Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38633 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38633 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SOVERIA MANNELLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiedeva il rigetto del ricorso
Trattazione scritta
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro, con l’ordinanza emessa in data 12 marzo 2024, confermava l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale con cui era stata applicata a COGNOME NOME la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato del reato di detenzione di un fucile mitragliatore privo di punzonatura.
COGNOME NOME tramite il difensore, AVV_NOTAIO, proponeva ricorso avverso detto provvedimento, articolando tre distinti motivi di doglianza.
2.1 Con il primo motivo lamentava l’erronea applicazione dell’art. 360 cod proc pen.
Secondo il ricorrente, il Tribunale di Catanzaro avrebbe errato nell’affermare – dapprima – che l’esaltazione delle impronte papillari è attività tecnica che non rientra negli accertamenti tecnici irripetibili da eseguirsi con le garanzie di cui all’art. 360 cod. proc. pen. e nel sostenere, poi, che, in ogni caso, nessuna notifica fosse dovuta all’indagato poiché per tale reato si stava procedendo contro ignoti.
Sotto tale profilo, in particolare, avrebbe errato il provvedimento nel sostenere che non vi fossero indizi nei confronti dell’indagato nel momento in cui venne rinvenuta l’arma, poiché tale rinvenimento discendeva dalla perquisizione effettuata presso l’abitazione dello COGNOME.
In ogni caso, anche a volere ritenere che si trattasse di accertamento urgente ai sensi e per gli effetti dell’art. 354 cod proc pen, il difensore della persona indagata avrebbe avuto comunque il diritto di assistere, mentre nello specifico non venne avvisato.
Ribadiva, dunque, l’eccezione di inutilizzabilità dell’accertamento delle impronte papillari.
2.2 Con il secondo motivo lamentava l’erronea applicazione dell’art. 273 cod proc pen in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Rilevava, cioè, la carenza di gravi indizi a carico dell’indagato, poichè le impronte papillari dell’indagato sarebbero state rinvenute non sull’arma, ma sul sacco che la conteneva.
Secondariamente, contestava l’addebito del reato di porto, poiché il luogo in cui è stato trovato il fucile non era luogo pubblico ove potesse avvenire il porto.
La asserita circostanza che si trattasse di un terreno privo di recinzione, infatti, è priva di riscontro probatorio in atti.
2.3 Con il terzo motivo lamentava l’erronea applicazione dell’art. 274 cod proc pen., poiché non avrebbe motivato l’impugnato provvedimento circa l’adeguatezza cautelare della misura degli arresti domiciliari, limitandosi a richiamare una condotta inottemperante alle prescrizioni cautelari tenuta in altro procedimento.
3.Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, concludeva chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
1.1. Quanto al primo motivo, lo stesso è infondato.
Pregiudiziale ad ogni altra è la questione circa l’esatto inquadramento dell’attività tecnica di esaltazione delle pronte papillari, al fine di verificare disciplina applicabile al caso concreto.
L’attività di esaltazione delle impronte digitali mediante tecniche, anche complesse, che utilizzano diverse metodologie e prodotti chimici per la loro individuazione e la successiva evidenziazione e fissazione non è assoggettata alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili, rientrando tra le operazioni di prelievo e messa in sicurezza del reperto, prodromiche all’analisi tecnicocomparativa. (Sez. 5 -, Sentenza n. 15623 del 09/02/2021 Ud. (dep. 26/04/2021 ) Rv. 280907 – 01
Ed ancora, l’attività di individuazione e rilevamento delle impronte dattiloscopico-papillari, ritenute operazioni urgenti non ripetibili di natura meramente materiale, per tale motivo ricomprese nella disciplina di cui all’art. 354, comma secondo, cod. proc. pen. e non in quella concernente gli accertamenti tecnici non ripetibili di cui agli artt. 359 e 360 cod. proc. pen., i qua presuppongono attività di carattere valutativo su base tecnico-scientifica ed impongono il rispetto del contraddittorio e delle correlate garanzie difensive (Sez. 2, n. 45751 del 8/9/2016, Siino, Rv. 268165; Sez. 4, n. 38544 del 25/6/2008, Sparer, Rv. 241022).
La disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili riguarda l’attività di accertamento tecnico probatorio fatta su cose soggette a modificazione, dovendo intendersi tale caratteristica di “modificabilità” sia di per sé (causata dal semplice passaggio del tempo), sia per la tipologia di accertamento svolto sul reperto (che implica la distruzione o la consistente dispersione del reperto o la sua irreversibile alterazione qualitativa).
Diversamente, l’attività operativa di prelievo di campioni, ivi compresa la sua propaggine necessaria quale è, nel caso di specie, l’attività di individuazione dell’oggetto da esaminare, attraverso operazioni di esaltazione chimico-fisica delle impronte, si risolve in un’attività che si connota, certo, per l’adozione di tecniche elaborate e complesse, ma rimane pur sempre nell’ambito della fase di prelievo e messa in sicurezza del reperto, attività quest’ultima che, sebbene possa assumere carattere di irripetibilità, non è coperta dalle garanzie procedimentali previste
dall’art. 360 cod. proc. pen., in combinato disposto con il precedente art. 359, per gli accertamenti irripetibili, le quali si riferiscono – appunto – all’accertamento probatorio, all’esame sul reperto, che nel caso di specie è costituito dall’impronta esaltata.
Come è stato anche osservato, la modalità di acquisizione del campione utilizzata per acquisire ed isolare l’impronta vale a rendere ancor più facilmente ripetibile il successivo accertamento, rispetto al quale va valutata la ripetibilità e che consiste nella sua comparazione, quest’ultima pacificamente ripetibile, poiché l’impronta, siccome esaltata, conserva nel tempo le proprie caratteristiche e può essere sottoposta agevolmente a nuovi, ripetuti esami.
Deve affermarsi, pertanto, che l’attività di esaltazione delle impronte digitali, mediante tecniche anche complesse che utilizzano diverse metodologie e prodotti chimici per la loro individuazione e la successiva evidenziazione e fissazione, costituisce una fase prodromica all’accertamento tecnico-comparativo e rientrante nelle operazioni di prelievo e messa in sicurezza del reperto, sicchè non è assoggettata alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili.
Conseguenza immediata e diretta di tale principio è la non applicabilità all’attività in esame delle garanzie dell’art. 360 cod proc pen, bensì della disciplina degli artt. 354- 356 cod proc pen, in ragione della quale il difensore dell’indagato, pur non avendo alcun diritto ad essere avvisato della effettuazione di tali operazioni, può assistervi.
Ciò comporta che, ai sensi del combinato disposto degli artt, 356 codproc,pen i e 114 disp’ att, cod., proc, pen, la polizia giudiziaria avrebbe dovuto avvisare la persona sottoposta alle indagini, se presente, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Nel momento in cui vennero poste in essere le attività di rilievo ed esaltazione delle impronte papillari non vi era ancora alcun indagato, poiché – come ribadito molto chiaramente nel provvedimento impugnato – COGNOME era stato sottoposto a sequestro per detenzione di sostanze, mentre l’arma era stata rinvenuta in un terreno limitrofo, pertanto, fino all’acquisizione del risultato del confronto delle impronte papillari, nessun elemento neppure indiziario ricollegava tale oggetto all’imputato.
Ciò comporta che, in assenza di persona sottoposta alle indagini, non sorge alcun diritto dell’indagato, non ancora individuato, appunto, all’avviso circa la possibilità di farsi assistere dal difensore.
Nel provvedimento impugnato sono ben chiarite, inoltre, le ragioni per cui al momento del rinvenimento dell’arma e fino all’acquisizione dei risultati delle impronte si stesse procedendo contro ignoti.
