Acqua Potabile in Carcere: Analisi vs. Percezione
La questione della qualità della vita negli istituti penitenziari è un tema centrale nel dibattito giuridico, toccando diritti fondamentali della persona. Un aspetto cruciale è la fornitura di acqua potabile in carcere. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti importanti su come bilanciare le analisi ufficiali delle autorità sanitarie con le percezioni e le prove empiriche fornite dai detenuti.
I Fatti del Caso
Un detenuto si era rivolto al Magistrato di Sorveglianza per ottenere l’ottemperanza di un precedente provvedimento. Tale provvedimento stabiliva che l’amministrazione penitenziaria dovesse distribuire acqua potabile qualora fossero state riscontrate impurità nell’acqua erogata dalla rete idrica dell’istituto.
Il detenuto sosteneva che, nonostante le analisi dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) attestassero la potabilità dell’acqua, questa sgorgasse dal rubinetto visibilmente torbida. A supporto della sua tesi, presentava delle prove da lui definite “empiriche”. Lamentava inoltre che la richiesta di ottemperanza fosse stata negata e che, in ogni caso, la quantità di acqua distribuita (1 litro) fosse insufficiente, chiedendone almeno 2.
Il Magistrato di Sorveglianza aveva respinto l’istanza, ritenendo che, sulla base delle certificazioni ufficiali dell’ASL, l’acqua fosse potabile e quindi l’amministrazione stesse già adempiendo all’ordine. Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso per cassazione.
La Controversia sull’Acqua Potabile in Carcere
Il nodo della questione legale era se la percezione visiva di impurità, supportata da prove non scientifiche, potesse prevalere su un accertamento tecnico ufficiale che certificava la potabilità dell’acqua. Il ricorrente deduceva una violazione di legge, sostenendo che la presenza di torbidità fosse di per sé una “impurità” che faceva scattare l’obbligo di distribuzione di acqua alternativa, come previsto dall’ordinanza originaria.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se il ricorso del detenuto fosse fondato o se, al contrario, rappresentasse un tentativo di rimettere in discussione una valutazione di fatto, attività preclusa in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. In primo luogo, i giudici hanno sottolineato che il ricorso per cassazione è consentito solo per violazioni di legge e non per un riesame dei fatti. Il Magistrato di Sorveglianza aveva basato la sua decisione su un accertamento oggettivo: le analisi delle competenti autorità sanitarie. Il tentativo del ricorrente di contestare questo dato con “prove empiriche” si traduce in una doglianza di fatto, non ammissibile in questa sede.
La Corte ha specificato che, una volta accertata ufficialmente la potabilità dell’acqua, l’amministrazione penitenziaria aveva già ottemperato al provvedimento. La doglianza del ricorrente era, quindi, una mera riproposizione di argomenti fattuali già vagliati e respinti dal giudice di merito.
Inoltre, per quanto riguarda la richiesta di una maggiore quantità d’acqua, la Corte ha definito la questione “del tutto fuori fuoco”. Il provvedimento originario, di cui si chiedeva l’ottemperanza, non menzionava affatto i quantitativi da distribuire. Di conseguenza, una lamentela su questo punto era inconferente rispetto all’oggetto del contendere.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo di legittimità: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito. Le valutazioni fattuali, come l’accertamento della qualità dell’acqua basato su analisi tecniche, una volta compiute dal giudice competente, non possono essere rimesse in discussione in Cassazione. La decisione sottolinea la prevalenza degli accertamenti scientifici e ufficiali rispetto alle percezioni soggettive o a prove non qualificate. Per i detenuti e i loro difensori, ciò significa che eventuali contestazioni sulla qualità dei servizi essenziali, come la fornitura di acqua potabile in carcere, devono essere supportate da elementi probatori solidi e, preferibilmente, di natura tecnica, da far valere nelle sedi di merito.
La percezione di impurità nell’acqua fornita in carcere è sufficiente per obbligare l’amministrazione a fornire acqua in bottiglia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se le autorità sanitarie competenti hanno certificato ufficialmente la potabilità dell’acqua, la percezione soggettiva del detenuto o le sue ‘prove empiriche’ non sono sufficienti a contestare tale accertamento in sede di legittimità.
Un ricorso in Cassazione può basarsi su una nuova valutazione dei fatti, come la presunta impurità dell’acqua?
No, il ricorso per cassazione è ammesso solo per ‘violazione di legge’. Riproporre questioni di fatto già decise dal Magistrato di sorveglianza (come l’accertamento della potabilità basato su analisi ufficiali) rende il ricorso inammissibile.
Cosa succede se un provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza non specifica un dettaglio, come la quantità di acqua da fornire?
Se il provvedimento originale non prevede un determinato dettaglio (in questo caso, i quantitativi di acqua), una doglianza su quel punto specifico viene considerata ‘fuori fuoco’, cioè non pertinente, e non può essere utilizzata per fondare il ricorso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10709 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10709 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SIRACUSA il 16/07/1970
avverso l’ordinanza del 29/10/2024 del GIUD. SORVEGLIANZA di NUORO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, avverso l’ordinanza in epigrafe, con la quale il Magistrato di sorveglianza di Nuoro ha dichiarato il n luogo a provvedere sull’istanza di ottemperanza relativa alla somministrazione di acqua potabile.
Nell’unico motivo, il ricorrente deduce violazione di legge; si evidenzia in particolare che l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Nuoro, di cui si chiedeva l’ottemperanza, prevedeva la distribuzione di acqua potabile “qualora vengano riscontrate impurità”; che a tal fine, non ha rilevanza la potabilità attestata dall’ASL, dal momento ch l’acqua sgorga torbida dal rubinetto, come dimostrato dal detenuto con prove empiriche; che essendo già stata provata la presenza di impurità, l’ottemperanza non poteva essere negata; che, infine, la richiesta del detenuto riguardava non solo la somministrazione di acqua potabile ma anche la quantità della stessa (2 litri anziché 1 litro);
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato, e proposto per motivi non consentite.
All’accertamento in fatto operato dal Magistrato di sorveglianza, attestante l’effettuazione di analisi delle competenti autorità sanitarie che hanno accertato la potabil dell’acqua erogata in istituto, ed alla conseguente determinazione assunta, sul presupposto dell’effettiva già attuata ottemperanza da parte dell’istituto di detenzione, il ricorrente si a riproporre doglianze in fatto, circa la presenza di impurità nell’acqua, inammissibili presente procedimento per cui è ammesso il ricorso per la sola violazione di legge; del tutto fuori fuoco appare la doglianza inerente il quantitativo di acqua potabile da fornire al detenut in caso di acclarata impurità dell’acqua erogata, dal momento che il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza non prevedeva i quantitativi di acqua da fornire.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2025