il quinto motivo, mediante il quale è stato lamentato un vizio della motivazione in ordine alla richiesta di revoca di alcune ordinanze di acquisizione probatoria e al diniego della richiesta di acquisizione della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di NOME COGNOME per il reato contestato in concorso con il ricorrente NOME COGNOME è inammissibile per le ragioni esposte al par. 5, essendo privo della illustrazione del contenuto e della rilevanza dei documenti oggetto della doglianza e della cui indebita o mancata acquisizione ci si duole e di confronto con il complesso degli elementi di prova e con la motivazione della sentenza impugnata, onde illustrare la rilevanza e la decisività di detti documenti.
9.4. Il sesto motivo, mediante il quale è stato denunciato un vizio della motivazione con riferimento alla affermazione di responsabilità del ricorrente in relazione al reato associativo di cui al capo a), è manifestamente infondato, essendo volto a censurare l’affermazione della partecipazione del ricorrente a tale sodalizio sulla base di una diversa, non consentita, lettura degli elementi di prova. La Corte d’appello ha ribadito detta affermazione sottolineando le comunicazioni e i rapporti tra gli associati, molti dei quali abitavano nel medesimo edificio, il ruol rivestito da COGNOME, la pronta attivazione di costui dopo l’arresto del ricorrente in Olanda (caratterizzato anche dalla partecipazione alle udienze e ai colloqui in carcere e dimostrativo dell’esistenza di solidi legami criminali, tutti volti a realizzazione di una importante operazione di narcotraffico con il ricorrente), nonché quanto riferito dal collaboratore NOME COGNOME a proposito della stabile e risalente collaborazione dei fratelli NOME e NOME COGNOME con lo zio
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NOME COGNOME nel settore del narcotraffico, traendone, in modo non manifestamente illogico, la prova dell’inserimento anche di NOME COGNOME nel suddetto sodalizio di cui al capo a).
Si tratta di considerazioni sufficienti e immuni da vizi logici, essendo conformi alle regole razionali e alle massime di comune esperienza nella valutazione della portata dimostrativa degli elementi di prova considerati in ordine a detta partecipazione, che il ricorrente ha censurato sul piano della lettura degli elementi di prova, di cui ha proposto una rilettura da contrappore a quella, concorde dei giudici di merito, circa il significato e la portata dei medesimi elementi di prova che non è, però, rivisitabile sul piano delle valutazioni di merito o dell’apprezzamento delle prove in questa sede di legittimità.
9.5. Il settimo motivo, mediante il quale è stato prospettato un vizio della motivazione anche con riferimento alla sussistenza del reato di cui al capo a), ossia con riferimento alla stessa configurabilità della associazione di cui a tale contestazione, sottolineando anche l’inattendibilità dei collaboratori di giustizia, è manifestamente infondato per le ragioni esposte al par. 6 a proposito della adeguatezza e logicità della motivazione anche nella parte relativa alla esistenza di detto sodalizio e alla attendibilità e rilevanza delle dichiarazioni dei collaborator posto che anche con tale motivo di ricorso si prospetta una rivisitazione e una riconsiderazione e un diverso giudizio di rilevanza delle risultanze istruttorie, i particolare delle dichiarazioni dei collaboratori, non consentiti, in presenza, come nel caso in esame, di motivazione sufficiente e immune da vizi logici.
9.6. L’ottavo motivo, mediante il quale è stata denunciata la violazione di disposizioni di legge penale e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa al mancato riconoscimento della cessazione da parte del ricorrente della condotta delittuosa di cui al capo a) in data 26/4/2016, è anch’esso, per ragioni analoghe, inammissibile.
La Corte d’appello, nel disattendere l’identico motivo di impugnazione, sostanzialmente replicato senza significativi elementi di novità con il ricorso per cassazione, ha sottolineato l’attivazione degli associati successivamente all’arresto di NOME COGNOME e le iniziative comuni adottate in suo favore, in particolare da parte di COGNOME, COGNOME ed COGNOME, considerandoli, in modo logico, significativi della permanenza del vincolo associativo, che, del resto, non sarebbe affatto logico considerare cessato solo in conseguenza dell’arresto del ricorrente, anche alla luce della particolare intensità del legame che intercorreva tra gli associati (in particolare COGNOME e i COGNOME, legati anche da vincoli di parentela), cosicché anche le doglianze sollevate su tale punto appaiono volte, nuovamente, a censurare l’apprezzamento e la valutazione delle risultanze istruttorie, che sono immuni da vizi logici e non sono dunque rivisitabili sul piano delle valutazioni di merito.
9.7. Il nono motivo, mediante il quale è stato lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è, anch’esso manifestamente infondato, essendo stato escluso il riconoscimento di tale beneficio in considerazione dell’apporto fornito da NOME COGNOME al sodalizio e della sua personalità, desunte, soprattutto, dalla condotta di cui al capo b), ossia dal tentativo di importazione di 40 chilogrammi di cocaina dall’Olanda, che non è stata considerata sul piano della gravità intrinseca, come sostenuto dal ricorrente, quanto, piuttosto, quale indice dimostrativo della rilevanza del ruolo del ricorrente all’interno del sodalizio e della sua inclinazione alla commissione di reati di particolare gravità: si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea, fondata sulla sottolineatura non manifestamente illogica di alcuni aspetti della condotta e della personalità del ricorrente, mediante la quale sono state sottolineate la gravità della condotta e la personalità negativa del ricorrente medesimo, ossia gli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., giudicat assorbenti nella esclusione della riconoscibilità del beneficio.
