Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12661 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12661 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOME, nato a Battipaglia il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del 19/03/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza del 19/03/2024, la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno del 10/11/2023, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena mesi 4 di arresto e 25.000,00 euro di ammenda in relazione alle contravvenzioni di cui agli articoli 44, c), d.P.R. 380/2001 (capo 1), 181, comma 1, d. Igs. 42/2004 (capo 2), 734 cod. pen. (capo 3) e 93-95 d.P.R. 380/2001 (capo 4).
Avverso tale sentenza propone ricorso il RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’articolo 649 cod. proc quanto per i medesimi fatti, sia pure diversamente rubricato, l’imputato era già stat giusta notizia di reato del 2015. Trattasi, infatti, dei medesimi ampliamenti di prees
A ciò consegue, in tutta evidenza, la prescrizione dei reati contestati, in quant nel 2015.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione dell’articolo 131-bis cod. pen. in all’articolo 6, comma 1, lettera e-bis), d.P.R. 380/2001.
La struttura lignea installata è urbanisticamente inconsistente, non avendo det alcun carico urbanistico; si tratta di interventi minori e provvisori rientranti nell libera», peraltro in corso di smontaggio all’atto del controllo in ragione dell stagionale.
Inoltre, vi è stato parere favorevole alla sanatoria paesaggistica da parte della RAGIONE_SOCIALE del comune di Battipaglia.
2.3. Con il terzo motivo lamenta vizio di motivazione in relazione alla valuta materiale probatorio costituito dalle dichiarazioni dei testi in relazione alla con ampliamenti, nonché alla sospensione dell’ordinanza di riduzione in pristino.
I testi riferiscono di occupazione arbitraria dell’intero suolo demaniale, ladd evidenza si tratta di “innovazioni”.
Del tutto illogica poi è la sentenza laddove ritiene che la parte non abbia soddisf probatorio, posto che tale onere incombe sull’accusa.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile in quanto meramente reiterativo di doglian motivatamente disattese dai giudici del merito.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si riso pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi d merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quant di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2 2017, La Gumina, Rv. 269217).
2.1. Nel caso in esame il ricorrente prospetta un caso di possibile ne bis in idem processuale. Come noto, con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale – nel d illegittimo l’art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude che il fatto sia il sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con senten irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale – ha ridefinit
del ne bis in idem processuale, affermando il criterio deiridem factum e non dell’idem legale ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio.
Successivamente, le Sezioni Unite della Corte (Sez. U. n. 20664 del 23/02/2017 hanno messo in evidenza la «necessità di una comparazione concreta e complessiv fattispecie con particolare distinzione – quanto alla verifica del presupposto proc all’art. 649 cod. proc. pen. e del suo corrispondente convenzionale dell’art. 4 Prot fatto oggetto di contestazione e, quanto all’individuazione dell’unitarietà de contestata, agli elementi costitutivi della stessa, caratterizzati come sempre dall azione – evento – elemento psicologico, e dalla loro concreta attribuzione, attrave imputazione, alla persona sottoposta a giudizio».
Occorre pertanto verificare, alla luce dei principi sopra espressi, se ci si t fronte alla medesima fattispecie contestata, avuto riguardo agli elementi costitutiv (azione, evento, elemento psicologico).
2.2. Nel caso di specie, la risposta non può che essere negativa.
In proposito, la Corte territoriale ha evidenziato come, nel precedente proce violazione contestata fosse quella di cui all’articolo 1161 cod. nav., che, in sanziona una condotta diversa (chi, arbitrariamente, occupa uno spazio del demanio o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna, ne impedisce l’uso pub innovazioni non autorizzate), salva – in via meramente astratta – l’ipotesi delle non autorizzate, in relazione alle quali tuttavia questa Corte ha già avuto modo (Sez. 3, n. 5461 del 04/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258692 – 01; Sez. 3, n. 28/03/2019, COGNOME, n.m.) che «in materia edilizia, per le opere eseguite da priv demanio marittimo sono necessari sia l’autorizzazione demaniale che il permesso di (art. 8 d.P.R. n. 380 del 2001), assolvendo i due provvedimenti a diverse finalit quanto la prima è diretta a salvaguardare gli interessi pubblici connessi al demani mentre il secondo ha la funzione di consentire all’ente RAGIONE_SOCIALE di esercitare il contro del territorio».
