Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37512 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37512 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria
di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 02/12/2024, la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza emessa in data 19/6/2023 dal Tribunale di Catania – con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati dichiarati responsabili dei reati di cui agli artt. 44 lett. b) – 64,65,71,72 – 93 e 94, d.P.R. n. 380/2001. condannati alla pena di giustizia- rideterminava la pena in mesi tre di arresto ed euro 8.300,00 di ammenda, confermando nel resto.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, articolando cinque motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deducono violazione di legge in relazione agli artt. 157,159 e 160 cod.pen.
Argomentano che, pur tenendo conto della sospensione del termine di prescrizione pari a 248 giorni, i reati contestati erano prescritti; in particolare, termine di prescrizione decorreva dal 19.4.2017- momento di sottoscrizione del contratto per la fornitura dell’acqua da parte di COGNOME NOME– e maturava in data 27/12/2022; anche a voler considerare quale dies a quo la data di accertamento del fatto da parte dell’autorità giudiziaria- 7/7/2018 – il termine era, comunque maturato il 15/3/2024.
Con il secondo motivo deducono violazione di legge in relazione agli artt. 64,65,71 e 72 d.P.R. n. 380/2001, vizio di motivazione e travisamento delle prove con riferimento al capo b) dell’imputazione.
Argomentano che come emergeva chiaramente dalle dichiarazioni rese dal teste COGNOME NOME, geometra dell’Ufficio tecnico del Comune di Aci Bonaccorsi, le opere contestate non erano realizzate in cemento armato, ma in blocchi di Poroton e travi in ferro; nonostante tali chiari evidenze probatorie, la Corte di appello confermava l’affermazione di responsabilità per i reati di cui al capo B), rimarcando che l’utilizzo di travi in ferro richiedeva l’adozione di particolari precauzio antisismiche, così travisando la prova.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il terzo motivo deducono violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod.pen. e vizio di motivazione.
Lamentano che la Corte di appello aveva denegato l’applicazione dell’art. 131bis cod.pen., in considerazione del fatto che attraverso le condotte poste in essere avrebbero realizzato altre condotte aventi rilevanza penale, senza considerare gli elementi favorevoli agli imputati e, cioè, che l’atto di compravendita del terreno dava atto, implicitamente, della edificabilità dello stesso e che risultava pendente una richiesta di permesso di costruire.
Con il quarto motivo deducono vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Lamentano che la Corte di appello aveva dato atto che non sussistevano elementi positivi considerata la natura dei reati contestati, senza considerare la condotta collaborativa degli imputati e la circostanza che gli stessi avessero agito nella totale convinzione che il terreno acquistato fosse edificabile.
Con il quinto motivo deducono violazione dell’art. 597 cod.proc.pen.
Lamentano che la Corte di appello, accogliendo il motivo di appello relativo alla quantificazione dell’ammenda, escludeva la già concessa sospensione condizionale della pena, in palese violazione del divieto di reformatío in peius.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Il PG ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Correttamente la Corte di appello ha ritenuto che al momento della decisione qui impugnata non fosse maturato il termine prescrizionale massimo.
Deve evidenziarsi che la sentenza di primo grado dava atto che al momento dell’accertamento del reato- sopralluogo del 7.7.2018- l’opera non era completata, richiamando a conferma l’allegata documentazione fotografica.
Va, quindi, ricordato che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia illecita, ed il suo momento cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio (Sez.U, n.17178 del 27/02/2002, Rv.221399; Sez.3, n.38136 del 25/09/2001, Rv.220351; Sez.3, n.29974 del 06/05/2014, Rv.260498). La consumazione del reato si protrae fino al compimento dell’opera abusiva, o comunque fino al verificarsi di un evento impeditivo della prosecuzione dei lavori. Evento che, con riferimento alle vicende del processo penale, si individua nella sentenza di condanna in primo grado o, ancor prima, nel sequestro dell’opera che determina “ex se” la cessazione della condotta antigiuridica.
Questa Corte ha, inoltre, affermato che deve ritenersi ultimato solo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità (Sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011, Cappello, Rv. 250826) al punto che anche l’uso effettivo dell’immobile, se pure accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla
presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere “ultimato” l’immobile abusivamente realizzato, coincidendo l’ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 39733 del 18/10/2011, COGNOME, Rv. 251424; Sez. 3, n.48002 del 17/09/2014, Rv.261153).
