Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29497 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29497 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il 25/02/1972
avverso la sentenza del 14/02/2025 della Corte d’appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla memoria in atti e chiedendo il rigetto del ricorso con le relative determinazioni in tema di spese.
Udito il difensore, avv. NOME COGNOME il quale, dato atto di aver cognizione delle conclusioni del Procuratore generale, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 14/02/2025 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Torino, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui agli artt. 56, 622 cod. pen. (capo 1), perché estinto per remissione di querela, e rideterminato la pena per il rimanente reato di cui all’articolo 615ter cod.pen. (capo 2) nella misura di mesi sei di reclusione sostituita nella pena pecuniaria di 45.000 € di multa .
Il Tribunale aveva ritenuto che l’imputato, già socio ed amministratore della società RAGIONE_SOCIALE insieme a NOME, dopo avere accettato l’offerta di acquisto delle sue azioni da parte del suddetto Poli, avesse disposto una modifica del sistema operativo della società finalizzata a consentire l’accorpamento delle schede tecniche di ogni cliente in unico file, procedendo quindi al trasferimento di 54 tecniche relative a prodotti e clienti della società, dall’ account aziendale al proprio account personale, in un periodo compreso tra il 24 gennaio ed il 14 Febbraio 2019; a tale conclusione i giudici erano pervenuti sulla base di una consulenza tecnica che aveva consentiva di accertare il massivo trasferimento di allegati digitali dalla casella mail riconducibile alla società a quella personale dell’imputato, valorizzando, altresì, il fatto che, successivamente, l’imputato aveva continuato ad operare, nel medesimo settore commerciale degli imballaggi di cartone, ponendosi in una situazione di potenziale concorrenza con la società.
La Corte di appello ha confermato la sentenza impugnata ritenendo che la casella di posta elettronica configuri un sistema informatico e che l’imputato dovesse essere considerato come operatore del sistema con la conseguenza di rendere procedibile d’ufficio il reato.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore, avv. NOME COGNOME
2.1. Con primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 615ter cod.pen. deducendo l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato con particolare riferimento al requisito della abusività dell’accesso. Rileva che il preteso accesso abusivo sarebbe avvenuto in un momento in cui l’imputato era ancora amministratore e dipendente della società e, dunque, autorizzato ad operare al l’interno del sistema operativo , come desumibile dalle buste paga del ricorrente relative ai mesi di dicembre 2018, gennaio e febbraio 2019 che ha allegato al ricorso; il ricorrente, anche nel momento in cui ha effettuato l’accesso alla posta elettronica aziendale, era ancora inserito operativamente all’interno della società e titolare della casella di posta elettronica ed autorizzato ad accedervi in virtù del ruolo che ancora svolgeva all’interno della società; al momento dell’accordo sulla cessione delle quote con il Poli, non era stato previsto alcun limite all’utilizzo della casella di posta elettronica della società alla quale il ricorrente aveva continuato ad accedere, utilizzando il proprio nome personale quale nome utente; gli accessi erano stati legittimi anche in quanto effettuati tramite password conosciuta solo dall’imputato.
2.2. Con secondo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento all’elemento oggettivo richiesto dall’art.615ter cod. pen. in ordine al requisito della abusività dell’accesso. Ribadisce che il ricorrente, al momento delle
condotte incriminate, era autorizzato ad operare all’interno della società e deduce, sotto tale profilo, l’illogicità della motivazione della sentenza.
2.3. Con un terzo motivo denuncia vizio di motivazione per l’insussistenza dell’elemento soggettivo. La casella di posta elettronica aziendale aveva anche un carattere pacificamente personale, come desumibile dalla presenza di mail riguardanti questioni proprie del ricorrente; quest’ultimo, inoltre, considerava come propria la casella di posta elettronica aziendale ed aveva agito nella piena consapevolezza di potervi accedere tranquillamente senza infrangere alcun divieto o violarne alcun limite, anche dopo l’11 gennaio 2019. Tale circostanza doveva indurre ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e la sentenza impugnata aveva omesso di considerare che l’ illegittima rilevata trasmigrazione dei dati avrebbe potuto rilevare ad altri fini, civili o penali, ma non giustificare l’affermazione di responsabilità in ordine al reato contestato.
