Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16090 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16090 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
collegamento tra abitazione in uso al ricorrente e ampliamento abusivo conferma la circostanza che esso ricorrente non avesse alcun ruolo attivo in tale intervento.
5.3 Con il terzo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione e falsa applicazione delle disposizioni in tema di prescrizione dei reati contravvenzionali.
Lamenta la difesa che le circostanze oggetto di contestazione sono state accertate in data 24/03/2021, momento nel quale non vi erano lavori in corso, nØ fu riscontrata la presenza di materiali, per cui il concetto di recente realizzazione, affermato dal tecnico comunale nella sua deposizione, appare un concetto aleatorio che, in ossequio al principio del favor rei, non può legittimamente trovare operatività in mancanza di dati obiettivi.
5.4 Con il quarto motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, travisamento dei fatti.
Lamenta la difesa la subordinazione della sospensione condizionale della pena irrogata alla demolizione delle opere, senza tener conto che il ricorrente non avesse la disponibilità materiale e giuridica del bene da demolire, anche perchØ la demolizione della parte esterna dell’abitazione del ricorrente non può essere rimossa, senza la previa rimozione della parte collocata a valle e in aderenza in titolarità di NOME COGNOME e sostiene che tale onere poteva, tutt’al piø, essere posto esclusivamente a carico di NOME COGNOME proprietario e committente dell’opera oggetto di contestazione.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME, con la quale si precisa che la subordinazione della sospensione condizionale della pena posta indifferentemente a carico di tutti i soggetti condannati, anzichØ sul solo soggetto che la disponibilità materiale del bene, Ł illegittima, poichØ finisce con l’imporre a carico di tutti un obbligo di demolizione complessiva di tutti gli abusi, anche se realizzati da terzi e in zone di cui gli stessi non hanno la materiale disponibilità, senza, quindi, operare una corretta individuazione delle singole posizioni. La sanzione accessoria della demolizione deve gravare, infatti, giocoforza, sui soggetti che hanno la disponibilità materiale del bene, e la difesa sostiene che il ricorrente non Ł in grado di adempiere alla condizione imposta, sia perchØ non Ł proprietario del bene, ma ne Ł mero detentore materiale, sia perchØ le opere abusive sono strutturalmente connesse ad abusi realizzati da coimputati e non autonomamente demolibili senza intervento congiunto e coordinato, sia perchØ la demolizione richiederebbe l’accesso a parti dell’immobile nella disponibilità esclusiva di altri soggetti, considerato che l’abuso riscontrato in corrispondenza dell’unità abitativa del piano terra ed a tale unità collegato non Ł nella disponibilità del ricorrente, bensì di NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo dei ricorsi presentati da NOME e NOME COGNOME nonchØ il primo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME, tra loro sovrapponibili, sono infondati.
Occorre permettere che la norma di riferimento per il rito cartolare vigente al momento in cui Ł intervenuta la decisione della Corte di appello di Napoli, in questa sede impugnata, Ł l’art. 23-bis, comma 2, del dl. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Detta norma prevede che: entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati; la cancelleria invia l’atto immediatamente,
per via telematica, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica.
Tanto premesso, nel caso in esame, il Procuratore generale ha depositato le proprie conclusioni nel giudizio di appello tardivamente, ovverosia il 03/06/2024 (conclusioni trasmesse alle difese nello stesso giorno), a fronte dell’udienza di discussione fissata il 07/06/2024, quando le conclusioni della difesa degli imputati erano state già depositate in data 31/05/2024 ed era comunque scaduto il termine di cinque giorni prima dell’udienza normativamente concesso ai difensori delle altre parti; nella situazione così descritta la difesa degli imputati non ha indicato il pregiudizio specifico che la tardività delle argomentazioni contenute nelle conclusioni del Procuratore generale le avrebbe generato.
In realtà, del contenuto concreto degli argomenti spesi nelle conclusioni del Procuratore generale non parlano mai nØ il ricorso, nØ la sentenza impugnata che si limita a riportare che, con le conclusioni scritte, il Procuratore generale ha chiesto la conferma della sentenza appellata.
Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si sono formati piø orientamenti sulle conseguenze del mancato deposito, o del deposito tardivo, delle conclusioni del Procuratore generale nel rito d’appello c.d. cartolare dell’art. 23-bis d.l. n. 137 del 2020, applicabile per le impugnazioni proposte sino al 30/06/2024, ai sensi dell’art. 95, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2022.
Secondo un indirizzo di legittimità nessuna nullità può esservi per il mancato deposito delle conclusioni del Procuratore generale, in quanto la nullità non Ł prevista da una norma speciale, e neanche può essere ricavata dalla norma generale dell’art. 178 cod. proc. pen., atteso che, trattandosi di procedimento camerale con contradditorio cartolare, la partecipazione del Procuratore generale Ł solo eventuale. E se non integra motivo di nullità la mancata partecipazione al procedimento del Procuratore generale, non la integra neanche la partecipazione tardiva, mediante deposito delle conclusioni oltre i termini: il deposito tardivo delle conclusioni ha una sanzione al proprio interno, in quanto esime semplicemente il giudice dall’obbligo di prenderle in esame, circostanza che impedisce di configurare la esistenza di un pregiudizio per l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza in giudizio dell’imputato, che anzi ha potuto beneficiare della possibilità di presentare conclusioni nel giudizio di appello senza avere un contraddittore (così, Sez. 1, n. 16826 del 20/03/2024, COGNOME n.m.; nello stesso senso, Sez. 5, n. 7088 del 20/12/2024, dep. 2025, COGNOME n.m.; Sez. 5, n. 8131 del 24/01/2023, D., Rv. 284369; Sez. 1, n. 14766 del 16/03/2022, COGNOME, Rv. 283307).
Altro indirizzo, pur ribadendo che la trasmissione non immediata delle conclusioni del P.G. presso la Corte di appello al difensore dell’imputato non integra di per sØ una violazione del diritto di difesa, in ragione del carattere tassativo delle nullità e dell’assenza di una sanzione processuale per tale ipotesi, ed esime il giudice dall’obbligo di prenderle in esame, sostiene comunque che il ricorrente ha l’onere di specificare il concreto pregiudizio alle ragioni della difesa derivato dal ritardo, come – a titolo esemplificativo – la necessità di approfondimenti per la laboriosità delle imputazioni o per la complessità delle tesi avversarie (Sez. 7, n. 32812 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 285331; Sez. 6, n. 30146 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285040; Sez. 2, n. 34914 del 07/09/2021, COGNOME, Rv. 281941).
Del resto, alla conclusione che il tardivo deposito delle conclusioni impedisce di tener conto delle conclusioni del pubblico ministero ai fini della decisione accedono anche alcune delle pronunce secondo cui il mancato rispetto dei termini per la formulazione, da parte del pubblico ministero, delle conclusioni nel giudizio di appello, previste dall’art. 23-bis, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, integra un’ipotesi di nullità generale a regime intermedio, affermandosi, al riguardo, che l’unica ipotesi in cui l’imputato potrebbe in astratto dolersi del mancato rispetto del termine di deposito delle
conclusioni del Procuratore generale Ł quella in cui ciò influisca sull’esercizio del suo diritto di difesa, sicchØ la relativa censura deve indicare, specificamente, in che termini le conclusioni intempestive abbiano avuto un’effettiva incidenza rispetto all’esito del giudizio (Sez. 6, n. 22919 del 24/04/2024, P., Rv. 286664).