1.2 Il secondo motivo è parimenti infondato.
Il fatto che le impronte siano state trovate sul sacco che conteneva l’arma e non sull’arma, considerato che il tutto era sepolto a notevole profondità, è fortemente indiziante, poiché è evidente che chiunque avesse toccato il sacco che avvolgeva l’arma lo aveva fatto non casualmente o accidentalmente, bensì perchè aveva maneggiato l’involucro contenente l’arma per seppellirlo.
Quanto alla natura di luogo pubblico o aperto al pubblico le affermazioni contenute nel provvedimento impugnato non sono superate dai motivi di ricorso: si è affermato che il terreno era liberamente accessibile e il ricorrente non ha confutato con argomentazioni specifiche tale dato di fatto; correlativamente, a fronte di tale elemento oggettivo è corretto il richiamo fatto dal Tribunale di Catanzaro alla pronuncia di questa Corte, secondo cui sussiste il delitto di porto abusivo di arma anche quando il fatto materiale sia commesso su di un terreno o fondo che, ancorché di proprietà privata, consenta l’accesso ad una generalità di persone, per non essere lo stesso completamente ed efficacemente recintato in modo da inibirne l’ingresso. (nella specie si trattava di arma comune da sparo). ( V mass n 146963).* (Sez. 1, Sentenza n. 9959 del 10/05/1982 Ud. (dep. 27/10/1982 ) Rv. 155814 – 01.
1.3 Anche il terzo motivo è infondato.
L’impugnato provvedimento ha fondato la scelta della misura massima sulla violazione del presidio cautelare meno afflittivo imposto al ricorrente in altro procedi mento.
In tema di esigenze cautelari, tra gli elementi rilevanti ai fini della valutazione della sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., possono essere presi in considerazione, oltre che i precedenti risultanti dal certificato penale, anche i procedimenti pendenti a carico dell’indagato, essendo gli stessi idonei a determinare un apprezzamento sulla sussistenza del concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, ove riguardino ipotesi delittuose identiche o similari. (Fattispecie nella quale la Corte annullava il provvedimento cautelare che non aveva considerato tra gli elementi rilevanti ai fini della valutazione del pericolo di reiterazione del reato un’ordinanza cautelare emessa in altro procedimento per episodi delittuosi analoghi, nonché lo stato di latitanza dell’imputato in un terzo procedimento). (Sez. 2, Sentenza n. 7045 del 12/11/2013)
In tema di presupposti per l’applicazione di misure cautelari personali, legittimamente il giudice afferma la sussistenza delle esigenze cautelari facendo riferimento ad elementi desunti da altro procedimento a carico dell’indagato, richiamati negli atti di P.G. utilizzati nel giudizio cautelare, giacché il relativ accertamento, vertendo su una condizione di fatto del tutto indipendente dai gravi indizi di colpevolezza, non soggiace alle regole per la formazione e valutazione
della prova nella fase delle indagini preliminari; né, in tal caso, ricorre alcuna violazione del principio del contraddittorio, atteso che alla difesa è garantita la possibilità di dedurre elementi concreti dai quali escludere la sussistenza di altri procedimenti, ovvero comunque la loro rilevanza. (Sez. 2, Sentenza n. 33544 del 21/06/2017)
Del tutto legittimamente, dunque, il provvedimento impugnato ha tratto argomenti di segno contrario alla adeguatezza cautelare degli arresti domiciliari dal pregresso, cioè da condotte inosservanti delle prescrizioni attinenti a misura meno afflittiva applicata in diverso procedimento.
Tale determinazione, oltre che in linea con il costante orientamento di questa corte, ha una sua logica giustificativa.
E’ evidente, infatti, che l’attitudine di un soggetto all’autocustodia, ovvero alla osservanza non coartata delle prescrizioni cautelari può essere desunta e valutata indipendentemente dal procedimento in cui si manifesta.
Il ricorso deve dunque essere rigettato e il ricorrente condannato alle spese processuali; lo stato detentivo del ricorrente impone la comunicazione ai sensi dell’art. * 94 co.1 ter disp. att. cod. proc. pen.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria ai sensi dell’art. 94 co. 1-ter disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 5 settembre 2024
Il Consigliere estensore