9.8. Il ricorso proposto da NOME COGNOME deve, dunque, essere anch’esso dichiarato inammissibile, a cagione della infondatezza del primo motivo e della inammissibilità di quelli restanti.
Il ricorso presentato da NOME COGNOME dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), del reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/92, convertito nella I. n. 356 del 1992 (capo D della rubrica) e del reato di cui agli artt. 73 e 80 d.P.R. 309/90 (capo F della rubrica), è infondato.
10.1. Il primo e il quarto motivo, mediante i quali è stata censurata l’affermazione della esistenza della associazione di cui al capo a) e della partecipazione alla stessa del ricorrente, sono inammissibili, sia a causa della loro genericità, essendo privi di autentico confronto critico con tutti gli elementi d prova considerati dai giudici di merito per poter ritenere dimostrata l’esistenza di tale sodalizio e la partecipazione allo stesso del ricorrente; sia perché sono entrambi diretti a conseguire una non consentita rilettura, tra l’altro atomistica e parcellizzata, delle risultanze istruttorie.
Come già esposto al par. 6 i giudici di merito sono pervenuti alla affermazione della esistenza del sodalizio considerando in modo logico un complesso di elementi dimostrativi della esistenza di una risoluzione criminosa più ampia e generale di quella sottostante i singoli reati fine, essendo emersa l’esistenza di una organizzazione strutturata in funzione della realizzazione di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti, caratterizzata da rapporti assai stretti tra gli associati, tutti inseriti in tale progetto criminoso.
Quanto alla partecipazione di COGNOME a tale sodalizio la Corte d’appello ha evidenziato, quali elementi dimostrativi di detta partecipazione, l’intestazione a COGNOME delle quote della RAGIONE_SOCIALE, utilizzata come schermo delle attività illecite del sodalizio, per reinvestirvi i relativi profitti e anche, nei locali dove aveva sed la società, come base logistica (anche per custodirvi i numerosi telefoni cellulari e le schede sim utilizzate dagli associati per comunicare tra loro e che venivano frequentemente cambiati, la cui custodia era stata espressamente affidata a COGNOME); i rapporti tra COGNOME e COGNOME, che in una occasione lo aveva anche rimproverato per la negligente gestione e custodia dei telefoni; lo svolgimento di riunioni presso la sede della società tra COGNOME, NOME COGNOME e lo stesso COGNOME; il coinvolgimento di quest’ultimo nella cessione di 40 chilogrammi di hashish; l’accompagnamento di COGNOME in Olanda dopo l’arresto di NOME COGNOME.
Si tratta di elementi univocamente dimostrativi del pieno inserimento anche del ricorrente COGNOME nel sodalizio di cui al capo a), che sono stati considerati in modo logico e di cui con il ricorso si propone una rivisitazione e una rilettura, no consentite, come già ricordato, nel giudizio di legittimità.
10.2. Il secondo motivo, mediante il quale sono state denunciate violazioni di legge penale e un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione di responsabilità per il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo d), è infondato.
La Corte d’appello, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha infatti chiaramente indicato i plurimi elementi ritenuti, in modo non manifestamente illogico, dimostrativi della consapevolezza da parte del ricorrente sia della pendenza a carico di NOME COGNOME di un procedimento penale per uno dei reati indicati dall’art. 12 quinquies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306 (recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), sia del carattere fraudolento della intestazione al ricorrente medesimo delle quote della RAGIONE_SOCIALE, sottolineando la piena consapevolezza di Scarpa del procedimento pendente a suo carico per il reato di cui all’art. 74 t.u. stupefacenti (desumibile dal contenuto della conversazione intrattenuta il 3/10/2016 proprio presso i locali della RAGIONE_SOCIALE, nel corso della quale gli interlocutori avevano discusso del rito da scegliere e del pericolo di una condanna a una grave pena detentiva), da cui sono stati desunti il prossimo e probabile avvio di un procedimento di prevenzione e l’oggettiva pericolosità dello stesso COGNOME. La consapevolezza di COGNOME della intestazione fittizia delle quote, allo scopo di consentire l’elusione di misure di prevenzione patrimoniale, è stata, poi, desunta, in modo non manifestamente illogico, dalla consapevolezza di essere un intestatario solo fittizio di dette quote e dalla retribuzione mensile che lo stesso percepiva proprio per tale forma di cooperazione. GLYPH
Si tratta di motivazione idonea e non manifestamente illogica, posto che ai fini della configurabilità del delitto di trasferimento fraudolento o intestazion fittizia di valori non occorre che sia già stato emesso un provvedimento ablatorio di prevenzione, essendo sufficiente la pendenza a carico del disponente di un procedimento penale per uno dei reati indicati dal suddetto art. 12 quinquies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, tra cui rientrano anche quelli di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90 per i quali, pacificamente, si procedeva nei confronti di NOME COGNOME e che sia prevedibile, sulla base della gravità delle condotte e tenendo conto del contesto nel quale le stesse siano state realizzate, l’avvio di un procedimento di prevenzione a carico del disponente.
