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Accesso abusivo sistema informatico: il caso Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per istigazione alla corruzione e accesso abusivo sistema informatico. Il caso riguarda un complice di un incaricato di pubblico servizio che aveva proposto a studenti universitari le risposte dei test d’ingresso in cambio di denaro, ottenute accedendo illecitamente al sistema informatico dell’ateneo. La Corte ribadisce che l’accesso, anche se tecnicamente autorizzato, costituisce reato se effettuato per scopi estranei alle proprie funzioni.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Accesso abusivo sistema informatico: quando la finalità rende illecita l’azione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34030 del 2024, offre importanti chiarimenti sul reato di accesso abusivo sistema informatico (art. 615-ter c.p.), specialmente quando commesso da soggetti teoricamente autorizzati. Il caso esaminato riguarda un piano per vendere le risposte dei test di ammissione universitari, un episodio che mette in luce come la finalità dell’accesso sia determinante per stabilirne l’illiceità. Approfondiamo la vicenda e le conclusioni dei giudici supremi.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria vede protagonista un soggetto condannato in primo grado e in appello per concorso in istigazione alla corruzione e accesso abusivo a sistema informatico. Insieme a un complice, un incaricato di pubblico servizio presso un’università, aveva ideato un piano: offrire ad alcuni studenti, candidati ai test d’ingresso per un corso di laurea magistrale, le risposte esatte in cambio di 100 euro a persona.

Per attuare il loro proposito, i due si sarebbero procurati illecitamente e in anticipo le domande e le risposte dei test, accedendo abusivamente al sistema informatico dell’ateneo o, in alternativa, aprendo le buste sigillate che le contenevano. L’accesso al sistema era finalizzato anche a reperire i nominativi degli studenti da contattare per la proposta illecita.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:

1. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: Secondo la difesa, la condanna per accesso abusivo si fondava su una condotta diversa da quella contestata. L’accusa parlava di accesso per “aprire le buste” virtuali con i test, mentre la condanna si sarebbe basata sull’estrapolazione dei dati anagrafici degli studenti. Si sosteneva che questa discrepanza avesse leso il diritto di difesa.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti: L’imputato lamentava il diniego delle circostanze attenuanti previste dall’art. 323 bis c.p., sostenendo che il piano criminale fosse stato “estemporaneo” e “progettato da due sprovveduti”, fallendo sul nascere. A suo dire, inoltre, avrebbe tenuto un comportamento collaborativo.

Le Motivazioni della Corte: l’Accesso Abusivo al Sistema Informatico

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni nette.

Sul primo punto, i giudici hanno chiarito che non vi è stata alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Tale principio è leso solo quando si verifica una trasformazione radicale dei fatti, tale da creare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione e pregiudicare concretamente la difesa. Nel caso di specie, il nucleo dell’accusa è sempre stato l’indebita messa a disposizione delle domande del test. L’acquisizione dei nomi dei candidati era un passaggio funzionale a questo scopo, perfettamente noto all’imputato, che ha avuto modo di difendersi su tutti gli aspetti della vicenda processuale.

La Corte ha poi ribadito un principio fondamentale, già sancito dalle Sezioni Unite (sentenza Savarese n. 41210/2017): commette il reato di accesso abusivo sistema informatico anche il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, pur essendo abilitato, accede al sistema per ragioni “ontologicamente estranee” a quelle per cui gli è stata conferita la facoltà di accesso. Si tratta di un’ipotesi di “sviamento di potere”. Accedere al sistema universitario per reperire i nomi dei candidati a cui vendere le risposte è, senza dubbio, una finalità del tutto esterna e illecita rispetto ai compiti d’ufficio.

Le Conclusioni

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte d’appello aveva correttamente motivato il diniego delle attenuanti, evidenziando la gravità dei fatti e l’esistenza di un piano criminoso articolato, non di un’azione estemporanea. La collaborazione dell’imputato è stata inoltre ritenuta limitata, poiché si era limitato ad ammettere solo ciò che era già stato provato e non poteva più negare.

In conclusione, la sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato: nel reato di accesso abusivo sistema informatico, non conta solo la legittimità formale delle credenziali di accesso, ma soprattutto lo scopo per cui l’accesso viene effettuato. Qualsiasi utilizzo del sistema per finalità estranee ai doveri d’ufficio, soprattutto se illecite, integra il reato, proteggendo non solo la riservatezza dei dati ma anche il corretto funzionamento della pubblica amministrazione.

Quando un dipendente autorizzato commette il reato di accesso abusivo a un sistema informatico?
Commette il reato quando, pur essendo abilitato ad accedere al sistema, lo fa per ragioni ontologicamente estranee a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è stata attribuita, realizzando così uno sviamento di potere per fini personali o illeciti.

In cosa consiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza?
Si ha una violazione di tale principio quando avviene una trasformazione radicale degli elementi essenziali del fatto contestato, tale da creare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione e causare un reale pregiudizio ai diritti della difesa dell’imputato.

Perché nel caso di specie sono state negate le circostanze attenuanti?
Le circostanze attenuanti sono state negate a causa della gravità dei fatti, dell’esistenza di un piano criminoso articolato e predeterminato (non un’azione estemporanea), e perché la collaborazione dell’imputato è stata giudicata limitata, essendosi ridotta ad ammettere solo ciò che era palesemente innegabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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