Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22017 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22017 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TERNI il 14/08/1968
avverso la sentenza del 11/03/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
ascoltate le conclusioni del PG NOME COGNOME che, riportandosi alla requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette la memoria e le conclusioni scritte depositate dal difensore della parte civile e ascolt richieste formulate dallo stesso; sentito il difensore dell’imputato.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME avv. NOME COGNOME ricorre per cassazione avvers sentenza con la quale, a seguito di appello del pubblico ministero, la Corte d’appello di Perug in riforma della pronuncia assolutoria del Tribunale di Terni, ha affermato la pe responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen. perch pubblico ufficiale in servizio presso la sezione di Polizia giudiziaria della Procura di T introduceva abusivamente nel sistema infomatico per monitorare un procedimento iscritto a carico di ignoti che riguardava un dirigente dell’ufficio e, concesse le circostanze atten generiche equivalenti alle aggravanti contestate, lo ha condannato alla pena di mese sei d reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
La difesa con un unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. cod. proc. pen. per erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 5 e 615-ter co pen., lamenta che la corte territoriale ha assunto la decisione in verifica condividendo sopravvenuto orientamento giurisprudenziale in malam partem» che si era formato in epoca successiva a quella in cui i fatti oggetto dell’imputazione erano stati commessi, abbandonando la precedente linea esegetica sulla quale l’imputato aveva fatto affidamento.
In breve, la difesa sostiene che la statuizione di condanna assunta dalla corte territori destinata all’annullamento, poiché fondata sul principio di diritto enunciat Sez. U, 41210 del 18/05/2017, COGNOME – secondo cui «integra il delitto previsto dall’art. 61 ter, secondo comma, n. 1, cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di u pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impar dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acce si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali facoltà di accesso gli è attribuita» -, là dove fino all’epoca dei fatti, risalenti al mese d 2016, il diverso indirizzo esegetico, espresso da Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012 COGNOME, Rv. 251269, non attribuiva alcuna rilevanza agli scopi e alle finalità per le qu soggetto abilitato accede o si mantiene nel sistema informativo.
Di qui, l’assoluta imprevedibilità del mutamento di indirizzo giurisprudenziale al momento cui si verificava l’episodio contestato.
Il difensore di parte civile ha chiesto il rigetto del ricorso evidenziando, per un verso principio di diritto affermato da Sez. U COGNOME non era imprevedibile al momento del fatto, quanto espressione di «analitiche e specifiche esplicazioni della norma» e, per altro verso, c in ogni caso, l’interpretazione di una norma non può assumere il valore di scriminante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo di ricorso è infondato.
In tema di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251269 – ponendo fine al contrasto
giurisprudenziale che si registrava in punto di qualificazione giuridica della condotta di ac abusivo a un sistema informatico o telematico, ha affermato che «integra il delitto prev dall’art. 615 ter cod. pen. colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sis informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal compless prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’acce rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le fin abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema».
Invero, sul tema, si agitavano due orientamenti. Un primo orientamento riteneva che l’art. 615-ter cod. pen. sanziona non solo l’introduzio abusiva di un soggetto non abilitato in un sistema informatico protetto, ma anche il permaner al suo interno contro la volontà espressa o tacita di chi abbia il diritto di escluderlo, d anche l’accesso del soggetto abilitato, di per sé legittimo, diviene abusivo, e perciò illeci il suo protrarsi all’interno del sistema per fini e ragioni estranee a quelle d’istituto n. 37322 del 08/07/2008, COGNOME, Rv. 241202 – 01 e da Sez. 5, n. 39620 del 22/09/2010, Lesce, Rv. 248653).
Un secondo orientamento, diversamente, riteneva che illecito è il solo accesso abusivo, e cioè quello effettuato da soggetto non abilitato, mentre è sempre e comunque lecito l’access del soggetto abilitato, ancorché effettuato per finalità estranee a quelle d’ufficio e, p illecite (Sez. 5, n. 2534 del 20/12/2007, COGNOME, Rv. 239105 ; Sez. 5, n. 26797 29/05/2008, COGNOME, Rv. 240497; Sez. 6, n. 3290 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 242684; Sez. 5, n. 40078 del 25/06/2009, COGNOME, Rv. 244749).