Va pertanto esclusa, posta la diversità di bene giuridico tutelato e di procedimen del regime di conformazione dell’attività privata, quella «identità» di fatto richies analogamente a quanto avviene per l’illecito urbanistico rispetto a quello paesaggist Corte costituzionale ha avuto modo di affermare (ord. n. 439 del 2007) che «i reati ambientali tutelano il RAGIONE_SOCIALE e l’ambiente e cioè dei beni materiali, mentre tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’u Pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura dì reati di pericolo (avendo il legi i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela la diversità degli oggetti “finali” protetti dai due reati giustifica disciplin fattispecie estintive differenziate».
2.3. A ciò va aggiunto che la Corte di appello evidenzia – a pag. 5 – come gli a contestati nel presente procedimento siano diversi e successivi rispetto a quel
essendosi passati dalla realizzazione di una tettoia lignea a pianta rettangolare a una sola fal di mq. 175 situata nella parte antistante il blocco servizi lato mare, ad una tettoria lignea d 87 alta 2,40 e ampliamento di preesistente tettoia antistante il blocco servizi sino a raggiung la superficie di mq. 310.
In proposito, questa Corte ha affermato che «la preclusione del ne bis in idem opera soltanto con riferimento alla condotta posta in essere nel periodo oggetto di contestazione nei capi d imputazione e non riguarda, invece, l’eventuale protrazione o ripresa della condotta in un periodo successivo, rispetto alla quale rimane impregiudicata l’azione penale e la qualificazio conseguente del fatto» (Sez. 3, n. 9988 del 19/12/2019, dep. 2020, La Pietra, Rv. 278534 – 01; Sez. 3, n. 19354 del 21/04/2015, COGNOME, Rv. 263514 – 01).
Pertanto, quando anche fosse – e non lo è – stato presente il requisito della identità di f «in astratto», il principio del ne bis in idem non potrebbe trovare applicazione per assenza di tale requisito «in concreto».
La doglianza, che non si confronta in modo critico con la sentenza impugnata, è quindi generica e inammissibile.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente radica la sua doglianza sulla particolare tenuità del fatto sulla «irril urbanistica» dei manufatti, che sarebbero costituiti da opere precarie e temporanee.
3.1. In base all’articolo 3, comma 1, lettera e.5) del d.P.R. n. 380 del 2001, è qualific come nuova costruzione «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di struttu di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diret a soddisfare esigenze meramente temporanee”; il successivo articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del medesimo articolato normativo, include, invece, nell’attività edilizia libera “le opere stag e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale”; da tali previsioni la giurisprudenza ha desunto la nozione di opera precaria, non soggetta a titol abilitativo.
In particolare, si è affermato che «in ordine ai requisiti che deve avere un’opera edilizia essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) cr «strutturale», in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il «funzionale», in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un’esigenz temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un’opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere
realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie».
Questa Corte ritiene (v. da ultimo Sez. 3, n. 18266 del 13/04/2023, Martella, n.m.) che per definire precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilita necessario ravvisare l’obiettiva e intrinseca destinazione a un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili (così anche Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule, Rv. 27569 relativa a fattispecie in cui la Corte ha escluso la natura precaria di una platea in conglomer cementizio avente una superfice di circa 100 metri quadrati, con tramezzature perimetrali in laterizio di metri 25 di lunghezza in quanto denotante una futura stabile destinazione; conf. Se 3, n. 38473 del 31/05/2019, COGNOME, Rv. 277837; Sez. 3, n. 380 del 17/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278277; Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, COGNOME, Rv. 283590).
