Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1791 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1791 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME PAVIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/04/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale si riporta alla requisitoria in atti e conclude l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO si riporta alla memoria depositata a mezzo PEC il 15 settembre 2023; deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione.
L’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento degli stessi.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano riformava parzialmente in senso favorevole all’imputata, la sentenza con cui il tribunale di Pavia, in data 30.9.2020, aveva condanNOME COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al delitto ex artt. 81, cpv., 61, n. 11), 110, 615 ter, commi 1, 2, n. 1), e 3, c.p., in rubrica ascrittole, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
Alla COGNOME, in particolare, viene contestato di avere fatto accesso, in qualità di incaricato di un pubblico servizio, in ragione del suo rapporto di dipendenza con la “RAGIONE_SOCIALE“, senza averne l’autorizzazione, ad una serie di indirizzi di posta elettronica riconducibili alla menzionata fondazione ovvero a personale dipendente di quest’ultima, specificamente indicati nelle lettere a) e b) della imputazione.
La corte territoriale, escluse le circostanze aggravanti ex art. 615 ter, co. 2 e 3, c.p., dichiarava improcedibili per difetto di querela tutti i reati in contestazione, ad eccezione “di quello riguardante la casella di posta elettronica EMAIL , rideterminando in senso favorevole all’imputata l’entità della pena irrogata e della provvisionale immediatamente esecutiva riconosciuta alla parte civile dal giudice di primo grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al mancato accoglimento della richiesta dell’appellante di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603, c.p.p., finalizzata a ottenere l’espletamento di una perizia tecnica, avente a oggetto il contenuto del supporto informatico formato “in privato” dalla parte civile, depositato in atti solamente a istruttoria dibattimentale avanzata, dopo la deposizione del consulente di parte civile COGNOME, supporto autodefinito dalla parte civile “copia forense” dei dati informatici relativi all’imputazione,
senza alcuna possibilità per le altre parti processuali e, in particolare, per la difesa dell’imputata, di partecipare al momento dell’esame e della scelta di quei dati, essendo stata preclusa alla difesa dell’imputata, tramite il proprio consulente tecnico, di accedere agli strumenti che costituivano la fonte dei suddetti dati informatici, allo scopo di accertare se i dati raccolti dalla parte civile fossero quelli necessari o ve ne fossero anche altri utili per la posizione della difesa. In conclusione, ad avviso della ricorrente, evidente appare “l’assoluta necessità di disporre perizia per attribuire i fatti con certezza alla condotta dolosa della COGNOME, per accertare un possibile malfunzionamento del sistema e della macchina, che abbia attuato operazioni automaticamente. Soprattutto a fronte del mancato sequestro del disco rigido e del server ed in assenza di alcuna indagine autorizzata dall’autorità giudiziaria sulla serie di anomali evidenziate dal prof. COGNOME (CTP difesa imputata) sull’elaborazione dei dati”; 2) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle statuizioni civili, sia quanto all’ammontare del risarcimento per il danno patrimoniale e della sussistenza del danno d’immagine, che in ordine alla concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva.
Con requisitoria scritta del 21.9.2023, da valere come memoria, essendo stata chiesta, nelle more, la trattazione in forma orale dell’impugnazione proposta, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con memoria del 12.9.2023, il difensore di fiducia e procuratore speciale della costituita parte civile, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile, con condanna dell’imputato al pagamento delle sostenute nel grado, richiesta formulata in sede di discussione orale, come da allegata nota spese.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni
Generico e manifestamente infondato appare il primo motivo di ricorso.
Invero nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado
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rende comunque inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, come quella prospettata dal ricorrente, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, riaspetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame (cfr. Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, Rv. 282633).
Come chiarito dall’orientamento da tempo dominante in sede di legittimità, del resto, stante l’eccezionalità dell’istituto processuale contemplato nell’art. 603 c.p.p., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può essere censurato in sede di legittimità solo quando risulti dimostrata l’esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 23/05/2013, n. 45647), lacune e manifeste illogicità che, nel caso in esame non appaiono configurabili, essendo l’affermazione di responsabilità dell’imputata fondata su di un puntuale esame dei dati acquisiti, ritenuto esaustivo ai fini dell’affermazione di responsabilità e insuscettibile di integrazioni istruttorie, operato dalla corte territoriale, che ha messo in evidenza, tra l’altro, come rispetto ai cinque tentativi di accesso effettuati il 25 febbraio 2016, alle ore 13.30.03 all’indirizzo di posta elettronica EMAIL , “essi siano stati effettuati da apparecchio connesso con indirizzo IP riconducibile all’abitazione dell’imputata, in giornata in cui ella non risultava sul luogo di lavoro” (cfr. pp. 17-18 della sentenza di appello).
La ricorrente, d’altro, canto non ha specificamente indicato le lacune e le manifeste illogicità del tessuto motivazionale della sentenza di appello, limitando le sue doglianze al mancato coinvolgimento della difesa dell’imputata in posizione di parità con le altre parti e, soprattutto, con
la parte civile nella selezione e nella valutazione dei dati contenuti nel supporto informatico depositato da quest’ultima nel corso del dibattimento.