Alle considerazioni che precedono consegue, pertanto, che, quale che sia l’indirizzo al quale si aderisce, l’unica ipotesi in cui l’imputato potrebbe in astratto dolersi del mancato rispetto del termine di deposito delle conclusioni del Procuratore generale Ł quella in cui tale evenienza leda il suo diritto di difesa e la relativa doglianza espliciti in modo specifico il pregiudizio subito (così, Sez. 5, n. 7088 del 20/12/2024, dep. 2025, COGNOME, cit.; Sez. 6, n. 22919 del 24/04/2024, P., cit., afferma, in proposito, che la tardività del deposito può rilevare nei limiti in cui risulti che le conclusioni non siano consistite in una generica richiesta di conferma della sentenza impugnata, bensì abbiano assunto un contenuto ulteriore e tale da condizionare l’esito del giudizio di appello).
Nel caso in esame, in cui Ł stato dato atto, nella sentenza impugnata, che le conclusioni del Procuratore generale sono consistite in una richiesta di semplice conferma della sentenza impugnata, non Ł stata articolata la prospettazione di uno specifico pregiudizio del diritto di difesa, sicchŁ le doglianze mosse devono ritenersi infondate.
Il terzo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME nonchØ il quarto motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME e il terzo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME, tra loro sovrapponibili, sono manifestamente infondati.
Sul punto occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte, declinato con riferimento agli immobili destinati ad uso abitativo, in forza del quale l’ultimazione edilizia coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni dell’opera (Sez. 3, n. 33821 del 17/09/2020, COGNOME, Rv. 280575; Sez. 3, n. 46215 del 03/07/2018, N., Rv. 274201; Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153), la quale, prima di tale evenienza, deve ritenersi ancora in fase di realizzazione e di completamento, tanto che il reato urbanistico versa in una fase di perdurante consumazione, posto che la permanenza di esso cessa con l’ultimazione dei lavori del manufatto, in essa comprese le rifiniture (Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Martina, Rv. 275900), sempre che, per qualsiasi causa, volontaria (utilizzo abitativo del bene comprovato dalla attivazione delle utenze necessarie) o imposta (ad esempio, sequestro del manufatto), non cessino o vengano sospesi i lavori abusivi (Sez. 3, n. 3067 del 08/09/2016, dep. 2017, P.G. in proc. COGNOME e altri, Rv. 269022).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, essendo stata accertata – sulla base della testimonianza del funzionario comunale – la circostanza che, al momento del sopralluogo, i lavori non erano stati completati, in ragione della mancanza della ringhiera alla loggia del primo piano e dell’assenza di infissi all’ampliamento del secondo piano, così comprendendosi che gli interventi erano prossimi perchØ non ancora completati.
Tale accertamento di fatto, ampiamente motivato, insuscettibile di sindacato in sede di giudizio di legittimità, comprova che il momento di consumazione del reato deve farsi coincidere, nel caso in esame, con quello dell’accertamento, eseguito il 24/03/2021.
NØ vale obiettare, come fanno i ricorrenti, che le testimonianze addotte a difesa avevano affermato che le opere oggetto di contestazione, nella esatta consistenza accertata il 24/03/2021, erano state eseguite nell’estate dell’anno 2018, avendo la Corte di merito ritenuto non conducente la testimonianza del teste a difesa poichØ, pur avendo affermato che i lavori ebbero inizio nell’estate del 2018, non aveva poi indicato, con sufficiente precisione, l’epoca della loro ultimazione, rimanendo così non assolto l’onere probatorio gravante sugli imputati (Sez. 3, n. 676 del 21/09/2023, dep. 2024, My). Resta pertanto insuperata e logicamente non sovvertibile l’informazione probatoria che ne trae la Corte di appello in ordine alla permanenza del reato al momento al
momento del sopralluogo degli accertatori.
Il terzo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME ed il secondo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME, da esaminare congiuntamente perchØ finalizzati a contestare la loro qualità di committenti dei lavori abusivi, sono manifestamente infondati.
