Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33806 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33806 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/02/2025 della CORTE di APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, per COGNOME e COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; udita l’AVV_NOTAIO, per la parte civile COGNOME NOME, che ha concluso associandosi alla richiesta del Procuratore Generale e ha depositato in udienza conclusioni scritte e nota spese;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 4 febbraio 2025 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa il 26 gennaio 2023 dal Tribunale di Roma, appellata dagli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME e dalla parte civile COGNOME NOME (quest’ultimo nella qualità di procuratore speciale in forza di
trust di COGNOME NOME, soggetto disponente in relazione al trust nonché erede di COGNOME NOME, già proprietaria della somma oggetto del reato), dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato di appropriazione indebita loro in concorso ascritto perché estinto per prescrizione e condannava i medesimi imputati al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, liquidato in complessivi euro 250.000,00, oltre accessori.
Agli imputati, in particolare, era stato contestato di essersi appropriati, in concorso tra loro, della somma di euro 250.000,00 giacente sul conto corrente intestato alla de cuius COGNOME NOME e fatta oggetto di negozio fiduciario ad opera dell’erede di costei, COGNOME NOME.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con unico atto, entrambi gli imputati, per il tramite del loro difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deducevano violazione degli artt. 538, 74 e 546, lett. e), cod. proc. pen., 185 e 187 cod. pen., 476 cod. civ. nonché vizio di motivazione.
Assumevano, in particolare, che la motivazione del provvedimento impugNOME era illogica e carente nella parte in cui era stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Rassegnavano che il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno per non aver ritenuta provata in capo ad COGNOME NOME la qualità di erede universale della de cuius COGNOME NOME, già titolare del conto corrente sul quale giaceva la somma fatta oggetto di appropriazione indebita.
Deducevano che la Corte d’Appello erroneamente aveva ritenuto in capo ad COGNOME NOME la qualità di erede universale della de cuius COGNOME NOME per avere lo stesso accettato l’eredità per facta concludentia, laddove in realtà costui si era limitato a presentare la denuncia di successione, atto che aveva finalità esclusivamente fiscali e non anche la valenza di accettazione tacita dell’eredità.
Quanto al trust istituito dal ritenuto erede COGNOME NOME, a sua volta successivamente defunto, i ricorrenti deducevano che in realtà nessun atto di disposizione al riguardo era stato posto in essere dalla de cuius COGNOME NOME e che COGNOME NOME, non essendo erede, non era legittimato a disporre in alcun modo del patrimonio della de cuius; concludevano sul punto affermando che il provvedimento impugNOME non conteneva alcuna indicazione
in merito al fatto che il patrimonio della de cuius fosse confluito, dapprima per successione a titolo universale e poi tramite l’istituzione del trust, nel patrimonio della parte civile COGNOME NOME, procuratore speciale di COGNOME NOME in relazione al trust da quest’ultimo istituito.
Assumevano, per altro verso, che in relazione alla ritenuta responsabilità civile degli imputati la Corte d’Appello aveva omesso di valutare il materiale probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
In relazione alla qualità, in capo ad COGNOME NOME, di erede di COGNOME NOME, contestata dalla difesa, la Corte d’Appello ha ritenuto che il primo avesse accettato per facta concludentia l’eredità della seconda, dando conto in maniera puntuale degli elementi di prova utilizzati e traendo da essi logiche conseguenze.
Ha menzioNOME, in particolare, la mail datata 12 maggio 2016, inviata dalla commercialista dell’COGNOME, d.ssa COGNOME, all’AVV_NOTAIO, con la quale la COGNOME rappresentava di aver avuto un colloquio con il direttore dell’istituto di credito ove era stato acceso il conto della de cuius in relazione alla gestione delle attività cadute in successione, nonché la successiva mail del 21 agosto 2016, intercorsa tra il legale del COGNOME e il citato direttore di banca, avente ad oggetto ancora una volta il trasferimento in favore del NOME dei beni già di proprietà della de cuius.
Da tali elementi la Corte di merito ha, congruamente, tratto il convincimento del fatto che il NOME “si stava interessando della questione relativa al trasferimento dell’eredità della sorella” (v. pag. 3 della sentenza impugnata).
La Corte territoriale ha anche citato ulteriori mail aventi ad oggetto i dati catastali della casa della de cuius, ad ulteriore dimostrazione che COGNOME NOME avesse accettato, per fatti concludenti, l’eredità della sorella, predisponendo i mezzi per la sua concreta gestione, non essendosi limitato, come preteso dalla difesa, a presentare la sola denuncia di successione, atto che la stessa Corte d’Appello affermava avere, di per sé solo, mera valenza fiscale.
Ha dunque congruamente argomentato, il giudice di secondo grado, affermando che, in qualità di erede di COGNOME NOME, il fratello NOME era
legittimato a costituire un trust avente ad oggetto (anche) i beni caduti in eredità, dei quali “il trust si occupa di disciplinarne la gestione” (v. pag. 4 del provvedimento impugNOME) e che, di conseguenza, COGNOME NOME, in qualità di procuratore del trust nomiNOME da COGNOME NOME, aveva piena legittimazione a costituirsi parte civile (si veda l’atto di costituzione di part civile del COGNOME, acquisito al processo, con il quale il medesimo si costituisce “in proprio quale beneficiarío nonché quale rappresentante ed amministratore, come da Trust che si allega …, di tutti i beni del defunto NOME COGNOME, fratello di NOME COGNOME …”.
Ad onta di quanto affermato dal ricorrente, dunque, deve ritenersi che la Corte di merito abbia fornito una motivazione immune da vizi in relazione al passaggio del patrimonio della de cuius in quello dell’erede COGNOME NOME e successivamente, per il tramite del trust, nel patrimonio della parte civile COGNOME NOME, che risulta pertanto legittimato a costituirsi parte civile, dovendosi in conseguenza escludere le denunciate violazioni di legge.
Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono, pertanto, essere rigettati ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10/06/2025