Nonostante l’intervento del Supremo consesso, di lì a poco, nuovamente si registrava un contrasto nella giurisprudenza di legittimità tra pronunce che, pur aderendo al principi diritto affermato da Sez. U COGNOME, fornivano risposte antitetiche.
In particolare, con la decisione n. 22024 del 24/04/2013, Carnevale, Rv. 255387, la Quinta sezione affermava che «integra il reato di accesso abusivo al sistema informatico la condott del pubblico dipendente, impiegato della Agenzia delle entrate, che effettui interrogazioni sistema centrale dell’anagrafe tributaria sulla posizione di contribuenti non rientran ragione del loro domicilio fiscale, nella competenza del proprio ufficio», evidenziando che, caso in cui l’agente sia un pubblico dipendente non può non trovare applicazione il principio cui alla L. 7 agosto 1990 n. 241, art. 1, in quanto al mancato rispetto dei principi posti a dell’attività amministrativa, dei fini determinati dalla legge e dei criteri che regolano procedimenti, consegue l’«ontologica incompatibilità» di un utilizzo del sistema informatico c fuoriesce «dalla ratio del conferimento del relativo potere». Dunque, l’individuazione del fine per il quale il soggetto agisce, pur non rivestendo, come affermato da S.0 “Casani”, valore significato in sé, comunque rappresenta un valore sintomatico utile a chiarire se il sogge agente abbia utilizzato il potere entro il perimetro o al di fuori dell’ambito di istituzionalmente conferitagli.
Di lì a poco, Sez. 5, n. 44390 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 260763 escludeva la possibilità d identificare il carattere di abusività della condotta di accesso al sistema o di manteniment suo interno, nella violazione delle regole di imparzialità e trasparenza enunciate dall’ legge n. 241 del 1990, in quanto, diversamente opinando, si sarebbe determinata un’inammissibile dilatazione della nozione di accesso abusivo oltre i limiti imposti d necessità di tutelare i diritti del titolare del sistema.
Ponendo fine al rinnovato contrasto, con la pronuncia n. 41210 del 18/05/2017, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271061, le Sezioni unite hanno affermato che «integra il delitt previsto dall’art. 615-ter, secondo comma, n. 1, cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violand prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protet delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita».
Sulla base di tali sviluppi giurisprudenziali, la difesa del ricorrente, come già censura la decsione in verifica perché basata sulla chiave di lettura dell’art. 615-ter cod. offerta da Sez. U COGNOME in relazione a fatti risalenti al giugno 2016, allorquando, a suo d non era prevedibile un mutamento di giurisprudenza rispetto a quanto affermato da Sez. U COGNOME.
Sul tema della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale in malam partem, è consolidato GLYPH l’orientamento secondo cui GLYPH l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale più sfavorevole di una norma penale non è consentita, salvo che il risulta interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto, pena la violazione degli artt. 2 cod. pen., 25 Cost. e 7 CEDU (Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021 M., Rv. 282238; Sez. 5, n. 37857 del 24/04/2018, COGNOME, Rv. 273876; Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 26716401; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, COGNOME, Rv. 256584).
Ne deriva che sia la normativa convenzionale, sia quella domestica non escludono che il giudice nazionale possa mutare il proprio orientamento nell’interpretazione di una norma, né i materia extrapenale, né in materia penale, ma richiedono che tale mutamento sia ragionevolmente prevedibile, all’epoca di commissione del fatto, dal destinatario della norm di tal ché lo Stato non incorra in una violazione dell’art. 6, quanto alla materia extrapena dell’art. 7, in relazione alla materia penale, della Convenzione EDU.
Dunque, è la ragionevole prevedibilità di una interpretazione giurisprudenziale ch rappresenta il discrimen fra condotte che possono essere punite anche in ragione di una interpretazione che si è affermata in epoca successiva al loro compimento e condotte che debbono andare, invece, esenti da pena, fermo restando che, in ogni caso, la non prevedibilità di una decisione giudiziale – che ne preclude l’applicazione retroattiva – va esclusa qualora s registri un contrasto giurisprudenziale, in cui l’esito interpretativo, seppur controve comunque presente.