Il delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 12 -quinquies d.l. 8 giugno 1992 n. 306 è un reato di pericolo astratto ed è sufficiente, per la sua realizzazione, che l’agente, sottoposto o sottoponibile a una misura di prevenzione, compia un qualsiasi negozio giuridico al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, cosicché la valutazione circa il pericolo di elusione della misura va compiuta ex ante, su base parziale, ovvero, alla stregua delle circostanze che, al momento della condotta, erano conosciute o conoscibili da un uomo medio in quella determinata situazione spazio – temporale (Sez. 2, n. 7317 del 18/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284386 01; Sez. 2, n. 12871 del 09/03/2016, Mandalari, Rv. 266661 – 01).
Il dolo specifico del reato, consistente nel fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione, può configurarsi non solo quando sia già in atto la procedura di prevenzione, ma anche prima che la detta procedura sia intrapresa, quando l’interessato possa, come nel caso in esame, fondatamente presumerne l’inizio, tanto più in considerazione del fatto che l’essere indagato, ed ancor più rinviato a giudizio per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, può tempo stesso integrare il presupposto soggettivo di cui all’art. 4, comma primo, lett. a), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, rendendo facilmente prevedibile il prossimo inizio del procedimento di prevenzione (Sez. 6, n. 24379 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 264178 – 01; Sez. 2, n. 29224 del 14/07/2010, COGNOME, Rv. 248189 – 01, nella quale già era stato chiarito che il delitto di intestazione fittizia fraudolento trasferimento di denaro, beni o altra utilità al fine di eludere l disposizioni di legge sulle misure di prevenzione patrimoniale non richiede che le condotte siano poste in essere in pendenza di applicazione o emanazione di misure di prevenzione, le quali rilevano solo come indici sintomatici delle finalità elusive che connotano il dolo specifico).
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente NOME COGNOME in ordine alla affermazione della sua responsabilità in relazione al reato di cui al capo d), essendo stati giustificati adeguatamente sia il fine di eludere le disposizioni di legge sulle misure di prevenzione patrimoniale sotteso alla
intestazione in suo favore delle quote della RAGIONE_SOCIALE, sia la sussistenza della relativa consapevolezza in capo al ricorrente.
10.3. Il terzo motivo, mediante il quale è stata censurata l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo f), che sarebbe stata illogicamente fondata esclusivamente sull’incontro tra il ricorrente e NOME COGNOME in data 4/10/2016, benché la condotta sia stata realizzata il successivo 12/10/2016, è inammissibile, perché privo del necessario confronto critico con tutti gli elementi di prova considerati concordemente dai giudici di merito per addivenire alla affermazione della partecipazione del ricorrente a tale condotta, costituiti, tra l’altro, dalla sottolineatura dell’evidente raccordo esistente tra l’incontro d 4/10/2016 e quello del 12/10/2016 (in occasione del quale venne arrestato NOME COGNOME), tra il ricorrente, NOME COGNOME e NOME COGNOME, emergente dalle conversazioni intercettate, nelle quali si fa riferimento al corrispettivo da versare per la consegna dello stupefacente e alla disponibilità di COGNOME e COGNOME a fornirne anche dell’altro allo stesso COGNOME.
Nel disattendere i rilievi sollevati dal ricorrente sul punto della sua partecipazione a tale condotta di cessione, sostanzialmente replicati senza particolari elementi di novità con il motivo di ricorso per cassazione, la Corte d’appello ha sottolineato il ruolo attivo di COGNOME in tali incontri, ai quali non ave partecipato come mero custode dei telefoni cellulari del sodalizio, bensì come soggetto pienamente coinvolto nella cessione (come desunto dalla conversazione con COGNOME relativa alla mancanza di una parte del corrispettivo).
Si tratta di considerazioni idonee a giustificare la conferma della partecipazione di COGNOME alla condotta di cessione contestata al capo f) e non manifestamente illogiche, tenendo anche conto di quanto esposto nella medesima sentenza a proposito dell’inserimento di COGNOME nel sodalizio per conto del quale la cessione venne eseguita e del ruolo dallo stesso rivestito al suo interno, che sono state censurate in modo generico e, soprattutto, sul piano della lettura e della considerazione degli elementi, dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
10.4. Il quinto motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, essendo volto a censurare sul piano delle valutazioni di merito il diniego di tale beneficio, che è stato negato con motivazione idonea, fondata sulla sottolineatura della gravità della condotta, dando conto in tal modo in maniera sufficiente delle ragioni ritenute preponderanti tra quelle di cui all’art. 133 cod. pen., posto che non è richiesto al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti: queste possono dunque essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto, come nel caso in esame, perché in tal modo
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viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato non rivisitabile sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142).
