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Accesso abusivo sistema informatico: quando è reato

Un funzionario di un’agenzia di sicurezza è stato accusato di accesso abusivo a sistema informatico per aver indotto un subordinato a consultare un database interno per finalità private. La Corte di Cassazione, pur confermando che la violazione di regole organizzative integra il reato, ha annullato la condanna dichiarando il reato estinto per prescrizione. La sentenza chiarisce che un sistema è ‘protetto’ anche solo da disposizioni interne che ne regolano l’uso.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Accesso Abusivo a Sistema Informatico: Anche Senza Password è Reato

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nell’era digitale: il reato di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.). Con la sentenza in commento, i Giudici hanno ribadito un principio fondamentale: un sistema informatico è considerato ‘protetto’ non solo da barriere tecniche come le password, ma anche da semplici regole organizzative che ne limitano l’uso. La vicenda, che ha coinvolto un alto funzionario di un’agenzia statale, si è conclusa con l’annullamento della condanna per prescrizione, ma offre spunti di riflessione di grande attualità.

I Fatti del Caso

Un dirigente di un’agenzia per la sicurezza nazionale è stato accusato di aver determinato un suo sottoposto, un maresciallo, a effettuare interrogazioni su un sistema informatico interno. Tali ricerche non erano motivate da ragioni di servizio, bensì da una richiesta di natura privata proveniente dalla moglie del dirigente. L’obiettivo era acquisire informazioni sui soci di una società, uno dei quali portava un cognome noto negli ambienti della criminalità organizzata. L’indagine era quindi mossa da interessi personali e non istituzionali.

Il Percorso Giudiziario

Sia in primo grado che in appello, il dirigente è stato ritenuto responsabile del delitto aggravato di accesso abusivo a un sistema informatico. I giudici di merito hanno stabilito che l’imputato avesse agito al di fuori delle proprie funzioni, sfruttando la sua posizione per scopi estranei ai compiti dell’Agenzia. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, articolando diverse censure. In particolare, ha sostenuto che il sistema informatico in questione non fosse ‘protetto’ ai sensi della legge, in quanto l’accesso non richiedeva specifiche credenziali, e che l’imputato avesse comunque agito nella convinzione di adempiere a un dovere istituzionale di protezione degli interessi nazionali.

Le Motivazioni della Cassazione: Quando l’accesso abusivo a sistema informatico è configurabile

La Corte di Cassazione, prima di dichiarare il reato estinto per prescrizione, ha esaminato nel merito il primo motivo di ricorso, ritenendolo infondato e cogliendo l’occasione per consolidare l’interpretazione dell’art. 615-ter c.p.
I Giudici hanno affermato che la ‘protezione’ di un sistema informatico non si esaurisce nella presenza di misure di sicurezza tecniche (come password o firewall). Rileva, invece, qualsiasi meccanismo di selezione dei soggetti abilitati all’accesso, incluse le misure di carattere meramente organizzativo. Nel caso specifico, il sistema era riservato esclusivamente al personale dell’Agenzia e doveva essere utilizzato unicamente per le finalità proprie dell’ente.

L’accesso, sebbene tecnicamente possibile per i dipendenti, era giuridicamente condizionato al perseguimento di scopi istituzionali. L’utilizzo del database per ragioni personali, quindi, ha violato le prescrizioni impartite dal titolare del sistema, integrando una forma di accesso ‘abusivo’. La Corte ha richiamato i principi espressi dalle Sezioni Unite, secondo cui commette il reato non solo chi viola le barriere tecniche, ma anche chi, pur essendo abilitato, opera in violazione delle condizioni e dei limiti oggettivi fissati dal titolare del sistema. Lo scopo soggettivo dell’agente è irrilevante ai fini della sussistenza del reato, che si perfeziona con la violazione delle regole di accesso.
Nonostante la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, la Corte ha dovuto prendere atto del decorso del termine di prescrizione. Essendo trascorsi più di sette anni e sei mesi dalla data del commesso reato senza una sentenza definitiva, i Giudici hanno annullato la sentenza di condanna senza rinvio, dichiarando l’estinzione del reato.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un’interpretazione estensiva e moderna del reato di accesso abusivo a sistema informatico. La protezione del ‘domicilio informatico’ non è legata solo alla tecnologia, ma anche alle regole e alle policy che ne disciplinano l’uso. Qualsiasi dipendente, pubblico o privato, che utilizzi gli strumenti informatici aziendali per scopi non autorizzati, viola la volontà del titolare e commette un reato, anche se possiede le credenziali per accedervi. Sebbene in questo caso l’imputato non sconterà una pena per intervenuta prescrizione, il principio di diritto affermato dalla Cassazione resta un monito chiaro sulla necessità di rispettare non solo le barriere digitali, ma anche le disposizioni organizzative che governano l’accesso ai dati.

Un sistema informatico senza password è considerato ‘protetto’ ai fini del reato di accesso abusivo?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la protezione di un sistema informatico non deriva solo da misure tecniche (come password o firewall), ma anche da misure di carattere organizzativo. Se esistono regole precise che limitano l’accesso a determinati soggetti e per specifiche finalità istituzionali, il sistema è da considerarsi protetto.

Chi è autorizzato ad accedere a un sistema commette reato se lo usa per scopi personali?
Sì. Commette il reato di accesso abusivo anche chi, pur essendo abilitato ad entrare nel sistema, lo utilizza per finalità diverse da quelle per cui l’autorizzazione gli è stata concessa. La violazione delle condizioni e dei limiti imposti dal titolare del sistema integra il reato.

Perché l’imputato non è stato condannato nonostante la Corte abbia ritenuto fondata l’accusa?
La Corte ha annullato la sentenza di condanna perché il reato è risultato estinto per prescrizione. Ciò significa che è trascorso il tempo massimo previsto dalla legge per poter perseguire e punire quel specifico reato. Sebbene la Corte abbia analizzato e confermato i principi giuridici dell’accusa, non ha potuto emettere una condanna a causa della prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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