Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12653 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12653 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 21/02/1970
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE D’APPELLO di MILANO Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto dichiararsi
Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con la sentenza emessa il 26 settembre 2024 riformava, quanto alla pena, quella del Tribunale meneghino dell’11 luglio 2023 , confermando la responsabilità penale di NOME COGNOME.
In particolare COGNOME è stato ritenuto responsabile di plurime condotte di accesso abusivo aggravato al sistema Serpico e ad altre banche dati, quale maresciallo aiutante della Guardia di Finanza, accessi finalizzati a verificare la posizione anagrafica e fiscale, nonché ad estrarre le dichiarazioni dei redditi di NOME COGNOME per gli anni 2013-2015 (capo a – art. 615ter , commi 1, 2 e 3
cod. pen.), con conseguente rilevazione illegittima di tali informazioni alle società di investigazioni indicate nell’imputazione (capo b – art. 326 cod. pen.).
Analoghe contestazioni, ma a fronte di ben più significativi accessi alle banche dati, erano contestate ai capi c) e d): al primo capo d’imputazione viene descritta la condotta di accesso abusivo riguardante 629 soggetti, in relazione ai quali vi furono plurime acquisizione di informazioni nella banca dati Serpico, 7 soggetti per la banca SDI, 6 soggetti per la banca dati Schengen, 3 soggetti per la banca dati Hidra di Telecom /Tim; condotte tutte contestate a Palmisano in concorso con NOME COGNOME condannata ma non ricorrente, quest’ultima amministra trice della società di RAGIONE_SOCIALE Ad entrambi veniva contestata e ritenuta la responsabilità per il delitto di rivelazione di segreto ex art. 326 cod. pen. contestato al capo d).
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico articolato motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorso denuncia con unico motivo, vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., 111 Cost.
La Corte di appello avrebbe travisato la prova tratta dal documento rinvenuto nel computer della coimputata COGNOME: si tratta della annotazione di polizia giudiziaria prot. n. 182057, che risultava contenere informazioni confidenziali e della quale apparivano essere autori altri due appartenenti al corpo della Guardia di finanza, COGNOME e COGNOME.
Deduce la difesa che, rispetto a tale documento, la motivazione impugnata fa riferi mento ai foll. 211 e 227 all’ipotesi alternativa che vi fossero soggetti estranei al Corpo che avessero avuto accesso al computer in uso all’imputato, mentre invece la difesa sollecitava una valutazione del documento quanto all’ accesso abusivo da parte di due militari della Guardia di finanza, quindi soggetti non estranei.
Difettava un approfondimento da parte della Corte di appello sul punto, come anche da parte della autorità inquirente, pur essendo il documento nella disponibilità della stessa: la Corte di appello, in sostanza, avrebbe escluso erroneamente tale ‘pista’ alternativa dell’accesso abusivo da parte di altri militari , fondandosi solo sulla dichiarazione dello stesso imputato, che negava del tutto il coinvolgimento dei colleghi. In tal senso, osserva la difesa ricorrente, la Corte di appello ha omesso di valutare l’annotazione citata a favore dell’imputato , affidandosi a una opinione dello stesso COGNOME, mentre la teste COGNOME ebbe a
dichiarare che non fu mai accertato se il citato allegato n. 6 fosse effettivamente riconducibile ai due militari.
Lamenta il ricorrente anche un omesso confronto della sentenza impugnata con le deduzioni rivolte in appello quanto a due profili anonimi – denominati public e KINagSvc – utilizzati per accedere alle banche dati. Tali censure non sostenevano la possibilità che estranei al Corpo avessero avuto accesso al pc dell’imputato, bensì che lo stesso fosse stato utilizzato da altri militari con profili anonimi. Né la tesi dell’estraneo era stata propost a per il documento indicato Reisenger 003, che riportava la matricola di Palmisano. In sostanza la Corte di appello avrebbe travisato le tesi difensive, rispondendo sulla impossibilità che estranei potessero accedere abusivamente, non anche sul punto che l ‘accesso fosse stato operato da altri militari.
Altro profilo di censura attiene alla circostanza che sarebbe contraddittoria la sentenza nella parte in cui, dopo aver ritenuto certo l’accesso alle banche dati da parte di COGNOME, introduca il tema della sufficienza del dolo eventuale per il caso in c ui l’inserimento della password da parte di COGNOME, in un file word sul proprio computer, consentiva l’accesso ad altri componenti del Corpo con la password dell’imputato : ciò aveva la conseguenza che l’imputato avrebbe assunto il rischio dell’util izzazione abusiva delle proprie credenziali da parte di terzi militari.