10.5. In conclusione, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, a cagione della infondatezza del secondo motivo e della inammissibilità di quelli restanti (primo, terzo, quarto e quinto motivo).
Il ricorso di NOME COGNOME dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica) e del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (capo C della rubrica), è infondato.
11.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata considerazione dei motivi d’appello, che sarebbero stati disattesi dalla Corte d’appello di Napoli attraverso un generico e acritico richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado, è inammissibile, sia a causa della sua genericità, sia per manifesta infondatezza.
La censura risulta, infatti, anzitutto, generica, sia perché è priva della illustrazione dei motivi d’appello che sarebbero stati trascurati o, comunque, non adeguatamente considerati dalla Corte d’appello, in quanto nel ricorso è stato solo genericamente riportato che con l’atto d’appello era stata contestata la partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale di cui al capo a), senza altro specificare a proposito del contenuto della censura e di quanto esposto su tale punto nella sentenza di primo grado; essa, inoltre, è priva del, necessario, confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, in quanto nel motivo di ricorso ci si duole esclusivamente dell’acritico e generico recepimento da parte del giudice d’appello di quanto esposto nella motivazione della sentenza di primo grado, senza considerare, in modo critico, quanto esposto nella sentenza impugnata e, soprattutto, il complesso della struttura della relativa motivazione, né la complessiva portata giustificativa.
La doglianza risulta, inoltre, manifestamente infondata, in quanto la Corte d’appello, oltre a dare atto di condividere gli argomenti utilizzati dal primo giudice, ha ulteriormente illustrato gli elementi ritenuti, in modo logico, dimostrativi dell partecipazione del ricorrente COGNOME al sodalizio criminale di cui al capo a), evidenziando la stabilità dei rapporti di fornitura di stupefacenti ai qual partecipava anche COGNOME, per conto del gruppo facente capo a COGNOME, desumibile dal contenuto delle conversazioni del 5/9/2016 con tali NOME e NOME; la frequenza dei contatti con COGNOME, anche in vista della cessione di
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cocaina all’acquirente individuato solamente con il nome “NOME“, dal quale il ricorrente risultava chiaramente dipendere per poter perfezionare detta cessione (arrivando a cercare COGNOME anche quando questi si trovava in Olanda a seguito dell’arresto del nipote NOME COGNOME); i chiari riferimenti all’uso di telefoni for dal sodalizio (in particolare da COGNOME), con sim straniere e cambiati frequentemente; la consuetudine dei rapporti con i referenti della piazza di spaccio di Secondigliano; la ammissione, nella conversazione con il medesimo acquirente individuato con il nome “NOME“, del fatto di lavorare con altri e di non poter decidere sulla richiesta di riduzione del prezzo che gli era stata rivolta, dimostrativa del carattere associativo dell’operazione di vendita.
Si tratta di elementi dimostrativi del coinvolgimento anche di COGNOME nella attività del gruppo, giustificato non solamente attraverso un generico e acritico richiamo alle risultanze istruttorie e a quanto esposto nella sentenza di primo grado, bensì sulla sottolineatura e l’analisi di una pluralità di elementi ritenuti, modo non manifestamente illogico, dimostrativi di detta partecipazione e che il ricorrente ha censurato in modo generico e sul piano dell’apprezzamento e della valutazione delle prove, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimità.
11.2. Considerazioni analoghe possono essere svolte a proposito del secondo motivo, mediante il quale è stato lamentato un ulteriore vizio della motivazione, sempre con riferimento alla affermazione dell’inserimento del ricorrente nel sodalizio criminale di cui al capo a), che sarebbe stata desunta in modo illogico esclusivamente dalla realizzazione della condotta di cessione di stupefacenti di cui al capo c), in quanto anche tale motivo di ricorso risulta privo del prescritto confronto critico con la motivazione delle conformi sentenze di merito e con gli argomenti sulla base dei quali è stata giustificata l’affermazione della partecipazione del ricorrente a tale associazione.
La censura è, comunque, manifestamente infondata, in quanto la partecipazione del ricorrente a tale sodalizio è stata ravvisata non solamente in considerazione della sua partecipazione al reato fine di cui al capo c), bensì, come già evidenziato a proposito del primo motivo, sulla base di una pluralità di elementi chiaramente dimostrativi di detta partecipazione.
11.3. Il terzo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, oltre che anch’esso generico, essendo privo di analisi delle condotte e della personalità del ricorrente, è infondato, avendo la Corte d’appello adeguatamente giustificato la misura della pena e il diniego delle circostanze attenuante generiche sottolineando il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, sulla base della sua consuetudine con gli affari del gruppo criminale di cui faceva parte e dei suoi precedenti penali: si tratta di motivazione sufficiente, idonea a dar conto degli
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elementi giudicati assorbenti nel giudizio negativo sul conto dell’imputato, con la conseguente infondatezza dei rilievi sollevati sul punto dal ricorrente.