Orbene, con riferimento alla valutazione del contenuto del supporto informatico, il rilievo, che si presenta come violazione dell’art. 233, c.p.p., è manifestamente infondato.
La corte territoriale, invero, ha correttamente evidenziato come non vi sia stata alcuna violazione dei diritti dell’imputata e della sua difesa, che “hanno goduto di un tempo più che congruo per predisporre le loro contro-argomentazioni, cosa che hanno effettivamente fatto anche mediante una consulenza tecnica di parte che è stata adeguatamente valutata dal giudice di primo grado” (cfr. pp. 16-17 della sentenza oggetto di ricorso). Nessuna violazione del principio del contraddittorio è, dunque, riscontrabile nella fase della valutazione dei dati riportati nel supporto informatico di cui si discute, su cui hanno avuto la possibilità di confrontarsi i consulenti tecnici nominati dall’imputata e dalla parte civile.
Quanto alla pretesa violazione del principio del contraddittorio nella fase anteriore dell’individuazione e della scelta dei dati da riportare nel supporto informatico, trattasi, anche in questa prospettiva, di censura inammissibile, proprio, come si è detto, per il suo carattere mera mente “esplorativo”, in quanto, come più volte affermato nei motivi di ricorso, lo scopo della perizia di cui si invocava l’espletamento, era quello di verificare se l’accesso all’utenza della Maggioni non fosse addebitabile a un possibile malfunzionamento del sistema dell’RAGIONE_SOCIALE, relativo alla suddetta utenza, malfunzionamento semplicemente ipotizzato come spiegazione alternativa, non suffragata da alcun specifico dato obiettivo, non avendo, per altro verso, la ricorrente formulato alcun rilievo puntuale volto a contestare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità dei dati riportati nel menzioNOME supporto informatico, se non attraverso un generico richiamo a una “serie di anomalie” sottolineate dal proprio consulente tecnico, prof. COGNOME (cfr. p 5 del ricorso).
Dato, quest’ultimo, che, peraltro, contraddice la doglianza della ricorrente, secondo cui non corrisponderebbe al vero l’affermazione della corte territoriale sulla circostanza che l’imputata e il suo difensore hanno avuto modo di conoscere gli atti di cui si discute nei modi e nei tempi previsti dalla legge processuale penale.
Inammissibile appare anche il secondo motivo di ricorso.
Va, innanzitutto, rilevato che, come è noto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773).
In ordine al risarcimento del danno patrimoniale, la corte territorale ha fondato la conferma della relativa condanna sul presupposto delle comprovate spese sostenute dalla parte civile per procedere alle verifiche del sistema informatico, affidato a una società specializzata esterna, in quanto, pur se gli accertamenti erano iniziati in un periodo antecedente le condotte contestate all’imputata, essi, osserva il giudice di appello con logico argomentare, sono stati necessari per accertare, dal punto di vista tecnico, le condotte attribuite alla COGNOME, che ne rappresentano, dunque, la causa specifica.
Tale assunto appare conforme, sia all’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997), sia a quello minoritario, per il quale ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è sufficiente la sussistenza di un
fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, occorrendo la prova, sia pure con modalità sommaria, dell'”an debeatur”, atteso che è rinviata al separato giudizio civile la sola determinazione quantitativa del danno (cfr. Sez. 2, n. 31574 del 09/05/2023, Rv. 284954).
Sul punto, pertanto, le doglianze della ricorrente, incentrate sulla circostanza che non può essere attribuito solo alle attività illecite della COGNOME l’intero costo degli accertamenti tecnici posti a carico della parte civile, risulta manifestamente infondato, spettando, in ogni caso, al giudice civile, in sede di liquidazione del danno, determinare con precisione l’ammontare del danno da risarcire in ragione delle spese sostenute dalla parte civile con riferimento agli accertamenti causalmente collegati alle condotte per cui la COGNOME è stata condannata agli effetti penali.
In ordine al danno all’immagine, il giudice di appello ne ha ridotto l’ammontare alla somma di euro 1667,00, “in ragione del minore pregiudizio che l’immagine dell’ente ha subito in ragione della condotta in esame, svolta a danno di una singola utenza di una lavoratrice della parte civile costituita”, confermando la configurabilità di un danno all’immagine, posto che “la copertura mediatica locale avuta dalla vicenda è stata certamente foriera di discredito per la RAGIONE_SOCIALE” (cfr. p. 20).
Anche in questo caso la decisione appare conforme all’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, la valutazione del giudice, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, Rv. 280495).
La motivazione della corte territoriale non può certo dirsi inficiata da tali aporie, con la conseguenza che il motivo di ricorso, con cui si eccepiva la mancanza di motivazione in ordine alla contestata sussistenza di un
effettivo danno all’immagine della RAGIONE_SOCIALE negli articoli pubblicati sul quotidiano “RAGIONE_SOCIALE“, appare manifestamente infondato.
7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultima immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000), nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che si liquidano in complessivi euro 5000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 5000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Rom il 5.10.2023.