La Corte di appello si sarebbe però contraddetta: la motivazione sul dolo eventuale metterebbe in crisi le argomentazioni della Corte di appello in ordine alla certezza che sia stato Palmisano e non altri ad effettuare gli accessi abusivi.
Lamenta COGNOME anche il ricorso alle massime di esperienza da parte della Corte territoriale, rilevando come non fosse scontato che al passaggio di qualifica seguisse anche l’aggiornamento del profi lo informatico. Ciò rilevava, in quanto il mancato aggiornamento della progressione in carriera del profilo di COGNOME risultava sul file Reisinger del luglio 2017, ove non risultava la qualifica acquisita dall’imputato a quella data, ma quella precedente che l’imputato aveva ricevuto, per quanto dallo stesso dichiarato, fin dal 2012.
Anche sul tema della attendibilità dei risultati dei tabulati telefonici per l’individuazione dell’ubicazione delle utenze del Palmisano e della Loi , la Corte di appello trascurava che Palmisano vivesse comunque la propria vita familiare nella stessa zona in cui sussistevano le celle agganciate e richiamate dalla Corte di appello. Anche viene dal ricorrente criticato l’uso di massime di esperienza per la messaggistica istantanea tramite KIK, non conducente a indizi a carico dell’imputato, in quanto si trattava di una applicazione in uso fra i finanzieri di pattuglia, a fronte dei crash di whats app , tanto più che l’applicazione Kik non f u rinvenuta su alcun device della Loi.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni che seguono.
Va premesso che la doglianza di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli art. 192 e 546 cod. proc. pen. non è consentita.
Infatti, la deduzione del vizio di violazione di legge in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’art. 192 c od. proc. pen . ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non essendo l’inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale ( ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c od.proc.pen., posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, rigu arda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità ( ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404).
Tanto premesso, residua la doglianza quanto al vizio di motivazione.
Va premesso che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di
motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105 -01; conf.: N. 12329 del 2010 Rv. 247229 – 01, N. 9539 del 1999 Rv. 215132 – 01, N. 39678 del 2018 Rv. 273816 -01).
Venendo alle doglianze proposte dal ricorrente, quella di travisamento della annotazione di polizia giudiziaria è del tutto aspecifica, in quanto prende in considerazione solo parte della motivazione. Infatti, in altra parte della sentenza la Corte di appello si confronta con la possibilità che altri militari -dunque non solo estranei al Corpo – abbiano utilizzato la postazione di Palmisano, usandone a sua insaputa le credenziali.
Va ricordato che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, COGNOME, Rv. 253849), difettando di una critica puntuale al provvedimento, che confuti in fatto e/o in diritto le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521).
Tornando alla ipotesi che altri militari, e non Palmisano, avrebbero effettuato gli accessi abusivi, si legge a fol. 208 della sentenza che l’esistenza di un uso diffuso della postazione di Palmisano consentiva certamente l’accesso a ogni militare, ma per l’accesso alle singole banche dati – dalle quali furono tratti i dati oggetto dell’imputazione era necessario l’ inserimento di ulteriori password personali (oltre quelle per l’accesso al computer) , da aggiornare periodicamente e corredate da peculiare complessità, il che escludeva la tesi difensiva.
A questo punto, la sentenza impugnata chiarisce anche che poteva avvenire l’inverso, cioè che COGNOME avesse utilizzato un profilo attivato da un collega militare – poi non richiuso così inserendo le sue credenziali per l’accesso alle singole banche dati, ovvero si fosse avvalso dei profili Public e KINagSvc dei quali è rimasto ignoto il titolare, per effettuare le proprie ricerche.
A ben vedere la prima argomentazione è da ritenersi non manifestamente illogica – a fronte della quantità di accessi alle banche dati avvenuti con il profilo di Palmisano e con le sue password, nonchè delle ulteriori emergenze probatorie delle quali si leggerà -per spiegare la circostanza che il documento informatico
contrassegnato come WRA0004, come riferito dal consulente della COGNOME, risultava rinvenuto in altro profilo all’interno del computer di Palmisano, appartenente a soggetto recante altra numero di matricola (Q135614) (fol. 208-209).