11.4. Anche il ricorso di NOME COGNOME deve, dunque, essere rigettato, a cagione della infondatezza del terzo motivo e della inammissibilità del primo e del secondo.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME dichiarato responsabile dei reati di cui all’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 309/90 (capo A della rubrica), di cui agli artt. 56 cod. pen. e 73, commi 1 e 6, e 80 d.P.R. 309/90 (capo B della rubrica), 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capi C, F, G della rubrica), e del reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306/92, convertito nella I. n. 356 del 1992 (capo D della rubrica), è infondato.
12.1. I primi cinque motivi di tale ricorso sono, rispettivamente, infondato il primo motivo e inammissibili quelli restanti, ossia il secondo, il terzo, il quarto e il quinto, per le medesime ragioni esposte ai par. 9.1, 9.2 e 9.3 a proposito degli identici motivi posti a fondamento del ricorso di NOME COGNOME redatti dal medesimo difensore.
12.2. Il sesto motivo, mediante il quale è stato prospettato un vizio della motivazione nella parte relativa alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo b), per ragioni in parte sovrapponibili a quelle del sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME e di cui al par. 4.6, è inammissibile, essendo volto a censurare la lettura degli elementi indiziari e di prova sulla base dei quali è stata affermata la partecipazione del ricorrente COGNOME al tentativo di importazione di 40 chilogrammi di cocaina dall’Olanda, oggetto di tale contestazione, che non è affetta da vizi logici ed è idonea a illustrare le ragioni della affermazione de coinvolgimento di COGNOME in tale condotta.
In proposito, infatti, la Corte d’appello, dopo aver ribadito la certezza della identificazione di COGNOME come il soggetto denominato “NOME o’COGNOME” nel corso delle conversazioni intercettate in altro procedimento (sulla base dell’ascolto diretto delle conversazioni da parte del primo giudice, di quanto accertato ed esposto sul punto dai periti trascrittori e di vari stralci delle intercettazioni, o che di quanto riferito sul punto da alcuni collaboratori), nonché la legittimità della acquisizione del codice IMEI del telefono cellulare poi risultato utilizzato da COGNOME e delle relative intercettazioni, la attendibilità dei collaboratori di giustizia e la identificazione di COGNOME (come utilizzatore dell’utenza telefonica spagnola n. 0034604309334), ha sottolineato la valenza dimostrativa del coinvolgimento di COGNOME in tale tentativo di importazione di cocaina di quanto emergente dalle conversazioni e dai messaggi con tale COGNOMEfornitore dei 40 chilogrammi di cocaina) e con la moglie (tale COGNOME), analizzando il contenuto di tali messaggi e conversazioni anteriori e successivi all’arresto di NOME COGNOME nel corso di tale
tentativo di importazione dall’Olanda, nonché quanto desumibile dalle conversazioni tra i fratelli di NOME COGNOME, ossia NOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello ha anche confutato la tesi difensiva, riproposta con il ricorso per cassazione, secondo cui tali contatti sarebbero stati relativi al commercio di automobili, spiegando che ciò non avrebbe richiesto le cautele comunicative e il linguaggio criptico utilizzato da COGNOME e COGNOME.
Tali rilievi, che sono idonei a giustificare l’affermazione del pieno coinvolgimento di COGNOME nel suddetto tentativo di importazione di 40 chilogrammi di cocaina dall’Olanda, che determinò l’arresto in tale nazione di NOME COGNOME, giacché proprio COGNOME fu l’ideatore e il programmatore di detta operazione, essendo fondati su una analisi approfondita e non manifestamente illogica delle risultanze istruttorie sul punto, in particolare delle conversazioni e dei messaggi tra COGNOME e COGNOME (fornitore della droga) e la moglie di costui (tale NOME), e della sottolineatura della loro univoca portata dimostrativa, sono stati censurati dal ricorrente riproponendo le censure sollevate con l’atto d’appello (adeguatamente considerate e motivatamente disattese dalla Corte territoriale) e sul piano della lettura degli elementi indiziari, di cui è stata proposta una lettur alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che è concorde e non manifestamente illogica né risulta fondata sul travisamento dei dati probatori, e non è dunque suscettibile di rivisitazione in sede di legittimità.
12.3. Il settimo motivo, mediante il quale è stato prospettato un analogo vizio della motivazione, che sarebbe assente, manifestamente illogica e contraddittoria, anche con riferimento alla affermazione di responsabilità di COGNOME per il reato di cui al capo c), relativo alla cessione di un chilogrammo di cocaina da parte di NOME COGNOME ed NOME COGNOME a tale NOME, è manifestamente infondato.
La Corte d’appello, nel ribadire l’inserimento di NOME COGNOME nel sodalizio promosso e diretto da COGNOME, come già esposto ai par. 11.1 e 11.2, ha sottolineato gli elementi dimostrativi della direzione anche di tale condotta di cessione da parte di COGNOME, evidenziando i numerosi e ripetuti tentativi di COGNOME di contattare COGNOME proprio per portare a termine tale operazione, anche mentre si trovava in Olanda per il colloquio con il nipote NOME COGNOME, e il contenuto univoco di quanto affermato dallo stesso COGNOME (da cui si ricava la direzione di un terzo, individuato nello COGNOME, della operazione, cfr. pag. 86 della sentenza impugnata), e tali rilievi, idonei, unitamente al complesso degli altri elementi di prova dimostrativi dell’attività del sodalizio, a dimostrare il ruolo di COGNOME e quell di COGNOME, sono stati censurati sul piano della lettura degli elementi indiziari d prova, dunque in modo generico e non consentito.