La Corte di appello ha confermato la responsabilità di NOME e NOME COGNOME, affermando, quanto all’ampliamento abusivo eseguito al primo piano (realizzazione di una loggia avente impegno planimetrico di 10 metri quadrati, in continuità alla loggia preesistente), che detto ampliamento era collegato all’appartamento in uso a NOME COGNOME, dal quale si accedeva alla loggia tramite una porta-finestra, sicchŁ sarebbe stata proprio NOME COGNOME a beneficiare dell’abuso; mentre, quanto all’ampliamento abusivo realizzato al secondo piano (avente impegno planimetrico di otto metri quadrati, per una volumetria di circa ventuno metri quadrati), che detto ampliamento era collegato all’appartamento in uso a NOME COGNOME dal quale si sarebbe acceduto all’ampliamento una volta realizzato il necessario collegamento, sicchŁ il beneficio sarebbe andato, in questo caso, a vantaggio di NOME COGNOME.
Alla luce delle esposte argomentazioni, in assenza di denunzia di travisamento delle prove poste a fondamento delle richiamate affermazioni dei giudici di merito, i motivi di ricorso non colgono nel segno, poichŁ, sulla base di una risalente, e tuttora valida e ribadita, giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, per committente deve intendersi, ai fini della disciplina urbanistica, chiunque concretamente si adoperi, indipendentemente dall’assunzione di vincoli formali consacrati in stipulazioni contrattuali, a realizzare l’opera abusiva, con la conseguenza che risponde penalmente della esecuzione di opere che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio anche chi, pur non essendo proprietario del suolo, e quindi non legittimato a chiedere il titolo abilitativo, abbia comunque realizzato le opere non autorizzate (Sez. 3, n. 21975 del 17/03/2016, COGNOME, Rv. 267107; Sez. 3, n. 6274 del 25/11/1987, dep. 1988, COGNOME, Rv. 178451; Sez. 6, n. 11712 del 03/05/1978, Cascia, Rv. 089435).
Va, infatti, ricordato che, ai fini della consumazione dei reati in materia edilizia, qualificati come reati comuni e non come reati a soggettività ristretta, non Ł necessario il diritto di proprietà o la titolarità di diritti reali sull’immobile o sull’area di sedime, individuando l’art. 29, del d.P.R. n. 380 del 2001, oltre la figura del titolare del permesso di costruire, quando rilasciato, e del direttore dei lavori, quando nominato, quelle del “committente” e del “costruttore dei lavori”, in tal modo prediligendo situazioni fattuali che ampliano la sfera delle responsabilità a chiunque si sia ingerito, anche solo di fatto, nella realizzazione dei lavori, al di là e oltre eventuali qualifiche o rapporti formali (Sez. 3, n. 38492 del 19/05/2016, Rv. 268014; nello stesso senso, di recente, Sez. 3, n. 9073 del 25/11/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.). Committenza o autori diretti, delle opere abusive, non necessitano, in sede penale, di qualifiche formali o situazioni giuridiche soggettive riconosciute in altri rami dell’ordinamento e ad esse preesistenti. Si può essere committenti o autori materiali delle opere senza essere proprietari del bene o senza avere con esso un rapporto giuridicamente qualificato. E’ fenomeno, del resto, che il legislatore ben conosce e disciplina (artt. 936, 937 cod. civ.). Quel che conta Ł la disponibilità materiale del bene di proprietà altrui oggetto di intervento (Sez. 3, n. 43608 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 265159; nello stesso senso, di recente, Sez. 3, n. 16953 del 19/01/2022, COGNOME, non mass.). Ed Ł stato, al riguardo, correttamente ritenuto che Ł il possesso inteso in senso civilistico, quale potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 cod. civ.), ad esprimere meglio di ogni altra la situazione di dominio effettivo sul bene (Sez. 3, n. 24138 del 27/04/2021, Ottavi, Rv. 281540) che, unitamente all’interesse alla realizzazione dell’abuso, validamente esprimono il dominio finalistico dell’azione.
Pertanto, tenuto conto della disponibilità, pacificamente accertata, in capo ai ricorrenti, degli appartamenti collegati agli ampliamenti abusivi, e dell’interesse al mutamento di un bene che normalmente corrisponde a quello di chi abita l’immobile cui tale mutamento Ł correlato, deve allora concludersi che sono tutt’altro che illogici gli elementi dai quali i Giudici di merito hanno tratto il convincimento della committenza delle opere abusive da parte dei ricorrenti.