2.4. Con quarto motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 59, comma 2, 615ter , comma 2, n.1) cod. pen. e vizio di motivazione deducendo che l’imputato non avrebbe potuto essere configurato come operatore di sistema avendo egli operato in quanto legittimato ad accedere alla casella di posta elettronica in suo uso esclusivo.
2.5. Con quinto motivo denuncia violazione di legge in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 615ter , comma 2, n. 1) cod. pen. relativamente alla ritenuta qualità di operatore di sistema in capo al ricorrente. L’inesistenza di tale elemento circostanziale e l’intervenuta remissione di querela con correlata accettazione avrebbe dovuto fare ritenere improcedibile l’azione penale anche per il reato in esame. La sentenza impugnata aveva ritenuto che il ricorrente potesse essere qualificato come operatore di sistema in quanto dotato del potere di operarvi, modificandolo nei contenuti e nella struttura. Tuttavia, la norma non fa riferimento alla titolarità astratta di una particolare qualifica ma intende sanzionare più severamente la condotta di chi abusa delle conoscenze tecniche che possono privilegiare nell’accesso al sistema.
2.6. Con sesto motivo denuncia vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2) cod. pen., al diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti sulla aggravante contestata, alla pena base applicata.
2.7. Con settimo motivo denuncia violazione di legge in relazione alla sospensione condizionale della pena. La Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che la difesa aveva richiesto la revoca della sospensione condizionale della pena laddove si fosse ritenuta congrua l’adozione della misura sostitutiva
della pena pecuniaria. In realtà, la difesa aveva invitato la Corte ad una revisione completa in ordine al profilo sanzionatorio chiedendo l’applicazione di un trattamento congruo ed adeguato con particolare riferimento anche alla possibile sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria. La sentenza aveva erroneamente ritenuto che il beneficio della sospensione condizionale della pena non potesse essere revocato attesa la mancanza di una procura speciale ad hoc anziché analizzare le condizioni sanzionatorie ritenute più adeguate e senza considerare che il beneficio della sospensione condizionale della pena trova la sua corretta dimensione applicativa nel caso di applicazione di una sanzione detentiva. D’altra parte, la revoca della sospensione condizionale della pena non può rappresentare una violazione del divieto di reformatio in peius dovendo il trattamento sanzionatorio essere valutato nel suo complesso.
2.8. Con ottavo motivo deduce violazione di legge per errore e applicazione dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981. Deduce che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 28, emessa in data 1° febbraio 2022, il valore giornaliero della sanzione pecuniaria non può essere inferiore ad euro 75,00; il riferimento all’importo di euro 250,00 sarebbe privo di motivazione.
3.Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Il difensore dell’imputato ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato , limitatamente all’ottavo motivo che deve essere accolto, con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Torino. Va, invece, rigettato nel resto.
Sono infondati i primi due motivi con i quali la difesa contesta la riconducibilità del fatto in contestazione all’alveo precettivo dell’art. 615ter cod. pen.
La fattispecie in esame è stata introdotta dalla legge n. 547 del 23 dicembre 1993 , come ‘ computer’s crime ‘, nella sezione concernente i delitti contro la inviolabilità del domicilio, a tutela della privacy della persona da ogni illecita interferenza attuata attraverso l’abusiva introduzione o permanenza nel collegamento con i sistemi informatici o telematici, contro la volontà espressa o tacita dell’avente diritto, essendo i suddetti sistemi configurati alla stregua di «un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto
interessato, garantito dall’art. 14 della Costituzione e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli artt. 614 e 615 del codice penale», come indicato nella relazione di accompagnamento al relativo disegno di legge.
Il bene giuridico tutelato dalla norma in commento è stato individuato dalla giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante, nella difesa del domicilio informatico sotto il profilo dello ius excludendi alios , la cui violazione va accertata anche alla stregua delle modalità che regolano l’accesso dei soggetti eventualmente abilitati (Sez. 2, n. 26604 del 29/05/2019, Rv. 276427). Nella ricostruzione della fattispecie sottoposta al suo esame, in particolare, il giudice di merito deve porsi nella prospettiva indicata, al fine di verificare se l’introduzione o il mantenimento nel sistema informatico, anche da parte di chi aveva titolo per accedervi, sia avvenuto in contrasto o meno con la volontà del titolare del sistema stesso, che può manifestarsi, sia in forma esplicita, che tacita (Sez. 5, n. 12732 del 7.11.2000, Rv. 217743; Sez.5, n. 2987 del 10.12.2009, Rv. 245842; Sez. 5, n. 11994 del 05/12/2016, Rv. 269478).
La fattispecie delittuosa in rassegna ha formato oggetto di due interventi delle Sezioni Unite. Con la sentenza COGNOME, è stato affermato che «integra il delitto previsto dall’art. 615-t er cod. pen. colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema» (Sez. U, n. 4694/2012 del 27/10/2011, COGNOME, Rv 251269). Con la successiva sentenza COGNOME, le Sezioni Unite, pronunciandosi con riferimento ad ipotesi di fatto commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (615ter , comma 2, n. 1), hanno avuto modo di precisare, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, che integra il delitto previsto dall’art. 615ter cod. pen. la condotta di colui che «pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita» (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 271061 – 01). I principi espressi per il pubblico funzionario sono stati, inoltre, ritenuti applicabili anche al settore privato, in base al rilievo che i medesimi doveri di fedeltà e lealtà connotano indubbiamente anche il rapporto
di lavoro privatistico (Sez. 5, n. 565 del 29/11/2018, dep. 2019, Rv. 274392 -01).
In definitiva, sia la sentenza COGNOME che la sentenza COGNOME hanno precisato come la connotazione di abusività non riguardi soltanto l’accesso compiuto dal soggetto in alcun modo legittimato ad introdursi nel sistema aggirando le sue protezioni, ma anche quello effettuato dal soggetto autorizzato ad accedervi e che però lo faccia per finalità diverse da quelle per cui l’autorizzazione gli è stata concessa. Pertanto, è da ritenere illecito e abusivo qualsiasi comportamento del dipendente che si ponga in contrasto con i suddetti doveri «manifestandosi in tal modo la “ontologica incompatibilità” dell’accesso al sistema informatico, connaturata ad un utilizzo dello stesso estraneo alla ratio del conferimento del relativo potere» (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, COGNOME, in motivazione).
1.1.Con riferimento alla nozione di sistema informatico, inoltre, da tempo la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che deve ritenersi “sistema informatico” un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all’uomo, attraverso l’utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, caratterizzate -per mezzo di un’attività di “codificazione” e “decodificazione” – dalla “registrazione” o “memorizzazione”, per mezzo di impulsi elettronici, di “dati”, cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuate attraverso simboli ( bit ), in combinazioni diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare “informazioni”, costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l’utente. La valutazione circa il funzionamento di apparecchiature a mezzo di tali tecnologie costituisce giudizio di fatto insindacabile in cassazione ove sorretto da motivazione adeguata e immune da errori logici (cfr. Sez. 6, n. 3067 del 04/10/1999, Rv. 214945).
1.2. Nell’introdurre tale nozione nell’ordinamento il legislatore ha fatto evidentemente riferimento a concetti già diffusi ed elaborati nel mondo dell’economia, della tecnica e della comunicazione, essendo stato mosso dalla necessità di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dallo sviluppo della scienza.
Con riferimento a fattispecie analoga alla presente, in cui era in contestazione l’estrazione di dati da una mail , è stato ritenuto da questa Corte che « il “sistema informatico” recepito dal legislatore non può essere che il complesso organico di elementi fisici ( hardware ) ed astratti ( software ) che compongono un apparato di elaborazione dati (…) » dovendo essere identificato in «qualsiasi apparecchiatura o gruppo di apparecchiature
interconnesse o collegate, una o più delle quali, in base ad un programma, compiono l’elaborazione automatica dei dati» e che, in particolare, «la “casella di posta” non è altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o informazioni di altra natura (immagini, video, ecc.), di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider del servizio» (Sez. 5, n. 13057 del 28/10/2015 Ud. (dep. 31/03/2016 ) Rv. 266182 -01). L’accesso a questo “spazio di memoria” concreta, chiaramente, un accesso al sistema informatico, giacché la casella non è altro che una porzione della complessa apparecchiatura – fisica e astratta – destinata alla memorizzazione delle informazioni, venendo attribuito rilievo preminente alla circostanza che tale porzione di memoria sia protetta, come nella specie, mediante l’apposizione di una password – in modo tale da rivelare la chiara volontà dell’utente di farne uno spazio a sé riservato con la conseguenza di ritenere che «ogni accesso abusivo allo stesso concreta l’elemento materiale del reato di cui all’art. 615ter cod. pen.» ( Sez. 5, n. 13057 del 28/10/2015, cit.; anche Sez. 5, n. 565 del 29/11/2018, Rv. 274392; nel medesimo senso anche Sez. 5, n. 18284 del 25/03/2019, Rv. 275914 – 01).
1.3.La sentenza impugnata ha fornito una motivazione logica e aderente alle superiori indicazioni ermeneutiche ritenendo che la condotta posta in essere dal l’ imputato, nel periodo contestato, compreso fra la fine di gennaio e metà febbraio del 2019, dopo che già il medesimo aveva accettato la proposta di acquisto delle sue quote della società RAGIONE_SOCIALE formulata dal socio COGNOME NOMECOGNOME abbia integrato l’ipotesi di reato contestata, in quanto consistita nell’entrare nella casella di posta elettronica aziendale, trasferendo al proprio account personale numerose schede tecniche relative ai prodotti e clienti della società nella quale aveva svolto il ruolo di amministratore, attraverso un accesso al sistema informatico attuato per scopi e finalità estranei a quelli per i quali gli era stata consentita la facoltà di accesso, ed attribuita una personale password . Sul punto è stato, dunque, congruamente sottolineato il carattere di abusività della condotta proprio in ragione della finalità perseguita dal soggetto agente essendosi considerato che l’imputato, avendo agito a seguito dell ‘ accettazione della proposta di acquisto delle sue quote sociali da parte del Poli, abbia agito non per perseguire un interesse della società ma per una finalità extra sociale, per soddisfare un suo interesse personale ad entrare in possesso di una serie di notizie riservate che avrebbe potuto in seguito sfruttare per il prosieguo della sua attività professionale. Sotto tale profilo è stato, peraltro, dato rilievo alla circostanza che dalla consulenza tecnica
effettuata sia stato accertato che anche successivamente il ricorrente abbia continuato ad operare nello stesso settore della società.
2.Sono manifestamente infondati il terzo e quarto motivo con i quali il ricorrente si duole dell’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
La motivazione della sentenza impugnata è ampiamente esaustiva e priva di cesure logiche avendo messo in rilievo come gli accessi al sistema operativo della società da parte dell’imputato fossero stati preceduti dall’avere quest’ultimo commissionato ad un terzo soggetto l’introduzione di una funzione che non aveva nessuna utilità per la società, apparendo esclusivamente strumentale alla realizzazione del proposito dell’imputato di velocizzare i tempi per l’acquisizione delle schede tecniche dei clienti da trasferire sulla sua casella privata. Sotto altro profilo si è considerato che il trasferimento dei superiori dati risulta avvenuto in orario serale, e in giorni festivi, e che tali circostanze corroborano la conclusione che l’imputato abbia agito con la consapevolezza del carattere illecito della condotta. La dimostrazione del dolo in capo al ricorrente è stata logicamente ritenuta in re ipsa , in assenza di qualsivoglia elemento idoneo ad escludere il carattere di abusività della condotta. La sentenza impugnata, sul punto, ha fatto applicazione dell’insegnamento di questa Corte secondo cui, i n tema di dolo, la prova della volontà di commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione (Sez. 6, n. 16465 del 6.4.2011,Rv. 250007).
Sono infondati il quarto e quinto motivo con i quali il ricorrente deduce l’insussistenza dei presupposti per la configurabilità della ritenuta circostanza aggravante contestata di cui all’art. 615 -ter , comma 2, n. 1 cod.pen.,
S econdo l’insegnament o di questa Corte, l’operatore del sistema non è colui che semplicemente opera “nel” o “con” il sistema, come nel caso anche del mero utente abilitato ad accedere ad una banca dati, ma è colui che è autorizzato ad operare “sul” sistema. L’operatore è, in definitiva, il soggetto abilitato a modificare i contenuti o la struttura del sistema ovvero di una sua parte, con esclusione dunque di chi risulti semplicemente autorizzato a fruire dei suddetti contenuti. Al contempo, e sotto diverso profilo, l’attribuzione della qualifica non necessariamente comporta anche quella della titolarità di poteri decisori sulla gestione di tali contenuti o sulla configurazione del sistema,
potendo invece essergli riconosciuti anche compiti meramente esecutivi. Anche colui che, nel gergo informatico, viene definito “amministratore di sistema” è, ai fini dell’art. 615ter comma 2 cod.pen., un “operatore del sistema”, ma, non necessariamente le due nozioni coincidono.
Tale conclusione appare maggiormente aderente al significato letterale del termine dispiegato dal legislatore ed alla ratio della previsione di una aggravante dedicata alla figura dell’operatore del sistema, il cui fondamento è da rinvenirsi nella maggiore riprovevolezza e gravità della condotta di chi si trova in un rapporto privilegiato con il sistema che ne agevola l’abuso, violando al contempo l’obbligo di fedeltà nei confronti del soggetto che tali privilegi ha concesso (Sez. 5, n. 7775 del 24/01/2022, Rv. 282874 -01; Sez. 2, n. 17318 del 05/04/2019, Rv. 276623, relativa all’analoga aggravante prevista dall’art. 640ter cod.pen.)
La motivazione della sentenza impugnata, sul punto, è, pertanto, immune da vizi e conforme alle superiori indicazioni ermeneutiche, avendo collegato l’aggravante al potere dell’imputato di intervenire sul sistema operativo, per come in effetti avvenuto avendo egli commissionato al consulente informatico della società delle modifiche sul sistema operativo, funzionali alle sue intenzioni, per come confermato dal medesimo consulente il quale ha precisato che non avrebbe mai eseguito interventi sul sistema operativo se non gli fossero stati richiesti dall’amministratore della società (pag.18 della sentenza impugnata).
Sotto altro profilo deve rilevarsi l’incongruità del richiamo all’art. 59, comma 2, cod. pen. stante la genericità delle doglianze espresse sul punto non essendo stata, invero, evidenziata alcuna circostanza da cui inferire che l’imputato abbia agito ignorando, per colpa, di effettuare un intervento in violazione dei doveri dei limiti inerenti alla carica sociale ricoperta.
4.È manifestamente infondato il sesto motivo di ricorso.
Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod.pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez.1 n. 17494 del 18/12/2019, Rv. 279181). Né va taciuta l’esistenza di costante orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (Sez.2, n. 36265 del
08/07/2010, Rv. 248535; Sez.1, n. 2668 del 09/12/2010, Rv. 249549). Orbene la decisione della Corte territoriale si colloca a pieno titolo nel menzionato alveo giurisprudenziale, in quanto il giudice di appello ha fondato il rigetto della richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, dopo avere confermato la circostanza aggravante, di cui all’art. 61, n. 2), c.p., sulla base di una valutazione complessiva che ha tenuto conto della idoneità delle condotte poste in essere a consentire una apprensione di dati riservati, in un’epoca in cui l’imputato era ancora socio amministratore della società, e della sua potenzialità a favorire una successiva attività di concorrenza sleale. La suddetta motivazione non può ritenersi né arbitraria, né manifestamente illogica, laddove, a fronte di tale motivazione, i rilievi del ricorrente a sostegno della propria richiesta si presentano come censure di merito, non scrutinabili in questa sede di legittimità.
Sono, altresì, manifestamente infondate le doglianze collegate alla ritenuta configurabilità dell’aggravante della connessione teleologica in quanto attraverso essa si intende punire la maggiore intensità della condotta delittuosa posta in essere dall’imputato, il quale, pur di pervenire alla consumazione del reato fine, non arretra nemmeno di fronte all’eventualità di commettere anche un altro reato, così dimostrando una maggiore capacità criminosa: proprio tale maggiore pericolosità rende indifferente che il reatofine sia stato solo tentato o consumato, ovvero che allo stesso debba applicarsi una causa di non punibilità o di estinzione o d’improcedibilità, in quanto ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’aggravante è il rapporto che lega la commissione dei due reati (Sez. 3, n. 52135 del 19/06/2018, Rv. 275456 -01).
5.È infondato il settimo motivo con cui la difesa si duole della conferma del provvedimento di sospensione condizionale della pena concesso dal primo giudice.
La doglianza difensiva -con cui si sostiene che implicitamente la questione concernente la revoca della sospensione condizionale della pena fosse stata rimessa alla valutazione della Corte di appello attraverso la richiesta di un trattamento sanzionatorio congruo e adeguato anche in riferimento alla concomitante richiesta di sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria- non si confronta ulteriormente con il dato dirimente per cui il giudice di appello si pronuncia solo nell’ambito della materia devoluta con l’atto di impugnazione e conosce fuori dei punti della decisione, a cui si riferiscono i motivi proposti, solo quando la legge estenda
specificamente il suo ambito cognitivo oltre i confini segnati dalla parte impugnante ( Sez. U, n. 36460 del 30/05/2024, Rv. 287004 -01).
Nella fattispecie in esame è mancata una richiesta di revoca esplicita del beneficio concesso in primo grado, astrattamente prospettabile in relazione alla possibilità di accoglimento della domanda di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria e sotto il profilo dell’eventuale interesse dell’imputato a non usufruire del beneficio, ritenuto comunque meritevole di tutela (Sez. 1, n. 35315 del 25/03/2022, Terranova, Rv. 283475 – 01; Sez. 3, n. 17384 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281539 – 01).
D’altra parte , deve considerarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, la rinuncia al beneficio integra un atto dispositivo che incide sul profilo sanzionatorio ed è per questa ragione una iniziativa estranea ed esuberante rispetto alle attività ed alle scelte proprie della difesa tecnica (Sez.2, n. 16052 del 18/02/2025, Rv. 287940 -01; Sez. 5, n. 45583 del 03/12/2024, Rv. 287354 -01). La rinuncia alla sospensione condizionale rientra, dunque, tra i cosiddetti diritti personalissimi quali evincibili dalla nozione contenuta nell’art. 99, comma 1., cod. proc. pen. e che, pertanto, possono essere esercitati soltanto dall’imputato e non dal difensore, a meno che questi non sia munito di procura speciale appositamente rilasciata (Sez. 3, n. 11104 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 258701 – 01, secondo cui la rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto atto personalissimo idoneo ad incidere sul profilo sanzionatorio, può essere validamente proposta solo dall’imputato e non anche dal suo difensore privo di specifica procura speciale; conf., tra le più recenti, non massimate, Sez. 7, n. 43593 del 29.10.2024, COGNOME; Sez. 3, n. 6344 del 09/05/2018, COGNOME; Sez. 2, n. 54947 del 16/11/2017, COGNOME).
6.È, invece, fondato l’ultimo motivo.
L’art. 135 cod.pen. stabilisce che “Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva”. La Corte costituzionale, con sentenza n. 28 del 2022, ha dichiarato, tuttavia, parzialmente incostituzionale l’articolo 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, per violazione dei principi di eguaglianza e finalità rieducativa della pena, ritenendo che ai 250 euro debbano essere sostituiti i 75 euro già previsti dalla normativa in materia di decreto penale di condanna, fermo restando l’attuale limite massimo giornaliero di 2.500 euro.