Analogo principio è stato affermato anche con riferimento ai reati conseguenti alla violazione della normativa antisismica da Sez.3, n.17217de1 2011, non mass.: il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 -omesse denunzia dei lavori e presentazione dei progetti- permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la prescritta denuncia con l’allegato progetto ovvero non porta ad ultimazione il lavoro medesimo; il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 94, comma 1 e art. 95-inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione- permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica termina il lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione; e più di recente da Sez.3, n. 13731 del 22/11/2018, dep.29/03/2019, Rv.275189 – 01, che ha affermato che, in tema di legislazione antisismica, la contravvenzione di omessa denuncia dei lavori e presentazione dei progetti e quella di inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione hanno natura di reati permanenti, la cui consumazione si protrae sino a che il responsabile, rispettivamente, non presenti la relativa denuncia con l’allegato progetto, non termini l’intervento oppure non ottenga la relativa autorizzazione.
E si è affermato, in tema di violazioni della normativa antisismica che la contravvenzione di esecuzione di lavori in cemento armato in assenza di un progetto esecutivo e della direzione di un tecnico abilitato, di cui agli artt. 71 e 64 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha natura di reato permanente, con la conseguenza che il termine di prescrizione decorre dal completamento dell’opera o dalla totale sospensione dei lavori a seguito di provvedimento autoritativo ovvero, ancora, dalla desistenza volontaria del soggetto agente, consistente in un comportamento inequivoco di definitiva cessazione della condotta antigiuridica (Sez 3 n. 9275 del 18/10/2018, dep.04/03/2019, Rv. 275140 – 01.
Ed allora, considerando la data del sopralluogo- 7.7.2018- il termine prescrizionale quinquennale massimo sarebbe maturato il 7.7.2023; il termine, quindi, non era decorso al momento della pronuncia della sentenza di primo grado in data 19.6.2023
Va, poi, osservato che per i fatti commessi a decorrere dal 3 agosto 2017, la legge n.103/2017 aveva modificato il previgente art. 159, comma 2, cod. pen. introducendo la sospensione del corso della prescrizione: a) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza di condanna di primo
grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo e, comunque, per un tempo non superiore a un anno e sei mesi; b) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi. L’art. 159, comma 2, cod. pen., così come introdotto dalla legge Orlando, era stato riformulato dall’art. 1, comma 1 lett. e) n, 1, legge n.3/2019 (c.d. «legge Bonafede»), che aveva introdotto, ma a decorrere dal 1 gennaio 2020, la previsione per cui il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado, o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla irrevocabilità del decreto di condanna. Il citato art. 159, comma 2, cod. pen., infine, è stato definitivamente abrogato dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge n.134/2021, che ha contestualmente introdotto l’art. 161 bis cod. pen., a norma del quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. La stessa legge ha introdotto, per i reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020 (ai sensi dell’art.2 comma 3), con l’art. 344 bis cod. proc. pen., l’improcedibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello e di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno, decorrenti dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art.544 cod. proc. pen., eventualmente prorogato ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen.; termini prorogabili con ordinanza nei casi previsti dall’art. 344 bis, comma 4, cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite (Sez.U, n.20989 del 12/12/2024, dep.05/06/2025, Rv.288175 – 01) hanno affermato che la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159 cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 1 leg 23 giugno 2017, n. 103, si applica ai reati commessi nel tempo di vigenza della legge stessa, ovvero dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, non essendo stata abrogata con effetti retroattivi dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, prima, e dalla legge 27 novembre 2021, n. 134, poi, mentre per i reati commessi dall’I. gennaio 2020 si applica la disciplina posta a sistema dalla legge n. 134 del 2021.
