Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1225 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1225 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MOSCATO NOME nato a OLIVETO CITRA il 27/06/1978
avverso la sentenza del 13/06/2022 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il P.G. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso del 31 marzo 2023, NOME COGNOME tramite i propri difensori e procuratori speciali, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso chiedendo l’annullamento, per errore di fatto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., della sentenza n. 37459 emessa dalla Corte di cassazione il 13 giugno 2022, depositata il 4 ottobre 2022, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno il 12 luglio 2021 a seguito della quale, in conformità alla sentenza di primo grado, il ricorrente è stato condannato per il delitto di cui all’art. 615-ter, comm primo e secondo, nn. 1) e 3), cod. pen.
2.11 ricorrente ha articolato un unico motivo con il quale ha dedotto l’errore di fatto consistito nella mancata percezione di argomenti decisivi enunciati nel ricorso per cassazione.
In particolare, l’errore sarebbe caduto su un dato fattuale relativo all’affermata natura abusiva dell’accesso al sistema informatico effettuato da COGNOME su richiesta dei coimputati COGNOME e COGNOMEtutti agenti in servizio presso il Commissariato di Battipaglia).
I giudici di merito, con motivazione ritenuta esente da censure dalla Corte di cassazione, avevano evidenziato la consapevolezza di COGNOME e COGNOME della mancanza di qualsiasi giustificazione per il predetto accesso alla banca dati.
La legittimità dell’accesso al sistema informatico, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, non era stata prospettata a Moscato neppure dal suo superiore NOME quando questi gli aveva chiesto di coadiuvare proprio COGNOME
In ricorso, tuttavia, era state evidenziate il vizio di motivazione in cui er incorsa la Corte di appello di Salerno che aveva omesso di considerare come proprio NOME avesse demandato a Moscato il controllo urgente del sistema informatico in relazione ad una probabile rapina.
La Corte di appello e la Corte di cassazione con la sentenza oggetto di impugnazione avrebbero, inoltre, omesso di considerare le dichiarazioni del teste COGNOME che aveva, anch’egli, fatto riferimento all’ordine rivolto da NOME COGNOME di coadiuvare COGNOME in relazione agli accertamenti su un’autovettura.
Il vizio della sentenza impugnata, quindi, riguarderebbe la mancata o errata valutazione di dati fattuali costituiti dalle dichiarazioni testimoniali non prese considerazione e alla luce delle quali l’accesso al sistema informatico avrebbe potuto essere ritenuto come avvenuto per ragioni di servizio.
Il difensore del ricorrente ha formulato tempestiva richiesta di discussione orale alla quale ha rinunciato con nota del 14 settembre 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
L’imputato è stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 615ter cod. pen. perché, in qualità di agente della Polizia di Stato, ha eseguito, in concorso con altri colleghi, l’accesso alla banca dati SDI allo scopo di acquisire informazioni in ordine al numero di targa di un’automobile richieste da un soggetto che temeva di essere sottoposto ad attività investigativa da parte delle forze dell’ordine.
Lo scopo (illecito) della verifica presso la banca dati era quello di accertare che l’automobile segnalata appartenesse a qualche forza di polizia.
La ricostruzione dell’intera vicenda fattuale (e, quindi, anche della condotta di COGNOME) è avvenuta, pressoché esclusivamente, attraverso intercettazioni, le dichiarazioni degli imputati e gli accessi allo SDI (pag. 27 della sentenza oggetto di impugnazione), mentre le dichiarazioni testimoniali hanno avuto un rilievo secondario.
La questione sollevata con il ricorso riguarda, sostanzialmente, l’omessa considerazione delle dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME (rispettivamente, superiore gerarchico e collega di COGNOME) che, nel complesso e secondo la tesi difensiva, avrebbero dimostrato come l’accesso alla banca dati da parte di COGNOME sia stato il frutto di un ordine proveniente dal superiore e che l’accertamento sia stato effettuato per ragioni di servizio.
Il ricorso per cassazione, secondo tale prospettazione, aveva evidenziato l’omessa considerazione dei dati informativi provenienti dalle due fonti dichiarative e la Corte ha trascurato tali dati avendo così mancato di esaminare elementi potenzialmente decisivi.
2.1. Va preliminarmente osservato che dalla prospettazione del ricorrente l’accesso allo SDI sarebbe avvenuto per ordine di COGNOME e COGNOME avrebbe assistito alla disposizione di servizio impartita dal superiore a Moscato.
Non si evince, tuttavia, tale circostanza dai passaggi delle dichiarazioni di NOME riportate in ricorso e asseritamente non valutate.
NOMECOGNOME secondo quanto trascritto, ha dichiarato di avere appreso da COGNOME che era opportuno effettuare degli approfondimenti relativamente alla targa di un veicolo che poteva essere coinvolto in una rapina.
In seguito alle verifiche, COGNOME (secondo passaggio trascritto delle
dichiarazioni di NOME aveva ulteriormente spiegato al superiore perché si era reso necessario l’accertamento sulla targa.