D’altro canto , al fol. 210 la sentenza della Corte di appello torna sul tema di censura che il ricorso ritiene erroneamente eluso, affermando esplicitamente che «non può ritenersi fondata la tesi proposta dalla difesa, secondo cui sarebbero stati i colleghi dell’imputato ad accedere alle banche dati tramite le credenziali personali dell’imputato tram ite i propri profili, poiché espressa tramite mere deduzioni generiche e prive di riscontri probatori negli atti di indagine». Dunque, il tema del quale si duole nuovamente il ricorso è stato ritenuto oggetto di un motivo di appello generico: sul punto il ricorso non si confronta, non controdeducendo sulla genericità del motivo di appello.
Ad ogni buon conto la Corte di appello, in aggiunta alla valutazione di genericità della doglianza di appello, chiarisce che è stato lo stesso imputato a escludere del tutto il coinvolgimento dei colleghi, anche in relazione ai documenti trovati nel computer della Loi recanti le matricole dei militari COGNOME e COGNOME (il cd. allegato 6). A dire il vero è lo stesso atto di appello (fol. 7) che in ordine al documento citato annota: « … è evidente, quindi, che si trattasse di un foglio sovrascritto nel 2020 da parte di qualcuno che potrebbe avere utilizzato le credenziali di COGNOME e COGNOME, anche perché il COGNOME è emerso, nel 2013, non era nemmeno arruolato». Ecco la ragione per la quale la sentenza impugnata si preoccupa (fol. 211 e 227) anche di dare conto della esclusione dell’ipotesi che estranei al corpo militare potessero aver avuto accesso al computer di Palmisano. Nessun travisamento, quindi, ma un onere di valutazione e argomentazione adempiuto in modo completo e senza manifeste illogicità dalla Corte territoriale.
Quanto al peso attribuito alla dichiarazione dell’imputato, che escludeva la colpevolezza dei colleghi – premessa la genericità della doglianza di appello -va evidenziato come la dedotta responsabilità di altri militari risulta del tutto astratta e implausibile, nella prospettiva della sentenza impugnata, a fronte della pluralità degli elementi indiziari gravi analizzati dalle sentenze di merito in doppia conforme . Cosicché, l’aver richiamato la dichiarazione dell’imputato che scagiona i colleghi si accompagna a una rigorosa ulteriore verifica degli indizi indicati dal primo giudice, giungendo alla conclusione che fosse COGNOME e non altri, né interni al Corpo né esterni, ad accedere alle banche dati e a trasferire le informazioni.
In sostanza, la Corte di appello ha ritenuto che la gravità degli indizi rendesse non plausibile, perché astratta, la tesi alternativa del l’utilizzo del computer a fini illeciti da parte di altri militari o di terzi estranei.
Il che è in sintonia con il principio per cui la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura , ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana ( ex multis , Sez. 2, n. 2548/15 del 19 dicembre 2014, Pg in proc. Segura, Rv. 262280).
D’altro canto, la sentenza impugnata attrib uisce rilievo ai messaggi inviati tramite l’applicazione di messaggistica KIK, esistente sul telefono di servizio dell’imputato applicazione per messaggistica veloce che non consente di ricollegare il messaggio al numero dell’utente , che così resta anonimo, quindi con particolare livello di riservatezza.
I messaggi Kik rinvenuti fra i sedicenti NOME COGNOME (da identificarsi in Palmisano, nella impostazione fatta propria dalle sentenze di merito) e NOME COGNOME (da identificarsi in Loi) risultano essere stati recuperati attraverso il programma di analisi forense Intella , in quanto in precedenza cancellati.
Il contenuto dei messaggi recuperati sull’utenza di Palmisano risultava coerente e attendibile, secondo la Corte di appello, riferiva proprio delle richieste di informazioni a mezzo ricerche in banca dati, il tutto confermato -ai fini della identificazione dei conversanti -da alcune individualizzanti informazioni tratte dalla stessa messaggistica, come il riferimento da parte della COGNOME alla società di investigazione RAGIONE_SOCIALE -che era, appunto, gestita da RAGIONE_SOCIALE -e al cambio di sede sociale in atto, circostanza anche riscontrata dalle indagini.
Altro riscontro per l’identificazione dei conversanti avveniva attraverso i tabulati telefonici, che attestavano che i due interlocutori si trovavano, all’ora degli appuntamenti datisi, negli stessi luoghi, volta per volta attivando medesime celle o celle vicine (cfr. fol. 201 in occasione di almeno tre incontri).