12.4. L’ottavo motivo, mediante il quale sono state lamentate ulteriori violazioni di disposizioni di legge penale e altri vizi della motivazione, con riferimento alla conferma della affermazione di responsabilità del ricorrente in
relazione al reato di cui al capo d), è infondato, per le ragioni già esposte al par. 10.2 a proposito del carattere fraudolento della intestazione a COGNOME in considerazione della piena consapevolezza di Scarpa della pendenza a suo carico del procedimento per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 e, con essa, anche del prossimo e probabile avvio di un procedimento di prevenzione nei suoi confronti, che, come osservato, costituisce presupposto sufficiente per poter ritenere configurabile il delitto di trasferimento fraudolento o intestazione fittizia di val (per cui non occorre che sia già stato emesso un provvedimento ablatorio di prevenzione, essendo sufficiente la pendenza a carico del disponente di un procedimento penale per uno dei reati indicati dal suddetto art. 12 quinquies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, tra cui rientrano anche quelli di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90 per i quali, pacificamente, si procedeva nei confronti di NOME COGNOME e che sia prevedibile, sulla base della gravità delle condotte e tenendo conto del contesto nel quale le stesse siano state realizzate, l’avvio di un procedimento di prevenzione a carico del disponente).
La Corte d’appello ha esaminato anche il rilievo del ricorrente circa il mancato accertamento della provenienza illecita dei beni oggetto della intestazione fittizia a favore di COGNOME ossia delle quote della RAGIONE_SOCIALE, riproposto senza sostanziali elementi di novità con il ricorso per cassazione, evidenziando, correttamente, la non indispensabilità di tale accertamento, essendo sufficiente che l’origine illecita sia desumibile dalla pericolosità sociale qualificata del disponente nel cui interesse sia stata realizzata l’intestazione fittizia.
Il delitto di trasferimento fraudolento di valori può, infatti, essere commesso, come già osservato al par. 10.2, anche da chi non sia ancora sottoposto a misura di prevenzione e ancor prima che il relativo procedimento sia iniziato (Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282645 – 01; Sez. 5 n. 13083 del 28/02/2014, COGNOME, Rv. 262764), e per la sua configurabilità è sufficiente l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, altre utilità – da intendersi in un’accezione ampia, che rinvia non solo alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il bene, rispetto al quale permanga intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione patrimoniale, per conto o nell’interesse del quale essa è operata, e che può legittimamente includere, perciò, anche un’azienda, un’attività imprenditoriale, o una società (Sez. 2, n. 15781 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263531 – 01; Sez. 2 n. 52616 del 30/09/2014, COGNOME, Rv. 261613; v. anche Sez. 1, n. 17546 del 9/11/2016, dep. 2017, Martino, non mass.), senza che sia necessariamente richiesto l’apprezzamento della concreta capacità elusiva dell’operazione, trattandosi di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato (Sez. 5 n. 40278 del 6/04/2016, COGNOME, Rv. 268200).
Il reato deve, poi, ritenersi integrato anche in presenza di condotte aventi ad oggetto beni che non provengono necessariamente da delitto, ma la cui origine illecita sia riconducibile all’operatività della presunzione relativa scaturente dall pericolosità sociale qualificata del soggetto nel cui interesse è stata realizzata l’intestazione fittizia, secondo i criteri di proiezione temporale individuati dal Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 4880 del 26/06/2014, COGNOME, in accordo con la ratio dell’incriminazione che persegue l’obiettivo di evitare manovre fraudolente da parte di soggetti potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione patrimoniale, dirette a occultare la disponibilità di beni o altre utilità anche a prescindere da un accertamento preciso, in questa sede, della loro provenienza (vedi Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276216 – 01; Sez. 2 n. 13448 del 16/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266438).
Ne consegue l’infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente, essendo stata adeguatamente sottolineata la sua piena consapevolezza di essere sottoposto a un procedimento penale nel quale gli era contestato il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, e essendo necessario un accertamento preciso della provenienza illecita dei beni oggetto della condotta di trasferimento fraudolento, desumibile dalla pericolosità sociale qualificata del ricorrente COGNOME.
12.5. Il nono motivo, mediante il quale è stato denunciato un ulteriore vizio della motivazione con riferimento alla affermazione di responsabilità in relazione al reato di cui al capo f), è inammissibile, in quanto volto a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie sulla base delle quali è stata ribadita l’affermazione dell partecipazione del ricorrente a tale reato, relativo all’acquisto, alla ricezione e all cessione a NOME COGNOME di circa 41 chilogrammi di hashish, suddiviso in 84 panetti, trasportati da NOME COGNOME e sequestrati dalla polizia giudiziaria, partecipazione che è stata desunta in modo logico dagli stretti collegamenti tra COGNOME e COGNOME (ricavato dal contenuto delle conversazioni intercettate all’interno dei locali della RAGIONE_SOCIALE), sottolineando che l’operazione di vendita era stata organizzata dai locali della RAGIONE_SOCIALE, da COGNOME e NOME COGNOME che prendevano ordini e indicazioni da COGNOME e utilizzavano telefoni cellulari e schede sim tutte riconducibili a COGNOME e che questi gestiva personalmente: si tratta di motivazione idonea e non manifestamente illogica, tenuto conto, soprattutto, del ruolo di COGNOME e dei suoi rapporti con gli associati e, in particolare, con COGNOME e NOME COGNOME che è stata censurata sul piano della considerazione degli elementi di prova, proponendone una rivisitazione e una rilettura, non consentite, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori.
