Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9925 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9925 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Latiano il 05/05/1958 avverso la sentenza in data 27/11/2023 della Corte di appello di Lecce, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 27 novembre 2023 la Corte di appello di Lecce, in riforma della sentenza in data 18 febbraio 2020 del Tribunale di Lecce, ha ridotto la pena inflitta ad NOME COGNOME per i reati dell’art. 4 e dell’art. 10 d.l n. 74 del 2000.
Ricorre per cassazione l’imputato, denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al reato dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 perché la condanna era stata basata su un accertamento induttivo, non seguìto da un riscontro effettivo della disponibilità della merce da parte della sua società (primo motivo) e perché, rielaborati i calcoli, le imposte evase erano sotto soglia (secondo motivo); in ordine al reato dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, perché era stata ViL
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accertata la mancata emissione di fatture e non l’occultamento o distruzione di scritture contabili (terzo motivo). Denuncia, infine, con il quarto motivo la violazione di legge perché non erano stati tradotti gli atti dall’olandese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è nel complesso infondato.
Dagli accertamenti sulla banca dati VIES è emerso che la RAGIONE_SOCIALE di cui l’imputato era legale rappresentante, aveva acquistato prodotti per migliaia di euro da due società olandesi che avevano regolarmente fatturato. Dal confronto delle fatture di acquisto con quelle di rivendita era evidente che si fosse persa la traccia di numerosi beni, con evasione dell’ IVA per euro 183.128,78 e dell’imposta sui redditi per euro 228.909,47. I suddetti beni non erano stati rinvenuti in loco e l’imputato non aveva offerto alcuna plausibile spiegazione della loro destinazione. Di qui la condanna per il reato dell’art. 4 e per il reato dell’art. 10 d.lgs. n. 74 2000.
Il primo motivo di ricorso attiene all’insufficienza dell’accertamento tributario induttivo a fondare la responsabilità penale. Certamente, in tema di reati tributari, il giudice penale non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento tributario, ma può, con adeguata motivazione, apprezzare gli elementi induttivi ivi valorizzati, per trarne elementi probatori, idonei sorreggere il suo convincimento (tra le più recenti, Sez. 3, n. 24225 del 14/03/2023, Rossi, Rv. 284693 – 01), ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi secondo i criteri generali previsti dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen. (tra le più recenti, Sez. 3, n. 36207 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 277581 – 01). I Giudici si sono attenuti scrupolosamente ai criteri di valutazione indicati dalla giurisprudenza di legittimità, perché la condanna è stata fondata sugli accertamenti eseguiti dall’Agenzia delle Entrate sulla base della banca dati VIES, sul confronto tra le fatture di acquisto della merce e la documentazione relativa alla vendita, sulla verifica in loco dell’indisponibilità della merce acquistata e di cui non risultava la prova documentale della vendita, sull’assenza di spiegazioni e chiarimenti da parte dell’imputato nella fase amministrativa del procedimento. In tale contesto, la tesi difensiva, secondo cui non erano state effettuate verifiche se la merce fosse entrata o meno nella disponibilità della società e se fosse stata venduta o meno, è del tutto inconsistente.
Il secondo motivo, sul mancato superamento della soglia, è rivalutativo e non si confronta con la motivazione della sentenza della Corte territoriale secondo cui i conteggi del consulente di parte erano incompleti e inaffidabili.
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Il terzo motivo, riguardante il reato dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, è generico. Lo stesso ricorrente ha affermato che «in nessun atto di indagine acquisito al fascicolo del dibattimento, in nessuna dichiarazione resa dai testimoni e in nessuna altra prova assunta, risulta il rinvenimento di fatture della società RAGIONE_SOCIALE diverse da quelle esibite dal tenutario delle scritture contabili», i tal modo ammettendo che delle fatture esistevano ed erano state rinvenute, il che contrasta con la pretesa giustificativa che le scritture contabili non sarebbero mai state tenute e che quindi non sarebbe stato in realtà integrato il reato dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000. In aggiunta, la Corte territoriale ha evidenziato che gli accertatori avevano potuto ricostruire le attività della Metropolis grazie alle fatture e alla documentazione contabile delle società olandesi per cui il mancato rinvenimento delle corrispondenti copie nella contabilità della Metropolis era sicuro indice della distruzione o dell’occultamento. Questa Sezione già ha affermato, in precedenti occasioni, che, siccome la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell’atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell’altra copia presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento (Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, COGNOME, Rv. 274862 – 01).
Infine, il quarto motivo sulla omessa traduzione degli atti provenienti dall’Olanda è inconsistente perché l’obbligo di traduzione è previsto per gli atti giudiziari, non per altri tipi di documenti, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, che ha citato a sostegno di tale interpretazione giuridica la sentenza a Sezioni Unite Espenhahn (sent. n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261111 – 01; si veda altresì per una successiva applicazione, Sez. 5, n. 2707 del 03/10/2019, dep. 2020, Kristo, Rv. 278139 – 01).
Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va, pertanto, rigettato. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso, il 19 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presid4te