In sostanza, lo spostamento del telefono personale di COGNOME e di Palmisano palesava per la Corte di appello, senza manifeste illogicità, come proprio costoro, e non altri, fossero gli interlocutori delle chat KIK, che a mezzo messaggi, poi cancellati, si comunicavano le richieste di informazioni riservate, da parte di COGNOME, e l’avvenuta acquisizione delle stesse , da parte di Palmisano.
Anche in relazione all’applicazione Kik e all e doglianze del ricorrente, le stesse sono del tutto aspecifiche in quanto non si confrontano con tale motivazione. Comunque, non ne è dedotta la decisività, a fronte della pluralità di dati probatori anche individualizzanti. Difatti gli accessi avvenivano utilizzando il profilo recante la matricola dell’imputato; è stato verificato che l’imputato era in ufficio in occasione degli accessi di cui al capo a), che di Kik non è stata trovata traccia
presso Loi in quanto la stessa aveva sul proprio computer un programma di ‘ pulizia informatica’ che non consentiva il recupero avvenuto invece sul telefono di Palmisano; inoltre, il numero di telefono della Kronos era nella rubrica del telefono di servizio dell’imputato , pur non essendo mai stato utilizzato, a riprova della circostanza che i due comunicavano tramite Kik; infine, come si è già evidenziato, la Corte di appello riscontrava anche che le conversazioni riguardavano il trasferimento della Kronos, in tempi e modi corrispondenti a quelli reali.
Va ricordato che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” (salvo il caso della inedita -e non dedotta nel caso in esame valorizzazione nel giudizio d’appello di prove non considerate dal giudice di primo grado) e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (se non nei limiti del sindacato della motivazione posta a sostegno della stessa)(Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
La forza disarticolante richiesta non è dedotta né risulta sussistere, a fronte degli elementi plurimi comprovanti la responsabilità dell’imputato in doppia conforme, cosicché la deduzione del vizio da travisamento in relazione a singoli indizi appare del tutto inconferente.
Il ricorso a massime di esperienze viene censurato. Va richiamato quanto affermato da Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281385 -01, che evidenzia come, in materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'”id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità (conf. N. 16532 del 2007 Rv. 237145 – 01, N. 31706 del 2003 Rv. 228401 – 01, N. 18118 del 2014 Rv. 261992 -01).
Deve evidenziarsi come le valutazioni che riguardano l’attendibilità dei tabulati telefonici per l’individuazione dell’ubicazion e delle utenze del Palmisano e della Loi risultano ben argomentate dalla Corte di appello, in relazione a dati di certa esperienza, quali la densità abitativa e il ristretto ambito territoriale, come anche la correlata pluralità di celle concentrate in tale contesto. Per altro verso, la doglianza si fonda su un dedotto travisamento per omissione in relazione alla
circostanza che Palmisano vivesse comunque la propria vita familiare nella medesima zona in cui sussistevano le celle agganciate e richiamate dalla Corte di appello. A ben vedere, però, il dato che la vita familiare si svolgesse nella medesima zona viene affrontato dalla Corte di appello al fol. 202 della sentenza e valutato senza alcuna manifesta illogicità. La Corte territoriale esclude che il dato del tabulato sia equivoco, rilevando la distanza esistente fra l’abitazione e il luogo dell’appuntamento fra Palmisano e Loi: in sostanza Palmisano non poteva attivare le celle dalla propria abitazione, né le stesse furono attivate per aver accompagnato il figlio a scuola, in quanto, osserva la sentenza impugnata, l’istituto scolastico aveva cessato le attività per gli studenti nel mese di luglio. Con tali argomenti non si confronta affatto la doglianza, che dunque resta aspecifica.
Anche la censura in ordine alla massima di esperienza spesa dalla Corte di appello in ordine all’utilizzo di Kik risulta non decisiva. La doglianza relativa alle ragioni addotte dall’imputato per l’utilizzo di Kik – ragioni di servizio per comunicare con i colleghi non utilizzando whats app , che era sottoposta a frequenti crash -viene ritenuta non logica dalla Corte di appello, in quanto le interruzioni del servizio del più diffuso sistema di messaggistica risultano rare e limitate nel tempo. Si tratta di un dato esperienziale richiamato dalla Corte di appello certamente non congetturale.
