Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37936 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37936 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Futani il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/02/2024 della Corte d’appello di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Salerno, con sentenza emessa in data 16 febbraio 2024, ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Vallo della Lucania con la quale COGNOME NOME era stata ritenuta responsabile dei reati di cui all’art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, perché quale proprietario e committente, su terreno sottoposto a vincolo paesaggistico e ambientale, ex d.lvo n. 42 del 2004, rientrante nella perimetrazione del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano e in zona sismica, realizzava opere abusive consistenti in un vano seminterrato adibito
a deposito ed un corpo aggiunto di mq. 35, una struttura costituita da cinque pilastri e due muri perimetrali con sovrastante solaio per una superficie di circa m. 36, una struttura costituita da tre pilastri e un muro perimetrale in c.a. con sovrastante solaio per una superficie di mq. 27,50, una struttura mista in muratura adibita a cucina chiusa dotata di due finestre per mq. 31,20, una scala di collegamento, una recinzione, un cancello di ferro e opere di sistemazione esterna (capo A); di cui all’art. 181 comma 1 del d.lvo n. 42 del 2004 per avere realizzato le opere sopra indicate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale in assenza di autorizzazione (capo E), in violazione delle prescrizioni antisismiche e in violazione delle disposizioni sul conglomerato cementizio (artt. 64-71, 65-72 e 93,94-95 d.P.R. n. 380 del 2001) capi B), C) e D), e senza preventivo nulla osta dell’Ente Parco (art. 13 e 30 legge n. 394 del 1991) capo G). Fatti commessi fino al 12 novembre 2019.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata a mezzo del difensore di fiducia e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi.
Violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. c) cod.proc.pen., violazione della legge processuale e del diritto di difesa in quanto la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, individua in quaranta e non più in venti giorni il termine a comparire nel giudizio di appello.
-Violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione al diniego di riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. La Corte di appello avrebbe immotivatamente escluso l’applicabilità del beneficio per non avere “considerato prevalenti i parametri della non abitualità del comportamento e dell’esigua consistenza dell’intervento, che non avevano determinato un’alterazione rilevante dell’ambiente circostante”. Argomenta la ricorrente che, in presenza di reato permanente, non si potrebbe ritenere la reiterazione delle condotte che preclude l’applicazione dell’art. 131 bis cod.pen. in quanto comportamento abituale, e comunque che per le opere realizzate sarebbe pendente una domanda di condono e per alcune opere vi sarebbe il permesso a costruire.
Violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) e c) cod.proc.pen. e mancato rilievo della prescrizione dei reati avendo errato la Corte d’appello nel ritenere che la commissione dei reati fosse avvenuta in prossimità del 31/03/2016 tenuto conto che al momento dell’accesso i militari non davano atto di lavori in corso.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione di violazione della norma processuale, sollevata con il primo motivo di ricorso, è stata recentemente decisa, all’udienza del 27 giugno 2024, dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione le quali hanno stabilito che la disciplina dell’art 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile soltanto agli atti d’impugnazione proposti a far data dal 1° luglio 2024.
Pertanto, all’epoca di proposizione dell’atto di appello era vigente il pregresso regime normativo, che prevedeva il più breve termine a comparire di venti giorni che risulta essere stato osservato e di ciò neppure dubita la ricorrente.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato ed anche privo di specificità estrinseca non coniugandosi con le ragion i della decisione.
Il diniego di riconoscimento della speciale causa di non punibilità è stato argomentato in ragione dell’esclusione della particolare tenuità dell’offesa derivante dalla pluralità delle violazioni in materia edilizia, paesaggistica e antisismica, ratio decidendi in conformità dei principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità. Non viene qui in rilievo la diversa tematica della compatibilità della caus di non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis cod.pen. con il reato permanente, come deduce la difesa, ma la congruità della motivazione spesa dalla corte territoriale per il diniego di riconoscimento della speciale causa di non punibilità stante la pluralità d violazioni in materia edilizia, paesaggistica e antisismica.