Nella, specie, essendo stati i reati commessi il 7/7/2018 si applica la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159 cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 1 legge 23 giugno 2017, n. 103 e, quindi, la prescrizione maturerebbe in data 5.6.2026 senza considerare i periodi di sospensione del procedimento (41 gg. ex I. covid. per il periodo 30 marzo 2020 fino al 9 maggio 2020; 60 gg. per il rinvio per legittimo impedimento dell’imputato disposto all’udienza del 26 aprile 2021; 60 gg. per il rinvio per legittimo impedimento dell’imputato disposto all’udienza del 17 gennaio 2022; 141 gg. per il rinvio
dall’udienza del 30 maggio 2022 fino all’udienza del 17 ottobre 2022; 60 gg. per il rinvio per legittimo impedimento dell’imputato disposto all’udienza del 20 febbraio 2023 ; 28 gg. per il rinvio dall’udienza del 4 novembre 2024 al 2 dicembre 2024 per adesione dei difensori degli imputati all’astensione proclamata dalle Camere Penali).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte ha affermato che la sfera di applicabilità degli artt. 64 e 65 d.P.R. n. 380/2001 non riguarda unicamente le opere che siano al tempo stesso costituite da cemento armato e struttura metallica, sì che sarebbe necessaria la coesistenza di entrambi gli elementi onde configurarsi la sussistenza dei reati relativi, essendo evidente, atteso il richiamo del legislatore alle opere in struttura metallica, che la disposizione è diretta a regolare anche, singolarmente, le opere che, non composte di cemento armato, possiedano una struttura metallica; sotto il profilo della ratio della disposizione, la sufficienza anche della sola struttura metallica si spiega in ragione della potenziale pericolosità di essa derivante dal materiale impiegato e della conseguente necessità che anche in tal caso vengano adottate le particolari precauzioni da adottare in fase di costruzione in zona sismica (Sez.3, n.56067 del 19/09/2017, Rv.271810 – 01, che ha affermato che la disciplina penale prevista dagli artt. 64 e 65 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si applica alle opere in cemento armato ed a quelle che, non composte da cemento armato, possiedono comunque una struttura metallica; Sez.3, n. 29822 del 11/09/2020, Rv.280017 – 01, che ha affermato che la disciplina penale prevista dagli artt. 64 e 65 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si applica alle opere in cemento armato ed a quelle che singolarmente, seppur non composte da cemento armato, possiedono comunque una struttura metallica, in ragione della potenziale pericolosità della stessa derivante dal materiale impiegato e dalla necessità che vengano adottate le particolari precauzioni antisismiche; Sez. 3, n. 14237 del 20/01/2021, Rv.280922 – 01, che ha precisato che la disciplina penale in materia di opere a struttura metallica, prevista dall’art. 64 del d.P.R. n. 380 del 2001, si applica soltanto quando la statica delle opere eseguite è assicurata da elementi strutturali in acciaio o in altri metalli con funzione portante). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne consegue che, nella specie, il riferimento nella sentenza impugnata alle caratteristiche dell’opera realizzata come opera a struttura metallica (l’opera pur non essendo realizzata in cemento armato presentava travi in ferro) è del tutto sufficiente a far ritenere integrati i reati di cui al capo b) dell’imputazione.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, nel valutare la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen., ha denegato la configurabilità della predetta causa di esclusione della punibilità rimarcando la
gravità del fatto sulla base di una valutazione in senso negativo delle modalità della condotta e la consapevolezza della inedificabilità dell’area oggetto degli interventi edilizi illeciti (p. 4 della sentenza impugnata).
Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e la motivazione, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Del resto, questa Corte ha affermato che, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez 6-n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 – 01).
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va richiamato il consolidato principio di diritto, secondo cui l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è oggetto di un giudizio di fatto e non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489 01; Sez.3, n. 35570 del 30/05/2017, Rv. 270694 – 01; Sez.1,n.46568 del 18/05/2017, Rv. 271315 – 01; Sez.3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Rv. 245241; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419). Ne consegue che è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.
5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce principio di diritto consolidato l’affermazione che, in sede di appello proposto dal solo imputato, qualora il giudice del gravame ridetermini la pena senza ulteriormente specificare nel dispositivo quale decisione sia stata assunta con riferimento al beneficio della sospensione condizionale della pena già concesso dal giudice di primo grado, detto beneficio deve ritenersi implicitamente confermato, giacché, diversamente, si violerebbe il principio del divieto di reformatio in peius (Sez.5, n. 20506 del 14/01/2019, Rv. 275308 – 01; Sez.3, n 16184 del 28/02/2013, Rv. 255292 – 01; Sez.3, n. 580 del 07/12/2007, dep.09/01/2008, Rv. 238583 – 01).
Tanto è avvenuto, nella specie, avendo la Corte di appello, in sede di appello dei soli imputati, rideterminato la pena senza ulteriormente specificare nel
dispositivo quale decisione era stata assunta con riferimento al beneficio della sospensione condizionale della pena, già concesso dal giudice di primo grado; di conseguenza, i Giudici di appello, hanno implicitamente confermato il beneficio.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/10/2025