12.6. Il decimo motivo, mediante il quale ha denunciato l’esistenza di vizi della motivazione anche con riferimento alla affermazione di responsabilità in
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relazione al reato di cui al capo g), relativo alla cessione, in concorso con NOME COGNOME, di cocaina del valore di 13.000,00 euro a NOME COGNOME è anch’esso inammissibile, essendo volto a censurare l’apprezzamento e la valutazione delle risultanze istruttorie, in particolare del contenuto di una conversazione telefonica nel corso della quale era stato fatto riferimento a uno zio di NOME COGNOME (che sarebbe stato erroneamente identificato nel ricorrente, nonostante NOME COGNOME abbia ben quattro zii, alcuni dei quali coinvolti in passato in traffici stupefacenti), e a crediti verso Patané (che sarebbero da ricondurre alla compravendita di una automobile).
Si tratta, anche a questo proposito, di doglianze non consentite, essendo volte a censurare sul piano delle valutazioni di merito l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, che non è manifestamente illogico né può dirsi fondato sul travisamento dei dati probatori, ossia su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, e non è dunque suscettibile di riconsiderazione o rilettura nel giudizio di legittimità, come invece proposto, anche con questo motivo, dal ricorrente.
La Corte d’appello, nel ricostruire il contesto all’interno del quale era stata perfezionata detta cessione e per individuare il ruolo assuntovi da COGNOME, ha, anzitutto, sottolineato la stabile dedizione di COGNOME allo spaccio di stupefacenti, emergente con chiarezza dalle conversazioni captate nei giorni 11, 13, 15, 16 e 18 luglio 2016, nelle quali, con linguaggio talora criptico, si discute apertamente di cessioni di stupefacenti. E’ stato, poi, illustrato il ruolo di stabili forni COGNOME sia di NOME COGNOME sia di COGNOME e le minacce e le percosse di cui lo stesso COGNOME era stato fatto oggetto sia da COGNOME sia da COGNOME a causa del mancato pagamento di forniture di stupefacenti, per somme dovute anche a COGNOME, traendone la prova del coinvolgimento di quest’ultimo nelle forniture di stupefacente a favore di COGNOME, sottolineando il carattere inequivocabile delle espressioni usate da COGNOME, che aveva fatto chiaramente riferimento a somme dovuto da COGNOME allo “zio” (cioè a COGNOME, di cui è nipote) per forniture di droga (si veda il contenuto di tali conversazioni riportato per esteso a pag. 93 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha anche confutato la prospettazione difensiva, rinnovata con il ricorso per cassazione, circa la riconducibilità di tali conversazioni all compravendita di un autoveicolo, escludendone la plausibilità, non emergendo alcun elemento nelle conversazioni intercettate riconducibile a tale negoziazione, mentre dalla sentenza di condanna dello stesso COGNOME, acquisita ai sensi dell’art. 238 cod. proc. pen., emergeva con chiarezza che COGNOME intratteneva traffici illeciti di sostanze stupefacenti sia con NOME COGNOME sia con COGNOME.
Si tratta, anche a questo proposito, di argomenti idonei a giustificare la conferma della affermazione di responsabilità in ordine al coinvolgimento di COGNOME
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.,
GLYPH anche in detta cessione di cocaina, e non manifestamente illogici, non sindacabili … GLYPH sul piano dell’apprezzamento delle prove e della loro considerazione, come invece proposto dal ricorrente.
12.7. L’undicesimo motivo, mediante il quale sono stati lamentati ulteriori vizi della motivazione, con riferimento alla sussistenza del reato associativo di cui al capo a), è inammissibile per le ragioni esposte al par. 6 e richiamate al par. 7.1, in quanto anche con tale motivo di ricorso è stata proposta una rivisitazione delle risultanze istruttorie, sottolineando la indisponibilità di risorse economiche da parte del sodalizio, la mancata dimostrazione dell’utilizzo di sofisticati strumenti di comunicazione, l’inattendibilità dei collaboratori di giustizia, la scarsa rilevanza delle loro dichiarazioni, l’episodicità delle condotte di importazione di stupefacenti, l’autonomia operativa di COGNOME, l’assenza di una base operativa e di una cassa comune e anche di una filiera di rifornimento dello stupefacente.
Si tratta di argomenti già considerati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello, riproposti senza significativi elementi di novità con il ricorso per cassazione, mediante il quale si sollecita, anche a questo proposito, una rilettura delle medesime risultanze istruttorie, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che, però, come sottolineato al par. 6, è idonea a dar conto della esistenza del sodalizio con motivazione adeguata e immune da vizi logici, come tale non rivisitabile sul piano delle valutazioni di merito in questa sede di legittimità.