La giustizia amministrativa, dal canto suo, ha precisato che «la precarietà dell’opera, ch esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lette e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato de bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può ess considerata temporanea, precaria o irrilevante» (Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 5977 de 05/07/2024).
Ora, prescindendo dalla intrinseca contraddittorietà della prospettazione difensiva, in cui un lato si afferma la non necessarietà del permesso di costruire (in ragione della natura del opere e del loro carattere precario), mentre dall’altro si dà atto della presenza di un par favorevole al rilascio della sanatoria paesaggistica (che presuppone l’abuso), il Collegio ril che non può tacciarsi di illogicità la sentenza laddove evidenzia che la sussistenza di due disti procedimenti relativi a ampliamenti abusivi accertati nel 2015 e nel 2018, di dimensioni non certo modeste, esclude la natura «precaria» e «temporanea» dei manufatti stessi (pag. 6-7, laddove si evidenzia che lo smontaggio al termine della stagione balneare già realizza l’illeci urbanistico).
Né, del resto, come evidenziato in sentenza, l’imputato ha allegato l’avvenuto rilascio d provvedimento di sanatoria paesaggistica (v. pag. 7), ciò che rende del tutto priva di riliev presenza del parere favorevole della RAGIONE_SOCIALE Batti pag I ia .
3.2. In ogni caso, il Collegio evidenzia come, nel caso oggetto del presente scrutinio, no possa essere invocata la natura delle opere come rientranti nella categoria della c.d. «ediliz libera».
Come è stato anche di recente ribadito da questa Sezione, infatti (Sez. 3, n. 2384 del 10/10/2024, dep. 2025, Martucci), la particolare disciplina dell’attività edilizia libera
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applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle categorie menzionate da tale di siano in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici. L’art. 6 del d.P. 2001, consente la realizzazione delle opere ivi indicate, in regime di attività edilizi «nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’a e, in particolare, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paes al d.lgs. n. 42 del 2004.
Dunque, il regime dell’attività edilizia libera, ovvero non soggetto ad alcun titolo non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle tipologie di tale disposizi contrasto con le previsioni indicate nell’incipit della stessa.
Nel caso di specie, pertanto, la presenza della contravvenzione di cui all’articolo 42/2004 – tuttora non sanata – esclude in radice la possibilità di usufruire de «irrilevanza urbanistica» di cui all’articolo 6 d.P.R. 380/2001.
Il terzo motivo è inammissibile in quanto sollecita a questa Corte una rivalutaz compendio probatorio evidentemente preclusa in sede di legittimità e propone, in ogn censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, cons nella differente comparazione delle risultanze istruttorie effettuate concordement giudici del merito.
Ed infatti, il giudice di legittimità non può rivalutare le fonti di prova, in quant è rimessa esclusivamente alla competenza dei giudici di merito. Pertanto, il ri cassazione è inammissibile quando si fonda su motivi che postulano una non conse rivalutazione delle prove testimoniali, in quanto ciò esula dalle attribuzioni de legittimità, il quale deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la motivazione adottata dai giudici di merito (Sez. 6, n. 43139 del 19/09/2019, Sessa, n
Il sindacato di legittimità va infatti sollecitato sul «prodotto dell’ingegno» e no semplice «materiale probatorio» (e men che meno su singoli «frammenti» di esso) e, per una volta indicati gli elementi probatori, il giudice di legittimità deve chiarire la r base di quali elementi sia stata elaborata una determinata ipotesi costruttiva e per qu ne siano state scartate altre (Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv. 276566 – 01 35816 del 18/06/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, COGNOME, Rv. 2 01).
Nel caso in esame, alla luce delle considerazioni espresse nei paragrafi che prec giudici del merito hanno in tutta evidenza fatto buon governo deli principi di cui censura è pertanto manifestamente infondata.