Dunque, ciò che rileva è che, al momento in cui ha posto in essere la propria condotta l’imputato possa ragionevolmente prefigurarsi l’astratta integrazione degli estremi de fattispecie criminosa.
Nel caso di specie, pertanto, risulta decisivo verificare se l’evoluzione giurisprudenzial tema di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, di cui già si è detto, fosse prevedibile al momento della commissione del fatto contestato.
La corte territoriale, in ragione del compendio probatorio – rappresentato, tra le a dalla colleganza e amicizia tra l’imputato e il soggetto che aveva inoltrato denuncia con ignoti; dall’inimicizia tra quest’ultimo e la dirigente, nonché tra questa e l’imputa contenuto della denuncia sporta; dalla mancata presentazione del preannunciato “seguito” di denuncia – non ha condiviso il ragionamento del giudice di primo grado secondo cui l’imputato, legittimato ad accedere al sistema informatico per la gestione dei “seguiti” delle denunce depositare presso gli uffici della procura della Repubblica, era entrato nel sistema per acquis informazioni in merito alla gestione dell’integrazione di denuncia solo preannunciata, ma ma presentata presso l’ufficio nel quale l’imputato prestava il suo servizio, relativa al procedi iscritto a carico di ignoti che, come già detto, riguardava la posizione della dirigente COGNOME
Invero, ad avviso dei giudici di appello, al di là dell’intenzione prospettata dal denuncia plurimi accessi dell’imputato, susseguitisi nell’arco temporale di pochi giorni, erano avvenut fatto, fuori dei limiti e delle condizioni legittimanti ed erano rappresentativi, invece modalità di «stretto nnonitoraggio» dell’evoluzione del procedimento iscritto a carico di igno del suo eventuale passaggio a carico della dirigente COGNOME.
Di qui, in linea con il ragionamento espresso dal Sez. U COGNOME e prescindendo dalle «soggettive finalità perseguite e dalla deviazione degli scopi istituzionali» che, eventualme potevano avere accompagnato la condotta dell’imputato, la decisione di condanna della corte territoriale, secondo la quale, nel caso di specie – in cui l’imputato era abilitato ad accede sistema per procedere all’individuazione del numero del procedimento e del nominativo del pubblico ministero assegnatario cui inoltrare il “seguito” di denuncia -, l’accesso era avven in assenza di una reale esigenza.
In linea con quanto affermato da Sez. 5, n. 47510 del 09/07/2018, COGNOME, Rv. 274406 che, in una vicenda del tutto analoga a quella oggetto della pronuncia in verifica, ha esclus sussistenza di un “overruling” ad opera della sentenza delle Sezioni unite “Savarese” e l conseguente violazione dell’art. 7 CEDU -, ritiene il Collegio che la successione delle decisi assunte dal Supremo consesso, più che configurare un mutamento di giurisprudenza in malam partem e imprevedibile, rappresenti la naturale risposta all’esigenza di specificazion precisazioni del principio affermato da Sez. U COGNOME, manifestata dalle Sezioni semplici con pronunce Sez. 5, n. 15054 del 22/02/2012, COGNOME, Rv. 252479; Sez. 5, n. 10083 del 31/10/2014, dep. 10/03/2015, COGNOME, Rv. 263454; Sez. 5, n. 6176 del 06/11/2015, dep.
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15/02/2016, Russo; Sez. 5, n. 35127 del 19/04/2016, Papa; Sez. 5, n. 27883 del 09/02/2016, Leo; Sez. 5, n. 3818 del 29/09/2016, dep. 25/01/2017, Provenzano.
Ne deriva che la sentenza “COGNOME“, piuttosto che ribaltare un’impostazione ermeneutica, delinea l’esito di una ricerca volta a integrare la tipicità della fattispecie incriminatr all’art. 615-ter cod. pen. con la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di p servizio che si traduca in un abuso o sviamento dei poteri conferitigli.
Già con la sentenza “COGNOME“, le Sezioni unite avevano sottolineato che la condotta vieta dal citato art. 615-ter cod. pen. si profila non solo in caso di accesso e trattenimento nel sistema informatico da parte di un soggetto che, alla luce dei limiti risultanti dal comp delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema, non può ritenersi autorizzato, ma anch caso in cui il soggetto ponga in essere «operazioni di natura ontologicamente diversa da quell di cui egli è incaricato ed in relazione alle quali l’accesso era a lui consentito», in qu questi casi, ciò che risulta violato è proprio il titolo legittimante l’accesso e la permane sistema, sicché «le operazioni compiute non possono ritenersi assentite dall’autorizzazion ricevuta».
