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Accesso abusivo sistema informatico: quando è reato

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per accesso abusivo a sistema informatico nei confronti di un amministratore che, pur avendo le credenziali, si era introdotto nella casella email di un collega per finalità personali e non aziendali. La sentenza chiarisce che l’autorizzazione all’accesso non è sufficiente se l’azione è mossa da scopi estranei alle mansioni lavorative, violando i principi di proporzionalità e correttezza, specialmente quando si tratta di cosiddetti controlli difensivi sui dipendenti.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Accesso abusivo sistema informatico: quando la finalità rende l’azione un reato

L’era digitale ha introdotto nuove sfide per il diritto, specialmente riguardo alla privacy e alla sicurezza dei dati. Un tema centrale è l’accesso abusivo a un sistema informatico, disciplinato dall’art. 615-ter del codice penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23158/2025, offre chiarimenti cruciali su quando un accesso, anche se effettuato da un soggetto autorizzato come un amministratore di sistema, diventa illecito. La Corte sottolinea che la legittimità dell’accesso non dipende solo dal possesso delle credenziali, ma soprattutto dalle finalità per cui viene effettuato.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un amministratore di sistema di una società, condannato in primo e secondo grado per aver effettuato un accesso abusivo al sistema informatico aziendale. Nello specifico, l’imputato si era introdotto nella casella di posta elettronica di un dirigente, prendendo visione della sua corrispondenza riservata, inclusi scambi con i legali della società. L’imputato si era difeso sostenendo di aver agito per tutelare l’azienda da presunti comportamenti dannosi del dirigente, configurando la sua azione come un legittimo ‘controllo difensivo’. Inoltre, aveva temporaneamente disattivato una funzione di tracciamento degli accessi, azione che ha portato alla contestazione di un’aggravante.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui:
* Travisamento della prova: a suo dire, i giudici di merito avrebbero ignorato documenti e male interpretato le testimonianze che confermavano la consapevolezza generale in azienda sui poteri di controllo degli amministratori.
* Errata valutazione dell’elemento psicologico: l’imputato sosteneva di aver agito nell’interesse della società e non per un tornaconto personale, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello.
* Violazione di legge: la difesa contestava la sussistenza stessa del reato di accesso abusivo, dato che l’imputato era pienamente legittimato ad accedere al sistema, e riteneva insussistente l’aggravante del danneggiamento del sistema informatico.

La questione cruciale dell’accesso abusivo sistema informatico

Il punto nevralgico del ricorso verteva sulla corretta interpretazione del reato di accesso abusivo sistema informatico. La difesa ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza ‘Savarese’), secondo cui il reato si configura quando l’accesso avviene per ‘ragioni ontologicamente estranee’ a quelle per cui la facoltà è stata attribuita. L’imputato sosteneva che il suo fine fosse la tutela aziendale, quindi un motivo non estraneo.

I limiti dei controlli difensivi e la privacy dei lavoratori

La Corte Territoriale aveva ritenuto i controlli illegittimi perché massivi e indiscriminati, in violazione dei principi di protezione dei dati personali. La difesa replicava che i messaggi erano stati selezionati con criteri precisi e proporzionati, necessari per un legittimo controllo. Veniva inoltre contestata la condanna al risarcimento dei costi sostenuti dalla società per incaricare una società di consulenza esterna, ritenendo tale attività finalizzata alla ricerca di prove e non alla riparazione di un danno.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Gli Ermellini hanno chiarito, in linea con le Sezioni Unite, che integra il delitto di accesso abusivo sistema informatico la condotta di chi, pur essendo abilitato, si mantenga nel sistema per ragioni estranee a quelle che legittimano la sua presenza. Nel caso specifico, le finalità perseguite dall’imputato sono state giudicate ‘strettamente personali’ e ‘ontologicamente slegate dall’interesse societario’.
La Corte ha stabilito che i cosiddetti ‘controlli difensivi’ sono ammessi solo se rispettano rigorosi principi di proporzionalità e ragionevolezza. L’accesso alla casella email di un altro dipendente, scaricando oltre 1500 messaggi per leggerne quasi 100, è stato considerato sproporzionato e non giustificato. L’azione non era un generico controllo sulla diligenza del lavoratore, ma un ‘controllo difensivo in senso stretto’, che richiede un fondato sospetto di un illecito e deve essere mirato.
Inoltre, la Corte ha confermato l’aggravante per aver alterato il funzionamento del sistema. La disattivazione della funzione di tracciamento, anche se temporanea e reversibile, ha impedito l’utilizzo dell’applicativo agli altri utenti, rendendo il sistema temporaneamente inidoneo al suo scopo e integrando così l’aggravante prevista.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: il possesso delle chiavi di accesso a un sistema informatico non conferisce un potere illimitato. L’autorizzazione è sempre legata a specifiche finalità lavorative. Qualsiasi deviazione da tali finalità, specialmente se invade la sfera di riservatezza altrui, configura il grave reato di accesso abusivo. Per le aziende, questa decisione rafforza la necessità di definire policy chiare sull’uso degli strumenti informatici e sui poteri degli amministratori di sistema. Per questi ultimi, è un monito a esercitare le proprie funzioni nel rigoroso rispetto della legge e dei diritti dei colleghi, poiché agire per scopi personali, anche se mascherati da un presunto interesse aziendale, può avere serie conseguenze penali.

Un amministratore di sistema autorizzato a entrare nel sistema informatico aziendale commette reato se legge le email di un collega?
Sì, commette il reato di accesso abusivo a un sistema informatico se agisce per finalità personali o comunque estranee alle ragioni di servizio per le quali gli è stata concessa l’autorizzazione. La legittimità dell’accesso dipende dallo scopo, non solo dal possesso delle credenziali.

Cosa si intende per “controlli difensivi” da parte del datore di lavoro e quali sono i loro limiti?
I controlli difensivi sono quelli finalizzati a proteggere i beni aziendali o a prevenire illeciti. Tuttavia, secondo la Corte, devono rispettare i principi di proporzionalità e ragionevolezza. Non possono essere massivi o indiscriminati e devono essere attivati solo in presenza di un fondato sospetto, bilanciando sempre le esigenze aziendali con la dignità e la riservatezza del lavoratore.

La disattivazione temporanea di una funzione del sistema informatico, come quella per tracciare gli accessi, costituisce un’aggravante del reato?
Sì. Secondo la sentenza, anche una modifica reversibile che rende una componente essenziale del sistema temporaneamente inidonea al suo funzionamento integra la circostanza aggravante prevista dall’art. 615-ter, comma 2, n. 3 del codice penale. Nel caso di specie, la disabilitazione ha impedito ad altri utenti l’utilizzo dell’applicativo, alterando la funzionalità del sistema.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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