Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37918 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37918 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 novembre 2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia del 31/5/2023 del Tribunale di Napoli con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 1.200,00 di multa per i reati, unificati ex art. 81 c.p., di cui all’art. 44, lett. e ) D.P.R. 380/2001 e all’art. 349, comma 2, c.p., per aver realizzato un’operav abusiva e averne successivamente violato i sigilli, previa concessione delle attenuanti generiche.
Avverso tale sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per tassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 44, lett. b), D.P.R. 380/2001. Il ricorrente lamenta che i giudi di merito non avrebbero accertato l’effettivo aumento del carico urbanistico, elemento che si assume necessario per la configurabilità del reato in assenza di
un aumento volumetrico, non risultando valutabile “una struttura precaria aperta su tre lati” in termini di volumetria. La motivazione delle sentenze di merito sarebbe, a detta della difesa, carente in quanto fondata unicamente sul verbale di sequestro, senza approfondire gli specifici indicatori tecnici idonei a dimostrare l’aggravamento del carico urbanistico.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in riferimento agli artt. 132 e 133 c.p., con riguardo alla determinazione della pena. Si duole della presunta illogicità e apparenza della motivazione sia per la determinazione della pena base, sia per l’aumento applicato a titolo di continuazione, sostenendo che il mero richiamo ai criteri di cui all’ar 133 c.p. non assolverebbe all’obbligo motivazionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è articolato in motivi non consentii in sede di legittimità manifestamente infondati.
Occorre premettere che, secondo consolidato orientamento di questa ,guprema Corte, le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado, laddove conformi, si integrano a vicenda, costituendo un unicum inscindibile. La Corte di appello, infatti, può legittimamente richiamare la motivazione della sentenza di primo grado, purché fornisca una risposta adeguata alle censure mosse con l’atto di gravame, come avvenuto nel caso di specie. La sentenza impugnata ha infatti espressamente dichiarato di condividere “integralmente la analitica ricostruzione dei fatti e l’ampia e critica motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado”, procedendo poi a confutare puntualmente i motivi di appello.
Tanto premesso, va osservato che il primo motivo di ricorso, sotto l’apparente veste del vizio di violazione di legge e di motivazione, si risolve in una richiesta di rivalutazione del compendio probatorio, preclusa in sede di legittimità.
La Corte territoriale ha fornito una motivazione logica e coerente, immune da vizi manifesti, nel qualificare l’opera realizzata dall’imputato. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito non hanno omesso di valutare la natura e la consistenza del manufatto. La sentenza impugnata ha evidenziato, sulla base degli accertamenti della polizia giudiziaria, che l’opera non era affatto precaria, ma una “costruzione abusiva estesa per una superficie complessiva di 80 mq corredata, per quel che qui in particolare rileva, da cucina, camere da letto, servizi e arredi parziali, così assumendo evidentemente i caratteri della solidità e dell’immobilizzazione rispetto al suolo”.
Inoltre, la Corte d’appello ha correttamente sottolineato come la stessa sentenza del giudice civile richiamata dalla difesa avesse classificato l’opera come
“vero e proprio stabile” che “ha inglobato tutto lo spazio volumetrico precedentemente libero”.
2.1 A fronte di tali elementi, che attestano una trasformazione edilizia permanente e la creazione di nuova volumetria e superficie residenziale, la doglianza relativa alla mancata dimostrazione dell’aumento del carico urbanistico si rivela, oltre che generica e astratta, smentita dai dati di fatto valorizzati da giudici di merito. Il ricorrente, in ogni caso, non denuncia una manifesta illogicità del ragionamento del giudice, ma si limita a contrapporre la propria interpretazione delle risultanze processuali a quella, del tutto plausibile, recepita nella sentenza impugnata, sollecitando un riesame del merito non consentito in questa sede.
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La doglianza relativa alla presunta carenza motivazionale in ordine al trattamento sanzionatorio non trova riscontro nel provvedimento impugnato. La Corte di appello ha fornito una giustificazione adeguata e non meramente apparente delle proprie scelte.
In primo luogo, ha precisato che la concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura equivalente all’aggravante contestata era finalizzata proprio ad “adeguare la sanzione alla reale portata offensiva del fatto illecito commesso”.
In secondo luogo, e in modo dirimente, ha esplicitato con chiarezza il calcolo effettuato per giungere alla pena finale, confutando la lamentela difensiva circa la scarsa chiarezza del computo:
“L’aumento a titolo di continuazione risulta agilmente individuabile: partendo da mesi sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa come risultante dal giudizio di equivalenza tra attenuanti ed aggravanti, è stato disposto un congruo aumento di mesi due di reclusione ed euro 200,00 di multa a titolo di continuazione tra reati, giungendo alla pena finale, di mesi otto di reclusione ed euro 1.200,00 di multa, che il Collegio ritiene pienamente congrua e aderente al disvalore del fatto”.
Tale percorso argomentativo soddisfa pienamente l’obbligo di motivazione. Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la graduazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di eassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142). Inoltre, quando la pena si attesti in misura non troppo distante dal minimo, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo:
“pena congrua” o “pena equa” (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36103 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255153), mentre «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quanti di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superi alla misura media di quella edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, non mass. sul punto).
Nel caso di specie la pena base per il più grave reato coincide con il min edittale ed anche l’aumento di pena per il reato satellite è estremame contenuto.
La motivazione della Corte territoriale, che ha ritenuto la pena “congrua equamente determinata in ragione di un criterio di proporzione rispetto al effettiva gravità della condotta”, così fornendo un giudizio sintetico ma comple ancorato alla gravità del fatto e all’iter logico-giuridico seguito, si sottrae, a qualsiasi censura di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. A declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condan ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa dell ArT1 mende
Così deciso il 19/9/2025