4. Il quarto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME Ł infondato.
Il Tribunale ha infatti subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nei confronti di tutti gli imputati, alla riduzione in pristino dei luoghi entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
La Corte territoriale ha confermato la statuizione sul punto, respingendo le censure dell’appellante, rilevando che NOME COGNOME aveva la disponibilità materiale dell’ampliamento che accede all’abitazione in cui egli abita con il suo nucleo familiare.
Preliminarmente, va in questa sede ricordato che la giurisprudenza di legittimità riconosce ormai pacificamente, in tema di disciplina urbanistica, la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, alla luce della circostanza che tale ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, rappresentate dalla presenza sul territorio di un manufatto abusivo (Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/05/2013, Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007, Rv. 237825; Sez. 3, n. 4086 del 17/12/1999, Rv. 216444). Analoghi principi sono stati affermati quanto alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione in pristino ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 48984 del 21/10/2014, Rv. 261164; Sez. 3, n. 38739 del 28/05/2004, Rv. 229612).
Tali principi, tuttavia, riguardano il proprietario o comunque colui che materialmente ha eseguito le opere e ne dispone e che per queste ragioni può provvedere all’adempimento della condizione apposta al beneficio; per gli altri soggetti, pur se coinvolti nella realizzazione dell’opera abusiva, la possibilità di adempiere sarebbe subordinata alla volontà del proprietario.
La Corte di cassazione ha in piø occasioni rilevato che la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’ordine di demolizione, sebbene in sØ legittima, richiede tuttavia la condizione che l’eliminazione delle opere abusive sia esigibile da parte del condannato, ovvero che questi abbia la disponibilità giuridica del bene da demolire (Sez. 3, n. 41051 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 264976; Sez. 3, n. 42566 del 07/06/2019, COGNOME, non mass.). Sullo stesso tema, Ł stato altresì affermato che il giudice, nel disporre la condanna dell’esecutore dei lavori e/o del direttore dei lavori per il reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, non può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla effettiva eliminazione delle opere abusive, in quanto solo il proprietario, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, può ritenersi soggetto passivamente legittimato rispetto all’ordine di demolizione (Sez. 3, n. 17991 de 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261497; Sez. 3, n. 41051 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 264976, cit.). Ed ancora, in perfetta coerenza con i principi esposti, Ł stato affermato (Sez. 3, n. 41586 del 15/10/2021, Mantova, Rv. 28279) che l’ordine di demolizione può essere emesso nei soli confronti del proprietario delle opere abusive o di colui che, disponendone materialmente, Ł in condizione di adempiere, ma non può essere disposto nei confronti di soggetti, quali il direttore dei lavori o gli esecutori materiali, che abbiano concorso alla realizzazione del reato in virtø di un rapporto obbligatorio con il titolare del diritto reale o del potere di fatto sul terreno o sull’immobile preesistente, in quanto tale rapporto personale risulta autonomo rispetto a quello che lega all’opera abusivamente realizzata il
proprietario o il committente (nello stesso senso, Sez. 3, n. 4758 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.).
Nel caso di specie, pertanto, come precisato dalla Corte territoriale a pagina 8 della sentenza, la decisione di subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi risulta corretta nei confronti di NOME COGNOME relativamente all’ampliamento abusivo collegato all’appartamento sito al secondo piano dell’edificio, poichØ detta unità immobiliare, seppur in proprietà di NOME COGNOME, Ł abitata dal ricorrente e dal suo nucleo familiare, ed Ł, dunque, nella sua disponibilità giuridica e di fatto; in tali termini Ł stato, pertanto, dalla Corte di merito, correttamente delimitato e circoscritto all’abusivo ampliamento che accede all’abitazione familiare di NOME COGNOME l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi posto a carico del predetto ricorrente.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME