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Accesso abusivo: la Cassazione e le aggravanti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ex collaboratore di un ufficio tributi, condannato per accesso abusivo a un sistema informatico fiscale. L’uso delle proprie credenziali è stato ritenuto prova sufficiente dell’accesso, e la banca dati tributaria è stata qualificata come di pubblico interesse, confermando le aggravanti del reato.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Accesso Abusivo a Sistemi Informatici: La Cassazione chiarisce le Aggravanti

Il reato di accesso abusivo a un sistema informatico, previsto dall’art. 615-ter del codice penale, è al centro di una recente sentenza della Corte di Cassazione. La decisione, la n. 3206 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla prova dell’accesso e sulla sussistenza di specifiche circostanze aggravanti, in particolare quando l’atto coinvolge sistemi di pubblico interesse e viene commesso da soggetti con qualifiche pubbliche.

I Fatti del Caso: L’Ingresso Illecito nel Sistema Tributario

Un ex collaboratore di un ufficio tributi comunale è stato condannato in primo e secondo grado per essersi introdotto abusivamente nella banca dati del programma gestionale delle imposte comunali. Utilizzando le proprie credenziali, l’uomo ha visionato 105 posizioni fiscali e ha poi ordinato l’annullamento di almeno 87 avvisi di accertamento.

La sua condotta è stata ritenuta aggravata per due motivi: in primo luogo, per aver commesso il fatto in qualità di incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti alla funzione; in secondo luogo, perché il sistema informatico violato era considerato di pubblico interesse, trattandosi della banca dati per la gestione dei tributi locali.

I Motivi del Ricorso e il tema dell’Accesso Abusivo

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Mancanza di prove certe: Sosteneva che non fosse stato identificato né il soggetto agente né il computer specifico da cui era partito l’accesso, e che l’operazione di annullamento fosse comunque inutile, poiché i file cancellati erano meri riepiloghi di avvisi cartacei già notificati.
2. Insussistenza dell’aggravante del pubblico interesse: Contestava che la banca dati fiscale potesse essere considerata di ‘pubblico interesse’, in quanto non destinata a una collettività indeterminata ma contenente semplici report di atti già notificati.
3. Errata attribuzione della qualifica: Negava di possedere la qualifica di incaricato di pubblico servizio al momento dei fatti, definendosi un mero collaboratore, e lamentava la mancanza di motivazione su come avesse abusato dei propri poteri.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa e confermando la condanna.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le tesi difensive.

In primo luogo, ha stabilito che l’utilizzo delle credenziali personali dell’imputato costituisce una prova univoca e sufficiente per attribuirgli la responsabilità dell’accesso. L’identificazione del computer fisico utilizzato è stata giudicata irrilevante. La presunta ‘inutilità’ dell’atto, secondo i giudici, non scalfisce la riconducibilità dell’operazione all’imputato, ma al massimo solleva dubbi sulla sua finalità, senza negarne l’esistenza e l’abusività.

Successivamente, la Cassazione ha affrontato la questione dell’aggravante del pubblico interesse. Ha chiarito che un sistema informatico per la gestione di un tributo, destinato alla generalità dei cittadini chiamati a concorrere alla spesa pubblica, è intrinsecamente di interesse pubblico. Tali sistemi sono infatti strumentali alla formazione delle risorse necessarie per erogare servizi alla comunità. Il precedente giurisprudenziale citato dalla difesa, relativo al sito di un movimento politico, è stato ritenuto non pertinente.

Infine, per quanto riguarda la qualifica di incaricato di pubblico servizio, la Corte ha osservato che la cessazione formale delle funzioni specifiche presso l’ufficio tributi non era rilevante. Ciò che contava era che l’imputato avesse conservato le credenziali e, con esse, la possibilità di accedere al sistema. La condotta, anche se posta in essere da un soggetto non più titolare della qualifica al momento del fatto, lede comunque l’interesse pubblico tutelato dalla norma quando, come in questo caso, la possibilità di agire deriva proprio dalla posizione precedentemente ricoperta.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati informatici. L’uso di credenziali personali crea una forte presunzione di responsabilità a carico del titolare. Inoltre, viene rafforzata la tutela dei sistemi informatici della Pubblica Amministrazione, specialmente quelli legati alla gestione fiscale, qualificandoli come di ‘pubblico interesse’ e giustificando così un aggravamento della pena per chi vi accede abusivamente. Infine, la decisione sottolinea che le responsabilità derivanti da una funzione pubblica possono persistere anche dopo la cessazione formale dell’incarico, qualora si conservino gli strumenti (come le credenziali di accesso) per ledere gli interessi che quella funzione era chiamata a proteggere.

L’uso delle proprie credenziali per un accesso non autorizzato è sufficiente a provare il reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’accesso a un sistema informatico realizzato utilizzando le credenziali personali di un soggetto costituisce una prova dall’univocità tale da ricondurre a lui l’operazione, a meno che non emergano elementi di segno contrario.

Una banca dati per la gestione dei tributi è considerata di ‘pubblico interesse’ ai fini dell’aggravante?
Sì. La sentenza afferma che i sistemi informatici strumentali alla gestione di un tributo rivolto alla generalità dei soggetti sono di pubblico interesse, poiché servono alla formazione delle risorse pubbliche necessarie per l’erogazione dei servizi alla comunità. Questo giustifica l’applicazione della specifica circostanza aggravante.

Si può essere condannati per accesso abusivo aggravato anche se si sono cessate le proprie funzioni specifiche?
Sì. La Corte ha stabilito che, anche se le funzioni specifiche sono cessate, la conservazione della possibilità di accedere alla banca dati (ad esempio, tramite le credenziali non revocate) è sufficiente per configurare il reato aggravato, poiché la condotta lede concretamente l’interesse pubblico tutelato dalla norma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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