Dunque, ritiene il Collegio che la sentenza “COGNOME” non sia intervenuta su un consolidat e pacifico indirizzo precedente, sì da poter essere ascritta al fenomeno di overruling, quanto, piuttosto, che la stessa sia espressione di «quegli intrinseci elementi di mutevolezza c appartengono fisiologicamente all’esercizio della funzione di nomofilachia, il che rende pale l’assenza del carattere della imprevedibilità necessario per poter appropriatamente far ricor alla categoria dell’overruling» e che «l’interpretazione fornita dalla sentenza COGNOME in me alla condotta incriminatrice disciplinata dall’art. 615-ter, cod. pen.» non fosse né implausil irragionevole al momento della comnnsiione del fatto ascritto all’imputato, ma, al contrar prevedibile al punto da aver determinato «un ulteriore intervento delle Sezioni Uni finalizzato a completare ed integrare un profilo specifico della precedente pronuncia COGNOME (Sez. 5, COGNOME, Rv. 274406, cit.).
10. Il Collegio non ignora la decisione assunta da Sez. 6, n. 28594 del 26/03/2024, Boez Rv. 286770 che, nel decidere una vicenda del tutto analoga a quella della pronuncia in verific ha annullato senza rinvio la decisione di condanna emessa in relazione a un fatto commesso successivamente a Sez. U COGNOME e antecedentemente a Sez. U COGNOME, ha affermato che «costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza “in malam partem”, nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su u regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni Unite, che escludeva la rilevanza penale de condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici, che inducessero a prevedere che, futuro, le Sezioni Unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il prece orientamento in senso peggiorativo».
Con la citata pronuncia, la Sesta sezione, dato atto della circostanza che «nel periodo tempo intercorso tra le due pronunce delle Sezioni unite si era registrata una tendenza precisare, a specificare in senso estensivo la portata del principio affermato dalle Sezioni
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COGNOME» che, a eccezione di quanto affermato con la sentenza “Carnevale”, «aveva sostanzialmente “tenuto” , seppur con una tendenza ad una interpretazione estensiva i
ragione di esigenze di specificazioni e precisazioni», ha ribadito che, tuttavia, nel p interessato dalla vicenda «esisteva una regola rispetto alla quale non vi era un effett
concreto, contrasto giurisprudenziale».
11. Il ragionamento seguito da Sez. 6 COGNOME non appare condivisibile.
Invero, nel periodo interessato dalla vicenda che ci occupa, risalente al mese di giugno 201
si profilavano decisioni che, pur allineandosi al principio di diritto affermato da Sez. U C
tuttavia, come Sez. 5 Carnevale, ritenevano censurabili quelle operazioni per le quali e consentito l’accesso, ma che superavano, su un piano oggettivo, le regole e i limiti stabilit
l’accesso stesso (Sez. 5, COGNOME, cit.; Sez. 5, COGNOME, cit.; Sez. 5, n. 6176 del 06/11
dep. 15/02/2016, cit.; Sez. 5, n. 35127 del 19/04/2016, cit., Sez. 5, n. 27883 del 09/02/2
cit.; Sez. 5, n. 3818 del 29/09/2016, dep. 25/01/2017, cit.).
11. Dunque, a fronte del dibattito giurisprudenziale risalente già al periodo interessato vicenda, al quesito se, dal punto di vista della garanzia di cui all’art. 7 CEDU, la verifi
potenzialità dell’individuo di prevedere, al momento della commissione del fatto, l’eventu mutamento giurisprudenziale, non può che darsi una risposta positiva.
Può affermarsi che correttamente la corte territoriale ha ritenuto che l’imputato momento in cui i fatti furono commessi, era nelle condizioni di prendere cognizione di ind rivelatori di un orientamento volto a completare e integrare un profilo specifico precedente pronuncia “COGNOME“.
Dalle suesposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorren al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si liquidano come indica dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenu nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.700,00, oltre acce di legge.
Così deciso il 15 aprile 2025.