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Accesso abusivo sistema informatico: il caso in Cassazione

Un sottufficiale di un corpo di polizia economico-finanziaria è stato condannato per ripetuti episodi di accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreti d’ufficio. Avrebbe utilizzato le proprie credenziali per estrarre dati fiscali sensibili per conto di una società di investigazioni private. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando le sentenze dei gradi inferiori. La Corte ha ritenuto che le argomentazioni del ricorrente fossero tentativi generici di rivalutare i fatti e che le prove indiziarie (dati telefonici, chat crittografate, complessità delle credenziali di accesso) fossero sufficienti a dimostrare la sua colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, respingendo le teorie alternative sul coinvolgimento di suoi colleghi.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Accesso abusivo a sistema informatico: la Cassazione conferma la condanna

Introduzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio, commesso da un membro di un corpo di polizia economico-finanziaria. La decisione è di particolare interesse perché chiarisce i criteri di valutazione della prova indiziaria e i limiti del sindacato di legittimità, confermando come un quadro probatorio solido, seppur basato su indizi, possa condurre a una condanna definitiva. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni della Corte.

I fatti del caso: L’accesso abusivo a sistema informatico

Un sottufficiale è stato accusato di aver effettuato numerosi accessi illeciti a banche dati riservate, tra cui il sistema di anagrafe tributaria. L’obiettivo era quello di acquisire informazioni anagrafiche, fiscali e dichiarazioni dei redditi di centinaia di soggetti. Secondo l’accusa, queste informazioni venivano poi illecitamente rivelate a una società di investigazioni private, gestita da una co-imputata.

La condotta, contestata ai sensi degli artt. 615-ter (accesso abusivo a un sistema informatico o telematico) e 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio) del codice penale, è stata ritenuta provata sia in primo che in secondo grado. La Corte d’Appello, in particolare, aveva confermato la responsabilità penale, riformando solo parzialmente la pena. L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge.

Le doglianze del ricorrente in Cassazione

Il ricorso si basava su diversi punti critici, volti a scardinare la ricostruzione accusatoria e la logicità della sentenza d’appello.

La pista alternativa dei colleghi

La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente ignorato una pista alternativa. In particolare, si faceva riferimento a un documento informatico che suggeriva il possibile coinvolgimento di altri due militari. Secondo il ricorrente, i giudici avrebbero travisato la sua tesi, concentrandosi sulla possibilità che soggetti estranei al corpo avessero usato il suo computer, mentre la difesa indicava che l’accesso poteva essere stato compiuto da altri militari.

L’uso della messaggistica e dei dati telefonici

Il ricorrente criticava l’attendibilità attribuita ai tabulati telefonici e all’uso di un’applicazione di messaggistica istantanea poco diffusa, usata per comunicare con la co-imputata. La difesa sosteneva che la sua presenza nelle zone coperte dalle celle telefoniche fosse giustificata da normali esigenze di vita familiare e che l’uso dell’app fosse dovuto a ragioni di servizio, a fronte di malfunzionamenti di altre piattaforme più comuni. Si lamentava, inoltre, l’uso di massime di esperienza ritenute errate da parte dei giudici.

Le motivazioni della Suprema Corte sull’accesso abusivo a sistema informatico

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le doglianze generiche e, in parte, volte a ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti.

La valutazione delle prove e l’inammissibilità del ricorso

La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare il merito delle prove, ma di verificare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata. I giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva ampiamente considerato e logicamente escluso la tesi del coinvolgimento di altri militari. L’ipotesi difensiva è stata giudicata astratta e implausibile di fronte a un quadro indiziario grave, preciso e concordante, che includeva:
– La grande quantità di accessi effettuati con il profilo e le password personali del ricorrente.
– La necessità di password complesse e periodicamente aggiornate per ogni singola banca dati, rendendo improbabile un uso occasionale e fraudolento da parte di terzi.
– Le conversazioni tramite l’app di messaggistica crittografata, il cui contenuto era coerente con le richieste di informazioni.
– La co-localizzazione dei telefoni del ricorrente e della co-imputata, riscontrata in occasione di diversi incontri.

La logicità delle massime di esperienza

La Cassazione ha ritenuto che il ricorso alle massime di esperienza da parte della Corte d’Appello non fosse viziato. Ad esempio, la valutazione sulla rarità di un’app di messaggistica o sulla limitata frequenza di ‘crash’ di sistemi più diffusi non è stata considerata una mera congettura, ma un dato esperienziale plausibile. Allo stesso modo, le conclusioni tratte dai tabulati telefonici sono state ritenute ben argomentate, tenendo conto della densità abitativa e della disposizione delle celle nella zona.

Il dolo eventuale come argomento subordinato

Un punto interessante toccato dalla difesa era la presunta contraddizione della sentenza d’appello, che, dopo aver affermato con certezza la colpevolezza dell’imputato, aveva introdotto il concetto di dolo eventuale. La Cassazione ha chiarito che non vi era alcuna contraddizione: la Corte d’Appello aveva usato l’argomento del dolo eventuale solo in via subordinata e ipotetica, per dimostrare che, anche accogliendo la tesi difensiva (cioè che l’imputato avesse lasciato incautamente le proprie password accessibili ad altri), la sua responsabilità penale sarebbe comunque sussistita per aver accettato il rischio dell’uso illecito delle sue credenziali. La motivazione principale, tuttavia, restava quella della sua partecipazione diretta e volontaria ai fatti.

Le conclusioni: la conferma della responsabilità

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: in presenza di una ‘doppia conforme’, ovvero due sentenze di merito che giungono alla stessa conclusione, gli spazi per contestare la ricostruzione dei fatti in Cassazione sono estremamente ridotti. Il ricorso è ammissibile solo se si denunciano vizi logici manifesti o errori di diritto, non se si propone una lettura alternativa delle prove già vagliate. In questo caso, il solido impianto indiziario costruito dall’accusa ha retto al vaglio di tutti i gradi di giudizio, portando alla condanna definitiva per l’accesso abusivo a sistema informatico.

È sufficiente un insieme di prove indiziarie per condannare per accesso abusivo a sistema informatico?
Sì, la sentenza conferma che un quadro di prove indiziarie, qualora gravi, precise e concordanti, è sufficiente a fondare una pronuncia di condanna. Nel caso di specie, elementi come tabulati telefonici, messaggi recuperati, e la natura degli accessi hanno costituito un compendio probatorio ritenuto adeguato a superare ogni ragionevole dubbio.

Un ricorso in Cassazione può contestare la valutazione delle prove fatta nei gradi di merito?
No, il ricorso per Cassazione non può avere ad oggetto una nuova valutazione delle prove. La Corte di Cassazione ha il compito di verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non di sostituire il proprio giudizio sui fatti a quello dei giudici di merito, specialmente in presenza di una doppia decisione conforme.

Come valuta la Corte la tesi difensiva secondo cui altri colleghi potrebbero aver usato le credenziali dell’imputato?
La Corte ha ritenuto tale tesi del tutto astratta e implausibile. La motivazione evidenzia che l’accesso alle singole banche dati richiedeva l’inserimento di password personali complesse e da aggiornare periodicamente, il che rendeva improbabile un uso fraudolento da parte di terzi. Questa tesi è stata considerata generica e priva di riscontri probatori, a fronte della pluralità di indizi gravi a carico dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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