Non risulta, in nessun punto fra quelli trascritti, che NOME abbia dichiarato di avere ordinato l’accesso allo SDI.
A ben vedere, nemmeno COGNOME ha dichiarato che sia stato il superiore a ordinare la verifica, avendo il teste riferito che COGNOME ha ordinato a Moscato di andare a dare una mano a Caiazza in merito a una targa di autovettura.
I frammenti di dichiarazioni trascritti lasciano intendere che sia stato COGNOME a sollecitare NOME affinchè chiedesse a COGNOME di aiutarlo nella ricerca delle informazioni circa un targa di un veicolo probabilmente coinvolto in una rapina.
In effetti, dalla lettura della sentenza di secondo grado emerge che COGNOME ha richiamato dal servizio esterno COGNOME (che si trovava in servizio con COGNOME) dicendogli di dare una mano a COGNOME che doveva fare una verifica su una vettura e che non era autorizzato (al contrario di COGNOME) all’accesso allo SDI.
NOME quindi, possedeva informazioni solo generiche sulla verifica e sulle ragioni della stessa.
COGNOME, invece, al momento del controllo, ha spiegato a COGNOME per quale motivo doveva essere effettuato il controllo, ossia per favorire NOME COGNOME soggetto con il quale lo stesso COGNOME aveva rapporti, per come emerso nel corso del procedimento.
Pertanto, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, ciò che è stato riferito da COGNOME non ha rilievo decisivo, così come il narrato di COGNOME che h assistito alla disposizione di COGNOME nei confronti di COGNOME.
In particolare, con riguardo ad COGNOME (e alle deduzioni difensive all’epoca sollevate sul punto) la Corte di appello di Salerno, ha così motivato: «…vero è che l’isp. COGNOME (…) chiedeva al COGNOME di rientrare dal servizio esterno e coadiuvare il COGNOME nell’accertamento in questione; pur tuttavia, il complessivo quadro probatorio emerso non induce a condividere la valutazione del tribunale in ordine alla carenza di elemento soggettivo. Dalle stesse ammissioni degli imputati, si evince che, pur se convocato per l’accertamento dal suo superiore, nel momento in cui il COGNOME effettuava l’accesso, veniva portato a conoscenza dal COGNOME, dello scopo della verifica tanto che egli non effettuava una verifica per gradi (ossia prima l’accesso al Pra e poi gli altri) ma, in maniera diretta, all banca dati della Motorizzazione civile proprio al fine di verificare se si trattasse di auto delle forze dell’ordine; ed ancora, una volta che il COGNOME appurava, tramite la banca dati della motorizzazione, che si trattava di auto riconducibile ad un ente (e, dunque, una possibile auto sotto copertura), nulla riferiva, come avrebbe dovuto fare ove avesse agito genuinamente, al proprio superiore o al
collega di pattuglia, riscontrando così una sua consapevolezza circa l’abusività dell’accesso».
2.2. Con il ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza, era stato eccepito il travisamento per omissione delle dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME.
Sul punto la Corte non ha mancato di prendere in esame quanto segnalato in ricorso e ha evidenziato come i dati asseritamente non valutati, oltre a non essere essenziali ai fini della ricostruzione complessiva della responsabilità di COGNOME, non si sono rivelati idonei a rendere legittimo l’accesso alla banca dati; legittimità «che, peraltro, non veniva rappresentata al COGNOME nemmeno dal suo superiore NOMECOGNOME quando gli chiese di coadiuvare COGNOME».
Tale motivazione include, evidentemente, la valutazione sui due testi asseritamente omessi trattandosi di giudizio che involge direttamente COGNOME e, necessariamente, anche l’altro il quale avrebbe confermato (stando allo stralcio della trascrizione della dichiarazione riportata nel ricorso introduttivo) quanto riferito dal primo.
In sostanza, la valutazione su entrambe le prove delle quali è stato denunciato il travisamento per omissione è stata compiuta, contrariamente a quanto ritenuto in ricorso.
Né assume rilievo la mancata indicazione nominativa del teste COGNOME nella parte valutativa e motivazionale della sentenza atteso che la circostanza sulla quale questi ha reso la dichiarazione riportata in ricorso non differisce, sostanzialmente, da quella del teste COGNOME che è stata oggetto di espressa valutazione.
Deve, pertanto, essere ribadito, che «in tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, non dà luogo a errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. l’omesso scrutinio di specifiche deduzioni contenute in un motivo di ricorso per cassazione, qualora le stesse siano state implicitamente valutate e disattese dalla Corte (Sez. 5, n. 26271 del 26/05/2023, COGNOME, Rv. 284697; Sez. 1, n. 46981 del 06/11/2013, Toscano, Rv. 257346).
Secondo altro orientamento che deve espressamente essere ribadito, «in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’errore che può essere rilevat ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato» (Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, COGNOME, Rv. 259503).
Per quanto esposto e tenuto conto del complessivo quadro istruttorio valorizzato nella sentenza impugnata, deve ritenersi l’inidoneità delle prove di cui al ricorso ad assurgere al rango di decisività.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 22/09/2023