Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25923 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25923 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SANTAFE DI BOGOTA( COLOMBIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/02/2024 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 febbraio 2024 ; Tribunale di Busto Arsizio, su concorde richiesta formulata dalle parti, ha applicato a NOME la pena di anni uno di reclusione ed C 1.000,00 di multa per due violazioni dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 consistite nella aver detenuto presso la propria abitazione cocaina, marijuana, sostanza da taglio e materiale atto al confezionamento e nell’aver ceduto marijuana a NOME COGNOME e NOME. La richiesta di applicazione della pena era stata subordinata alla concessione del beneficio della sospensione condizionale del quale tuttavia l’imputato aveva già usufruito in precedenza. Ai sensi dell’art. 165, comma 2, cod. pen., preso atto che l’imputato aveva manifestato «la sua disponibilità in tal senso», la sospensione condizionale è stata subordinata allo svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività per una durata che il giudice ha determinato in trenta giorni di lavoro da svolgersi entro otto mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Il Tribunale ha disposto, inoltre: «la confisca e distruzione della sostanza stupefacente, degli utensili e della scheda SIM in sequestro»; «la confisca del denaro in sequestro e la devoluzione alla Cassa delle ammende».
Contro la sentenza, l’imputato e il suo difensore di fiducia hanno proposto tempestivo ricorso/ articolando tre motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall’art. 173 comma 1 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
Il difensore ricorda che, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, l’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice « di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato» e sostiene che nessuna delle statuizioni oggetto del ricorso è stata oggetto di accordo tra le parti sicché non operano rispetto ad esse i limiti all’impugnazione previsti dall’art. 448 comma 2 bis cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alla confisca del denaro in sequestro.
Osserva:
che, la sentenza impugnata non ha argomentato adeguatamente sul vincolo di pertinenzialità esistente tra le contestate violazioni dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 e il possesso del denaro e sulle ragioni per le quali la somma in sequestro costituirebbe profitto dell’attività illecita;
che, peraltro, il sequestro è stato disposto ai sensi degli artt. 85 bis d.P.R. n. 309/90 e 240 bis cod. pen.; sarebbe stato quindi necessario spiegare per quali ragioni vi sia sproporzione tra le somme rinvenute e il reddito dichiarato, ma su questo punto, la motivazione è carente/ atteso che, nell’udienza di convalida dell’arresto, COGNOME ha dichiarato di svolgere regolare attività lavorativa presso la «RAGIONE_SOCIALE San Vittore Olona» e la somma sequestrata è di complessivi € 305;
che in più occasioni, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la possibilità di applicare l’art. 240 bis cod. pen. ai casi di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.
2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alla confisca della scheda SIM.
Osserva che la confisca è stata disposta, ai sensi dell’art. 240 cod. pen., in assenza di qualsiasi argomentata correlazione eziologica tra la scheda SIM sequestrata e i reati ascritti all’imputato, né può dirsi che la scheda SIM sia un bene di valore sproporzionato alla situazione economica dell’imputato e quindi confiscabile ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen.
2.3. Col terzo motivo il ricorrente deduce vizi della sentenza attinenti all’espressione della volontà dell’imputato e vizi di motivazione per essere stata subordinata la sospensione condizionale della pena allo svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività per la durata di trenta giorni.
Osserva:
che la durata dello svolgimento dell’attività lavorativa non è stata concordata tra le parti;
che il Tribunale non ha fornito motivazione adeguata delle ragioni per le quali è stato ritenuto congruo lo svolgimento di trenta giorni di lavoro e neppure ha spiegato perché la sospensione condizionale sia stata subordinata a tale condizione e non ad altra.
Secondo il ricorrente, una motivazione sarebbe stata invece doverosa perché, subordinando la sospensione condizionale della pena allo svolgimento di attività lavorativa non retribuita in favore della collettività, si determina una limitazion della libertà personale che altre condizioni non contemplano.
Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve essere esaminato per primo, perché è fondato ed assorbente, il terzo
motivo di ricorso col quale il ricorrente deduce vizi della sentenza attinenti all’espressione della volontà dell’imputato e vizi di motivazione per essere stata subordinata la sospensione condizionale della pena allo svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività per la durata di trenta giorni.
Il motivo è fondato nella parte in cui lamenta che la durata dello svolgimento dell’attività lavorativa sia stata autonomamente determinata dal giudice in assenza di accordo tra le parti e deduce quindi un vizio della sentenza di applicazione della pena attinente all’espressione della volontà dell’imputato.
Con la sentenza n. 23400 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283191 / le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che, «nel procedimento speciale di cui all’art. 444 cod. proc. pen., l’accordo delle parti sull’applicazione di una pena detentiva di cui viene richiesta la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi “ex lege” alla concessione del beneficio, indicandone, quando previsto, la durata, con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione anche su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia subordinata l’efficacia della stessa richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata».
Il supremo Collegio ha osservato in proposito (pag. 20 della motivazione) che, «quando la legge impone al giudice di adottare una prescrizione non prevista dall’accordo (seppure negoziabile dalle parti), ma allo stesso tempo gli attribuisce il potere di determinarne in concreto il contenuto, L.] l’esito della sua deliberazione sul punto non è prevedibile e non può pertanto ritenersi che l’imputato abbia avuto piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche della sua scelta al momento in cui ha eletto il rito speciale e rinunziato all’esercizio dei propri diritti». Se la determinazione del concreto contenuto della prescrizione viene adottata dal giudice, dunque, la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. è viziata perché eccedente il contenuto dell’accordo intervenuto tra le parti, sulle quali – ove intendano subordinare la richiesta di applicazione della pena alla concessione del beneficio della sospensione condizionale – grava l’onere di «pattuire anche le condizioni che consentono di concedere il beneficio nel rispetto del secondo comma dell’art. 165, cod. pen.» (Sez. U, n. 23400 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283191, pag. 21 della motivazione).
Nel caso di specie, dalla lettura del verbale di udienza – necessaria e possibile in ragione del vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) – emerge che la richiesta di applicazione della pena sulla quale le parti hanno concordato era subordinata alla concessione della sospensione condizionale e tale beneficio era subordinato, ai sensi dell’art. 165, comma 2 / cod.
proc. pen., allo svolgimento di attività non retribuita in favore della collettività, ma di tale prestazione non era stata determinata la durata.
Poiché il ricorrente si duole del modo in cui tale determinazione è avvenuta, il ricorso merita accoglimento. Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Tribunale di Busto Arsizio.
La natura rescindente di tale epilogo decisorio rende superfluo l’esame degli altri motivi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Busto Arsizio.
Così deciso il 30 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente