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Abuso edilizio: Cassazione su opere precarie e ne bis in idem

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un privato condannato per abuso edilizio. La sentenza stabilisce che opere stagionali, se destinate a soddisfare esigenze durature, non possono essere considerate precarie e rientrano nell’abuso edilizio. Viene inoltre escluso il principio del ‘ne bis in idem’ poiché il reato di abuso edilizio tutela un bene giuridico (l’ordinato sviluppo del territorio) diverso da quello di occupazione abusiva di suolo demaniale.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abuso edilizio: quando un’opera stagionale non è precaria?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 12661 del 2025, offre importanti chiarimenti in materia di abuso edilizio, con particolare riferimento alla distinzione tra opere precarie e permanenti e all’applicazione del principio del ne bis in idem. La Suprema Corte ha delineato con precisione i confini tra ciò che è considerato un intervento temporaneo, riconducibile all'”edilizia libera”, e ciò che invece costituisce una trasformazione permanente del territorio, soggetta a permesso di costruire. Analizziamo i dettagli di questa decisione cruciale.

I fatti del caso

Il caso riguarda un privato condannato in primo e secondo grado per una serie di reati edilizi. Nello specifico, l’imputato aveva realizzato e successivamente ampliato delle tettoie in legno su suolo demaniale marittimo, portando la superficie coperta da 175 mq a oltre 310 mq. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali: la violazione del principio del ne bis in idem (sostenendo di essere già stato giudicato per gli stessi fatti in un precedente procedimento), l’erronea qualificazione delle opere come non precarie (sostenendo che fossero strutture stagionali e quindi rientranti nell’edilizia libera) e un vizio di motivazione nella valutazione delle prove.

L’abuso edilizio e il principio del ne bis in idem

Il primo motivo di ricorso è stato respinto dalla Corte. I giudici hanno chiarito che il principio del ne bis in idem, che vieta un secondo processo per lo stesso fatto, non era applicabile. La ragione è duplice. In primo luogo, i fatti contestati nei due procedimenti non erano identici: il primo riguardava una costruzione iniziale, mentre il secondo si riferiva a successivi e significativi ampliamenti. In secondo luogo, e più importante, le norme violate tutelavano beni giuridici diversi. Il primo procedimento si basava sull’art. 1161 del Codice della Navigazione (occupazione abusiva di spazio demaniale), che protegge gli interessi pubblici legati all’uso del demanio. Il secondo procedimento, invece, contestava l’abuso edilizio ai sensi del d.P.R. 380/2001, una norma posta a tutela dell’ordinato assetto del territorio. Questa diversità di beni giuridici protetti esclude l’identità del fatto e, di conseguenza, l’applicazione del ne bis in idem.

L’abuso edilizio funzionale: quando un’opera non è “precaria”

Il punto centrale della sentenza riguarda la nozione di “opera precaria”. Il ricorrente sosteneva che le strutture, essendo stagionali e smontate al termine del periodo balneare, dovessero essere considerate precarie e quindi non necessitassero di un permesso di costruire. La Cassazione ha rigettato questa tesi, ribadendo un principio consolidato: per definire un’opera come precaria, non si deve guardare al criterio “strutturale” (i materiali utilizzati o la facilità di rimozione), bensì al criterio “funzionale”. Un’opera è precaria solo se è destinata a soddisfare esigenze meramente temporanee e contingenti. Nel caso di specie, le strutture, pur essendo stagionali, erano funzionali a un’attività economica che si ripeteva stabilmente ogni anno. Servivano quindi a soddisfare un’esigenza non temporanea, ma duratura, seppur ciclica. Tale utilizzo permanente esclude la natura precaria e configura un abuso edilizio in assenza del necessario titolo abilitativo.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. Oltre a quanto già esposto, i giudici hanno sottolineato che l’imputato non aveva fornito alcuna prova dell’avvenuto rilascio di una sanatoria, ricordando che l’onere della prova (onus probandi) in tal senso ricade su chi ne chiede l’applicazione. La sola presenza di un parere favorevole endoprocedimentale da parte della commissione paesaggistica non ha alcun effetto sanante, specialmente in un contesto di accertato abuso edilizio che ha comportato un aumento di superficie e volume, condizione che di per sé osta al rilascio della sanatoria paesaggistica per “abusi minori”. Infine, la Corte ha specificato che il regime dell'”edilizia libera” non è applicabile quando gli interventi, pur rientrando nelle categorie previste, contrastano con altre normative di settore, come il codice dei beni culturali e del paesaggio, come avvenuto nel caso in esame.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza due principi fondamentali nel diritto urbanistico e penale. Primo, la precarietà di un’opera edilizia va valutata in base alla sua funzione e non alla sua struttura: se soddisfa un bisogno duraturo, anche se stagionale, è necessaria l’autorizzazione edilizia. Secondo, il principio del ne bis in idem richiede una perfetta coincidenza del fatto storico, che viene meno non solo in presenza di condotte successive (come gli ampliamenti), ma anche quando le norme violate tutelano interessi giuridici differenti. La decisione serve quindi da monito sulla necessità di ottenere sempre i titoli abilitativi corretti, anche per strutture considerate erroneamente “leggere” o “temporanee”, per evitare di incorrere nel reato di abuso edilizio.

Si può essere processati per abuso edilizio se si è già stati giudicati per occupazione abusiva di suolo demaniale per la stessa opera?
Sì, è possibile. La Corte di Cassazione ha chiarito che il principio del ‘ne bis in idem’ non si applica se i fatti non sono completamente identici (ad esempio, se ci sono stati ampliamenti successivi) e se le norme violate proteggono beni giuridici diversi. L’abuso edilizio tutela l’assetto del territorio, mentre l’occupazione abusiva di suolo demaniale tutela l’uso pubblico del bene.

Un’opera in legno smontata a fine stagione può essere considerata un abuso edilizio?
Sì. Secondo la sentenza, la natura di un’opera non dipende dai materiali o dalla sua amovibilità (criterio strutturale), ma dalla sua funzione (criterio funzionale). Se la struttura è destinata a soddisfare esigenze non temporanee ma durature, come quelle di un’attività commerciale stagionale che si ripete ogni anno, la sua realizzazione senza permesso costituisce abuso edilizio.

A chi spetta l’onere di provare l’esistenza di una sanatoria in un processo per abuso edilizio?
L’onere della prova (onus probandi) di aver ottenuto una sanatoria o un valido titolo edilizio spetta all’imputato. Non è compito dell’accusa dimostrare l’inesistenza del provvedimento di sanatoria; è il privato che deve dimostrare di aver regolarizzato la propria posizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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