Quanto alla dedotta violazione del canone dell’onus probandi, la doglianza è del tutto inconsistente, essendosi i giudici limitati a evidenziare che alcun effetto estintivo p ad un parere endoprocedimentale, e che l’allegazione di un provvedimento di sanatoria i su chi in ipotesi, ne chiede l’applicazione, in base al principio, costantemente affermat
Corte, della c.d. «vicinanza della prova» (Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
Questa Corte (Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997 – 04; Sez. 4, n. 51331 del 13/09/2018, S., Rv. 274052 – 01) ritiene infatti, con principio che il Collegio condiv ribadisce, che all’imputato non si chiede di allegare o provare un fatto negativo, bensì di indic specifiche circostanze positive e concrete, contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa, co indicazione, quindi, dei dati fattuali che contraddicono le conclusioni alle quali sono pervenu Giudici.
Va peraltro rimarcato che, nel caso di specie, la Corte di appello ha accertato la realizzazio di manufatti comportanti un aumento di superficie utile (una tettoria lignea di mq. 87 alta 2 e ampliamento di preesistente tettoia antistante il blocco servizi sino a raggiungere la superfi di mq. 310), circostanza che esclude a priori la possibilità di ricorrere alla c.d. «sana paesaggistica» di cui all’articolo 167, comma 4, d. Igs. 42/2004, limitata alla ipotesi in attraverso l’abuso, non vi sia stata creazione di superfici o volumi (come invece pacificamente occorso nel caso di specie).
Poiché l’autorizzazione paesaggistica, secondo l’art. 146, comma 4, del d.lgs. 42 del 2004, costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri ti legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, lo stesso permesso di costruire resta subordina rilascio dell’autorizzazione paesaggistica la quale, però, sempre secondo la norma richiamata, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, tranne nei casi dei cd. «abusi minori», tassativamente individuati dall’art. 167, co 4 e 5, d.lgs. n. 42 del 2004, ipotesi però non ricorrente nel caso concreto.
Tale preclusione, considerato che l’autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilasci del permesso di costruire, impedisce di conseguenza anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 544 del 01/12/2022, dep. 2023, Sciortino, n.m.
Pertanto, in tema di sanatoria ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, di opere realizzat in area vincolata, il rilascio postumo del permesso di costruire, in assenza di legit autorizzazione paesaggistica, non ha efficacia sanante neanche in relazione al solo profilo urbanistico dell’intervento già realizzato (v. Sez. 3, n. 5750 del 02/02/2023, PMT, Rv. 284314 01).
Pertanto, sia la eventuale sanatoria paesaggistica (ove mai concessa) che quella urbanistica, dovrebbero certamente ritenersi illegittime, con la conseguente assenza di un (valido) titolo edilizio sopravvenuto (cfr. Sez.3, n. 30016 del 14/7/2011, COGNOME, Rv. 251023)
La conclusione di cui sopra non muta in riferimento all’istituto dell’«accertamento conformità nelle ipotesi di parziali difformità e di variazioni essenziali» di cui all’artico 36-bis del d.P.R. 380/2001, introdotto dal d.l. n. 69/2024 (convertito con modificazioni dalla I. n. del 2024) ed entrato in vigore il 30 maggio 2024, la cui applicazione non risulta peraltro neppu richiesta dal ricorrente, ma di cui va in ogni caso esclusa l’applicabilità, non rinvenendos
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testo del d.l. n. 69/2024 alcuna disposizione transitoria intesa a consentire l’applicazione in retroattiva della nuova disciplina alle istanze presentate prima della sua entrata in vigore, sic in difetto di un’espressa statuizione di retroattività, non può che trovare applicazione la re AVV_NOTAIO sancita dall’art. 11 disp. prel. c.c. (v., in proposito, Consiglio di Stato, Sez. 2, se 1394 del 2025 e 10076 del 2024, nonché la citata Corte costituzionale n. 125 del 2024, par. 3.4).
Del tutto inconferente rispetto al presente procedimento risulta poi la deduzione secondo cui gli ampliamenti abusivi costituirebbero mere «innovazioni», posta la differenza, vista al pa 2, tra l’illecito urbanistico e quello demaniale, cui è riferita (art. 1161) tale locuzione e risulta contestato nell’odierno procedimento.
Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’one delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/02/2025.