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Accesso abusivo: chi è la vittima del reato?

La Cassazione ha confermato la condanna per truffa e accesso abusivo a sistema informatico. Si è chiarito che, in caso di accesso abusivo all’area personale di un utente, la persona offesa non è solo la società proprietaria del sistema, ma anche l’utente stesso, il cui ‘domicilio informatico’ viene violato. Di conseguenza, la querela presentata dall’utente è valida. La Corte ha inoltre ribadito che chi mette a disposizione il conto per ricevere i proventi della truffa partecipa al reato.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Accesso Abusivo: Non Solo l’Azienda, Anche l’Utente è Vittima

Con la recente sentenza n. 20316/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale nell’era digitale: il reato di accesso abusivo a un sistema informatico. La pronuncia offre chiarimenti fondamentali su chi sia la persona offesa legittimata a sporgere querela quando viene violata l’area personale di un utente e sul ruolo di chi, pur non compiendo materialmente la frode, ne riceve i proventi.

Il Caso: Truffa Online e Accesso Illecito

I fatti alla base della sentenza riguardano un classico schema di frode informatica. Una persona veniva condannata in primo e secondo grado per i reati di truffa e accesso abusivo a un sistema informatico. In sintesi, le credenziali di una carta di pagamento di un utente venivano ottenute fraudolentemente. Successivamente, queste credenziali venivano utilizzate per entrare illecitamente nell’area riservata della vittima, gestita da un noto fornitore di servizi di pagamento, e per disporre un bonifico a favore di una società il cui amministratore unico era l’imputato. Quest’ultimo, quindi, risultava essere il beneficiario finale del denaro sottratto.

Accesso Abusivo e la Questione della Querela

La difesa dell’imputato ha sollevato in Cassazione due principali motivi di ricorso. Il primo, di natura procedurale, sosteneva che la condanna per il reato di accesso abusivo (art. 615-ter c.p.) fosse illegittima per mancanza di una valida querela. Secondo la tesi difensiva, l’unica persona offesa dal reato sarebbe la società proprietaria del sistema informatico, e non il singolo utente la cui area personale era stata violata. Poiché la società non aveva sporto querela, l’azione penale non poteva procedere.

La Corte di Cassazione ha rigettato fermamente questa interpretazione, confermando l’orientamento già consolidato. I giudici hanno chiarito che l’area riservata di un utente costituisce un ‘domicilio informatico’, ovvero uno spazio ideale di pertinenza esclusiva del singolo, la cui tutela della riservatezza è un bene costituzionalmente protetto. Di conseguenza, l’introduzione non autorizzata in tale area lede gli interessi di due soggetti: la società proprietaria del sistema e l’utente titolare dello spazio virtuale violato. Entrambi sono persone offese e, pertanto, entrambi sono legittimati a presentare querela.

Concorso nel Reato: Basta Fornire il Conto Corrente?

Il secondo motivo di ricorso verteva sulla responsabilità penale dell’imputato. La difesa sosteneva che non vi fosse prova del suo coinvolgimento diretto nella truffa o nell’intrusione informatica, essendo egli ‘solo’ il beneficiario del pagamento. La Corte ha respinto anche questa argomentazione, qualificandola come un tentativo di riesaminare il merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

I giudici hanno sottolineato come i tribunali di merito avessero logicamente accertato il ruolo attivo dell’imputato. Anche senza l’individuazione di chi avesse materialmente carpito le credenziali, la condotta dell’amministratore era stata ritenuta una frazione essenziale per la consumazione dei reati. Mettere a disposizione il conto corrente della propria società per ricevere le somme illecitamente prelevate è un contributo causale decisivo, che configura pienamente la responsabilità a titolo di concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.).

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati, adattandoli al contesto digitale. Il concetto di ‘domicilio informatico’ è centrale: l’articolo 615-ter del codice penale non protegge solo l’integrità dei sistemi informatici in senso stretto, ma anche la sfera di riservatezza e lo ‘spazio virtuale’ personale degli individui che li utilizzano. L’accesso non autorizzato all’home banking, alla casella e-mail o a un profilo social personale è una violazione diretta di questo spazio privato. Pertanto, la querela della vittima, titolare della carta e dell’area riservata, è stata ritenuta pienamente valida ed efficace.

Sul fronte della responsabilità concorsuale, la Corte ha ribadito che per essere considerati concorrenti in un reato non è necessario compiere l’intera azione delittuosa. È sufficiente fornire un contributo apprezzabile e consapevole alla sua realizzazione. Nel caso di specie, la predisposizione di un ‘canale’ per la ricezione e la monetizzazione dei proventi della truffa è stata considerata un anello fondamentale della catena criminale, senza il quale la frode non avrebbe raggiunto il suo scopo. Questa condotta integra una piena partecipazione ai reati di truffa e accesso abusivo.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza la tutela degli utenti dei servizi digitali, riconoscendo loro il diritto di agire in prima persona contro le violazioni dei loro spazi virtuali. In secondo luogo, lancia un chiaro monito a chiunque si presti, anche solo passivamente, a fare da ‘terminale’ per operazioni finanziarie illecite. La disponibilità a ricevere fondi di provenienza criminale sul proprio conto non è un’azione neutra, ma un atto che integra una piena corresponsabilità penale.

In caso di accesso abusivo all’area personale di un sito (es. home banking), chi è considerato persona offesa e può sporgere querela?
La sentenza chiarisce che le persone offese sono due: sia la società proprietaria del sistema informatico, sia il singolo utente titolare dell’area personale violata. Quest’area è considerata un “domicilio informatico”, uno spazio di pertinenza esclusiva dell’individuo, la cui violazione lede direttamente i suoi diritti. Pertanto, anche l’utente può validamente sporgere querela.

Se una persona riceve sul proprio conto corrente denaro proveniente da una truffa online, può essere considerata responsabile del reato anche se non ha materialmente compiuto la frode?
Sì. Secondo la Corte, chi mette a disposizione gli strumenti necessari per ricevere le somme sottratte illecitamente alla vittima (come un conto corrente) partecipa attivamente alla consumazione dei reati. Questa condotta è considerata una frazione essenziale dell’azione criminosa e configura una responsabilità concorsuale, anche se non si è individuato l’autore materiale dell’intrusione informatica.

Cosa si intende per “domicilio informatico”?
Per “domicilio informatico” si intende uno spazio virtuale di pertinenza esclusiva di una persona (fisica o giuridica), come un’area riservata di un sito web, un account di posta elettronica o uno spazio cloud. La Corte lo assimila al domicilio fisico, estendendovi la tutela della riservatezza della sfera individuale, un bene protetto a livello costituzionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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