Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17286 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17286 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Pistoia il 24/12/1956, avverso l’ordinanza in data 10/07/2024 del Giudice del Tribunale di Pistoia, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 10 luglio 2024 il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Pistoia ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME di sospensione dell’ordine di demolizione disposto con sentenza n. 135 del 2017 del Tribunale di Pistoia per mancanza del provvedimento di sanatoria.
Il ricorrente eccepisce con il primo motivo il vizio di motivazione perché il Giudice dell’esecuzione non aveva formulato una prognosi sul provvedimento di sanatoria, ancorché dalla relazione della polizia municipale non fossero emersi elementi che presagissero il diniego e fossero emersi invece elementi relativi alla definizione prossima del procedimento amministrativo; con il secondo motivo la violazione di legge perché, in pendenza di un’istanza volta alla sanatoria degli
abusi, si determinava una temporanea inefficacia dell’ordinanza di demolizione fino all’adozione del provvedimento definitivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Giudice dell’esecuzione ha accertato che la pratica di sanatoria non era stata definita, che il ripristino era stato parziale e che nel corso dello stesso era stato commesso un nuovo abuso. La ratio decidendi risiede dunque nell’assenza della sanatoria, ma «soprattutto» nella presenza del nuovo abuso.
Il ricorso, tutto concentrato sull’assenza della prognosi valutativa della sanabilità e sulla necessità di attendere la sanatoria prima di disporre la demolizione, non supera il vaglio di ammissibilità perché non confuta la circostanza di fatto della commissione di un nuovo abuso, ciò che ha ragionevolmente indotto il Giudice a escludere l’esito positivo della sanatoria in corso.
E’ pacifico in giurisprudenza che la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall’insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni (tra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4070/2023). Ne deriva che la successiva trasformazione abusiva del manufatto, già oggetto di condono, legittima, sul piano amministrativo, il diniego di concessione della sanatoria, perché non consente all’Amministrazione di verificare l’effettiva corrispondenza tra le opere abusivamente realizzate e quelle descritte nella domanda di condono, per cui il Comune non può pronunciarsi più sulla domanda di condono e rilasciare il relativo titolo, ma è tenuto a sanzionare le opere con l’ordine di demolizione (ex plurimis, Tar Ancona n. 342/2024, Tar Palermo n. 155/2024, Tar Napoli n. 4300/2023) e, sotto il profilo penale, la configurazione di una nuova condotta illecita, a prescindere dall’entità dei lavori eseguiti e anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine di prescrizione, atteso che i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di illegittimità dall’ope principale alla quale strutturalmente ineriscono (Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282162 – 01).
Il ricorrente non ha colto tale profilo decisorio e non ha allegato alcun elemento in suo favore per dimostrare la sicura sanabilità degli abusi oggetto dell’ordine di demolizione.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via
equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 5 dicembre 2024
Il Consigliere estensore