La Corte di appello, poi, afferma che comunque le modalità di comunicazioni fra i colleghi potevano avvenire attraverso messaggi di posta elettronica o a mezzo di altre più diffuse applicazioni. A riguardo, se certamente la messaggistica a mezzo posta elettronica non è un mezzo celere, il riferimento ad altre applicazioni più diffuse non è manifestamente illogico, il che conduce a ritenere non decisiva la censura.
Quanto alla circostanza che l’applicazione Kik non fu rinvenuta nei device della Loi, la risposta viene offerta dalla Corte di appello, facendo riferimento al l’esistenza del citato programma informatico che l’imputata aveva nel proprio computer per la pulizia dei dati e delle applicazioni. Con tale argomento non si confronta il ricorrente, tanto più che anche in assenza del rinvenimento dell’applicazione altri sono i dati che identificano COGNOME in NOME COGNOME.
Per altro, è indubbio che Kik garantiva la natura riservata delle conversazioni e la non attribuibilità ad una utenza individuabile e, dunque, era funzionale all’attività illecita oggetto dell’imputazione.
Altro ambito di applicazione di una massima di esperienza è quello che riguarda il mancato aggiornamento della progressione in carriera del profilo di Palmisano, utilizzato per estrarre il file Reisinger del luglio 2017. Tale profilo dell’imputato, infatti, non corrispondeva alla qualifica acquisita da Palmisano a
quella data, anche alla luce dell e dichiarazioni dell’imputato che riferiva di aver ricevuto il passaggio di qualifica nel 2012.
Or bene, al di là della massima di esperienza, che non appare rispondente a una esperienza generalizzata, non essendo certo esperienza diffusa che dopo cinque anni ancora il profilo informatico non rechi la nuova qualifica -così argomenta la Corte di appello -la difesa non si confronta con la seconda decisiva argomentazione. La sentenza evidenzia come non vi sia prova che anche solo per il passaggio di qualifica da maresciallo capo a maresciallo aiutante dovesse esservi comunque un aggiornamento della posizione informatica. Si tratta di un argomento che il ricorso tralascia del tutto e che rende non decisivo, per il resto, la doglianza.
In sostanza, a fronte di due argomenti, sul punto, il ricorso ne attacca uno solo, il che rende aspecifica la doglianza perché si limita alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti, in quanto da una pronuncia favorevole su di esse non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l’interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 264267; Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448)
Anche non specifica è la censura quanto alla circostanza che sarebbe contraddittoria la sentenza nella parte in cui, dopo aver ritenuto certo l’accesso alle banche dati da parte di Palmisano, introduca il tema della sussistenza del dolo eventuale, per il caso in cui l’inserimento della password da parte di COGNOME in un file word nel computer consentiva l’accesso ad altri componenti del Corpo con la password dell’imputato, con la conseguenza che l’imputato avrebbe assunto il rischio dell’utilizzazione abusiva delle proprie credenziali da parte di terzi militari.
La Corte di appello si sarebbe dunque contraddetta, questa la tesi del ricorrente, e la motivazione sul dolo eventuale metterebbe in crisi le argomentazioni della sentenza in ordine alla certezza che sia stato Palmisano e non altri ad effettuare gli accessi abusivi.
A ben vedere il richiamo al dolo eventuale offre una motivazione in via subordinata, nel senso che la Corte di appello, dopo aver confermato quella di primo grado che ha ritenuto COGNOME l’autore degli accessi, a sostegno della non decisività delle argomentazioni difensive, evidenzia come, anche a voler accogliere la tesi sostenuta dalla difesa, comunque sarebbe comprovato il dolo eventuale.
Se il vizio logico è inteso come quello «che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 cod. proc. pen., ovvero alla invalidità (o
scorrettezza) dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME Rv. 255141 -01, in motivazione), nel caso in esame non si verifica alcuna di tali ipotesi di illogicità manifesta o contraddittorietà logica, in quanto la scansione logica chiarisce che il tema del dolo eventuale subentra in seconda battuta e non è, quindi, in contraddizione con la motivazione primaria, offerta dalla Corte di appello e, prima, dal Tribunale.
Quanto alle ulteriori doglianze il ricorso è versato in fatto e propone alternative, e non consentite, ricostruzioni in sede di legittimità. Pertanto, in ordine a tali profili di censura, il ricorso contesta la correttezza della motivazione, posta a base della dichiarazione di responsabilità, denunciando la illogicità della motivazione sulla base della diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova, non consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
La Corte di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato.
4 . Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/03/2025