Sul punto, questo Collegio ribadisce che, ai fini della applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen., nel caso in cui siano state violate più disposizioni di legge (urbanistiche, antisismiche e in materia di conglomerato c.a.), non possa ritenersi di particolare tenuità, avuto riguardo all’offensività complessiva della condotta derivante dalla violazione di più disposizioni della legge penale, pur a fronte dell’unicità naturalistic del fatto, (Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, Mancuso, Rv. 266586).
La sentenza impugnata mostra di avere fatto corretta applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e con motivazione congrua ha escluso la particolare tenuità dell’offesa in ragione della violazione di leggi (urbanistiche paesaggistiche e antisismiche e in materia di conglomerato c.a.) in un contesto nel quale anche dell’entità delle opere, come descritte nel capo di imputazione, è elemento significativo della non particolare tenuità dell’offesa.
In particolare, la Corte di appello ha considerato non particolarmente tenue, con motivazione congrua, la condotta consistente nella realizzazione di opere edilizie senza autorizzazione paesaggistica, senza redazione di un progetto, senza la
denuncia allo sportello unico, senza deposito di progetti esecutivi e in difetto di null osta paesaggistico”, per cui “le condotte tenute si connotavano di gravità attesa la contestuale violazione di più norme e il danno prodotto all’ambiente, rappresentato dalla realizzazione di opere consistenti, in grado di comportare una rilevante modifica dell’assetto del territorio” (cfr. pag. 6).
Ora, il riferimento all’esistenza di una istanza di condono e di un permesso a costruire di alcune opere, che peraltro la stessa ricorrente riferisce essere state realizzata in difformità, non vale a elidere il giudizio di gravità dell’offesa co argomentato dai giudici territoriali.
Va ancora rilevato che, ai fini dell’applicazione della speciale causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen., la norma richiede, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, prim comma, cod. pen, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Al giudice, pertanto, spetta di rilevare se, sulla base dei due “indici-requisiti della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., comma 1, sussista la particolare te dell’offesa e, poi, che con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento, sicchè l’esclusione del primo requisito rende superflua la valutazione del secondo. Il motivo risulta, pertanto, manifestamente infondato.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile perché manifestamente infondato.
Come è noto, il reato urbanistico al pari del reato paesaggistico, hanno natura permanente e la loro consumazione, che ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione, perdura fino alla cessazione dell’attività edilizia abusiva (Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso, Rv. 261916), momento nel quale inizia a decorrere il termine di prescrizione.
La cessazione dell’attività, come ricorda la giurisprudenza, coincide con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera (Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351), con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio mediante sequestro penale (Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, P.G. in proc. Quartieri e altri, Rv. 265626), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n.
29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498). Dunque, ciò che rileva, e che deve essere rigorosamente provato o risultare dagli atti, è che l’attività antigiuridica sia cessata e il momento in cui la stessa si è verificata, momento a partire dal quale decorre il termine quinquennale di prescrizione trattandosi di reati contravvenzionali.
Nel caso di specie, dal testo del provvedimento impugnato, emerge che il dies a quo è stato individuato nel dicembre 2019 (più correttamente avuto riguardo alla contestazione all’epoca del sequestro in data 12/11/2019) e che “l’anticipazione della data di commissione dei fatti, dedotta dalla difesa, non risulta affatto dimostrata, atteso che nessun elemento diverso da quelli acquisiti è stato offerto dal difensore” (cfr. pag. 5).
La ritenuta genericità del motivo di appello non è, ora, superata nel ricorso per cassazione che non si confronta e non allega alcun elemento per individuare un diverso momento di cessazione della permanenza, risolvendosi in una prospettazione meramente fattuale tesa ad una rivalutazione del fatto invocando l’applicazione del termine di cessazione della permanenza più risalente.
In assenza di diversa indicazione della data di cessazione della permanenza, che non viene allegata nel ricorso, questa deve essere mantenuta, come correttamente indicato nelle sentenze di merito, al momento del sequestro del 12/11/2019, dunque, il reato non è a tutt’oggi prescritto (si prescriverà tenuto conto che il corso della prescrizione è stato sospeso per giorni 427 (dal 01/03/2022 al 28/06/2022 e dal 28/06/2022 al 02/05/2023 per istanza del difensore) al 13/01/2026.
Conclusivamente, in ragione dell’infondatezza del primo motivo di ricorso, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processual i.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 03/10/2024