12.8. Il dodicesimo motivo, mediante il quale è stato lamentato un ulteriore vizio della motivazione con riferimento alla qualificazione del ricorrente come promotore e organizzatore del suddetto sodalizio di cui al capo a), che sarebbe stata desunta in modo illogico da quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia NOME e NOME COGNOME e COGNOME, oltre che da condotte non significative ai fini del riconoscimento di tale ruolo, è inammissibile per ragioni analoghe.
La Corte d’appello, oltre a quanto riferito, in termini generali, dai collaboratori, ha sottolineato, quali elementi dimostrativi del suddetto ruolo di promotore e organizzatore del sodalizio, che era COGNOME a procurare le apparecchiature telefoniche, essenziali per le comunicazioni tra i partecipi, e a fornirle a questi ultimi; a mantenere i contatti con i fornitori stranieri degli stupefacenti; ad avviar nuove relazioni per l’espansione dell’attività illecita del sodalizio, con soggetti che ne conoscevano il ruolo di spicco nel settore del narcotraffico. È stata evidenziata la ricerca, da parte di tutti gli associati, di contatti con COGNOME per ricevere da l indicazioni nei momenti e nelle situazioni di difficoltà (COGNOME per il capo C, COGNOME e NOME COGNOME per il capo F) e anche il reinvestimento nella Pluriservice di ingenti risorse.
Si tratta di aspetti idonei a giustificare l’affermazione della ravvisabilità de ruolo apicale del sodalizio in capo a COGNOME, stante la valenza dimostrativa degli
elementi sottolineati, da leggere assieme a tutti gli altri elementi di prova e tenendo conto delle caratteristiche e delle modalità operative del sodalizio, oltre che di quelle di realizzazione dei reati fine, censurate nuovamente sul piano della lettura e della considerazione di tali elementi indiziari, che non è manifestamente illogica e non è quindi suscettibile di rivisitazioni.
12.9. Il tredicesimo motivo, mediante il quale è stata lamentata la carenza e la manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento al riconoscimento della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. 309/90 in relazione al reato di cui al capo b), per non essere stata analizzata in Italia la sostanza stupefacente sequestrata in Olanda, è manifestamente infondato.
Premesso che la circostanza aggravante della detenzione di ingente quantità di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere configurata anche in mancanza del sequestro della sostanza, purché vi siano elementi di prova certi che consentano di pervenire per via indiretta alla individuazione del dato ponderale (Sez. 3, n. 35042 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 267873 – 01; Sez. 3, n. 7385 del 19/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262409 – 01), nel caso in esame la Corte d’appello ha ribadito la configurabilità della circostanza aggravante sulla base della inequivocità del dato ponderale costituito dal sequestro in Olanda di 40 chilogrammi di cocaina, ritenendo, in modo non manifestamente illogico e sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità, che tale dato ponderale, proprio per la sua inequivoca valenza dimostrativa, deponga in modo certo per il superamento delle soglie fissate per poter ritenere configurabile tale circostanza, e anche tale affermazione è stata censurata in modo generico, riproponendo la medesima doglianza già disattesa dai giudici del gravame, e sul piano delle valutazioni dei dati probatori, dunque, ancora una volta, in modo non consentito.
12.10. Infine, con il quattordicesimo motivo ha lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante la propria incensuratezza e la non definitività della sentenza di condanna a suo carico per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, impropriamente e indebitamente valorizzata dalla Corte d’appello, come pure il generico e non meglio dimostrato attivismo del ricorrente nel settore del narcotraffico negli anni 2007 – 2008, mentre il riconoscimento di tale beneficio avrebbe consentito di meglio adeguare la sanzione alla obiettiva entità dei fatti.
La Corte d’appello ha, però, considerato sia le dichiarazioni dei collaboratori sia la sentenza di condanna come elementi dimostrativi della personalità negativa di COGNOME e non come elementi di prova o come precedente ostativo, e ha escluso la riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della personalità criminale di elevato spessore del ricorrente, confermata anche dagli ingenti quantitativi di stupefacenti trattati e dall’ampia rete di azion (analiticamente descritti nella parte della motivazione relativa alla affermazione di
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responsabilità): si tratta di motivazione idonea, essendo stati indicati in sufficiente gli aspetti (tenendo dell’ampia descrizione delle condotte e della
personalità del ricorrente nella parte relativa alla affermazione di responsabilità), tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., giudicati assorbenti nella valutazione
gravità delle condotte e nel giudizio negativo sulla personalità del ricorrente, non sindacabili sul piano delle valutazioni di merito in questa sede di legittimità.
12.11. In conclusione, anche il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, stante l’infondatezza del primo e dell’ottavo motivo e della
inammissibilità di quelli residui.
13. Tutti i ricorsi devono, pertanto, essere rigettati, a cagione della infondatezza e della inammissibilità delle censure alle quali sono stati affidati, con
la conseguente condanna di tutti i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/2/2024