La Consulta ha rilevato che, se l’impatto di pene detentive della stessa durata è, in linea di principio, uguale per tutti i condannati, non altrettanto può dirsi per le pene pecuniarie: una multa di mille euro, ad esempio, può essere più o meno afflittiva secondo le disponibilità di reddito e di patrimonio del singolo condannato. Nella prospettiva di un’eguaglianza ‘sostanziale’ e non solo ‘formale’, la sentenza sottolinea la necessità che il giudice possa sempre adeguare la pena pecuniaria alle reali condizioni economiche del reo, per evitare che risulti sproporzionatamente gravosa, concludendo che «solo una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una misura proporzionata alla gravità del reato e alle condizioni economiche del reo, nonché la sua effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri Paesi». Tutto ciò nell’ottica di una personalizzazione della pena, coerente con i principi di eguaglianza sostanziale e rieducazione del condannato (artt. 3 e 27 Cost.) e più aderente al principio di proporzionalità e alla funzione rieducativa della stessa.
Proseguendo sulla medesima scia, il d.lgs. n. 150 del 2022, nell’esercizio della predetta delega, ha introdotto nella legge n. 689 del 1981 l’art. 56 -quater che ha indicato i criteri di ragguaglio della pena pecuniaria sostitutiva, prevedendo che l’ammontare della stessa debba essere determinato dal giudice individuando il valore giornaliero in misura non inferiore a 5 euro e superiore e 2500 euro, corrispondente alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, «tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare» – moltiplicandolo per i giorni di pena detentiva.
In tal modo risulta compiuto il percorso che, a partire dalla giurisprudenza costituzionale, ha condotto ad una progressiva valorizzazione del potere discrezionale del giudice nel modulare, entro più ampi margini, la pena pecuniaria sostitutiva, al fine di renderne effettive le possibilità di applicazione anche in favore dei soggetti sforniti di adeguate risorse economiche e di garantire il rispetto delle finalità rieducative e di prevenzione proprie della pena.
6.1. Nella fattispecie in esame la decisione censurata ha, correttamente, ritenuto applicabile la pena pecuniaria sostitutiva nonostante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, collocandosi nel solco dell ‘ insegnamento di questa Corte secondo cui in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il divieto di farne applicazione nei casi in cui sia disposta altresì la sospensione condizionale della pena, previsto dall’art. 61- bis, legge n. 689 del 1981, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150 del 2022, non si estende ai fatti commessi prima dell’entrata in
vigore di tale ultima disposizione ( Sez. 5, n. 45583 del 03/12/2024, Rv. 287354 -01; Sez. 3, n. 33149 del 07/06/2024, V., Rv. 286751 – 01), considerata la natura sostanziale delle stesse, in quanto aventi natura di vere e proprie pene e non di semplici modalità esecutive della pena detentiva sostituita e soggette, in caso di successioni di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all ‘ art. 2, quarto comma, cod. pen. (Sez. U, n. 11397 del 25/10/1995, Siciliano, Rv. 202870 – 01; Sez. F, n. 32799 del 17/08/2011, COGNOME Rv. 251007 – 01; Sez. 4, n. 29504 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273082 – 01).
6.2. La Corte territoriale, tuttavia, nella determinazione del quantum non ha reso alcuna argomentazione volta a supportarne in concreto il fondamento, non avendo tenuto conto del l’art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, a seguito della parziale declaratoria di illegittimità della norma, operata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 28 del 2022, né del successivo assetto normativo introdotto dall’art. 56 -quater della legge n. 689 del 1981, così come novellato dal d.lgs. n. 150 del 2022, considerando, come minimo, senza alcuna motivazione a sostegno di tale rigoroso regime sanzionatorio, la pena pecuniaria di 250 euro al giorno. Sul punto, pertanto, la sentenza è immotivata (Sez. 3, n. 19326 del 9 27/01/2015, Rv. 263558) e va censurata mancando l ‘ indicazione dei criteri seguiti nell ‘ esercizio della valutazione discrezionale, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in esame le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna, oltre che la personalità del condannato.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, in quanto implicante valutazioni discrezionali ed in fatto, e rigetto nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. rigetta nel resto il ricorso.
Così è deciso, 25/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME