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Abuso edilizio: ampliamento o nuova costruzione?

La Corte di Cassazione chiarisce la distinzione tra ampliamento e nuova costruzione in un caso di abuso edilizio. La sentenza conferma che, in caso di espansione di un immobile preesistente, il parametro da considerare è l’aumento percentuale della volumetria (superiore al 30%) e non il limite assoluto di 1000 metri cubi previsto per le nuove opere. L’impugnazione della condannata, che mirava a far dichiarare il reato prescritto riqualificandolo come nuova costruzione, è stata dichiarata inammissibile.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abuso edilizio: Ampliamento e Nuova Costruzione, i Chiarimenti della Cassazione

Nel complesso mondo del diritto urbanistico e paesaggistico, la distinzione tra “ampliamento” e “nuova costruzione” è fondamentale per determinare la gravità di un abuso edilizio e le relative conseguenze penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: quando si interviene su un immobile preesistente, anche se abusivo, per aumentarne la volumetria, si applicano le regole dell’ampliamento, non quelle, potenzialmente più favorevoli, della nuova costruzione. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da un’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli, che aveva respinto l’istanza di una donna condannata per un reato edilizio. L’intervento contestato consisteva nell’ampliamento e nella trasformazione di una piccola struttura preesistente (di circa 41 mq) in un fabbricato più grande (di circa 64 mq), con un aumento di volumetria superiore al 30% rispetto all’originale.

La difesa, in sede di esecuzione della pena, sosteneva che l’opera dovesse essere considerata una “nuova costruzione” con una volumetria inferiore ai 1000 metri cubi. Secondo questa tesi, il reato sarebbe stato una semplice contravvenzione, ormai caduta in prescrizione. Di conseguenza, si chiedeva la revoca dell’ordine di demolizione.

La Questione Giuridica sull’Abuso Edilizio

Il cuore della controversia legale risiede nell’interpretazione dell’articolo 181, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Questa norma distingue tra due tipi di illeciti:

1. Lavori che comportano un aumento di volumetria superiore al 30% di un edificio preesistente.
2. Nuove costruzioni con una volumetria superiore a 1000 metri cubi.

La difesa puntava a far rientrare l’intervento nella seconda categoria per beneficiare di un termine di prescrizione più favorevole. Tuttavia, sia la Corte d’Appello sia, successivamente, la Corte di Cassazione hanno respinto questa interpretazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando che l’intervento in questione costituiva un “ampliamento e trasformazione di un preesistente comodo”. I giudici hanno chiarito che, quando si interviene su una struttura già esistente, il parametro per valutare la rilevanza penale dell’abuso edilizio è il rapporto proporzionale con la volumetria originaria.

La Corte ha sottolineato che l’approccio difensivo porterebbe a conseguenze illogiche e contrarie alla finalità della norma, che è quella di tutelare il paesaggio. Se si accettasse la tesi della “nuova costruzione”, si finirebbe per legittimare condotte artificiose: basterebbe demolire un piccolo manufatto abusivo per ricostruirne uno molto più grande, eludendo così il più stringente limite del 30% previsto per gli ampliamenti.

La nozione di “volumetria”, ai fini della tutela paesaggistica, deve considerare l’impatto dell’intervento sull’assetto originario del territorio. Pertanto, l’incremento volumetrico di un fabbricato esistente va sempre misurato in relazione al volume di quest’ultimo, indipendentemente dal fatto che l’edificio originario fosse a sua volta abusivo.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Con questa sentenza, la Cassazione ha chiuso la porta a interpretazioni elusive della normativa sull’abuso edilizio in aree protette. La decisione ha confermato l’inammissibilità del ricorso e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Le implicazioni pratiche sono chiare: chiunque realizzi un intervento di ampliamento su un immobile esistente deve attenersi scrupolosamente ai limiti percentuali di aumento volumetrico previsti dalla legge. Tentare di mascherare un ampliamento come una nuova costruzione per beneficiare di soglie più elevate è una strategia destinata a fallire, poiché i giudici valuteranno la sostanza dell’intervento e il suo effettivo impatto sul paesaggio, non la sua qualificazione formale.

Quando un abuso edilizio è considerato ‘ampliamento’ e non ‘nuova costruzione’?
Secondo la sentenza, si parla di ampliamento quando l’intervento modifica o espande una struttura preesistente. Il criterio della nuova costruzione si applica solo in assenza di un edificio precedente o in caso di demolizione e ricostruzione con caratteristiche completamente diverse, non nel caso di una trasformazione.

Quali sono i limiti di volume per un ampliamento abusivo in area paesaggistica?
Per un ampliamento, il limite determinante è l’aumento percentuale della volumetria rispetto alla costruzione originaria. La legge sanziona penalmente gli aumenti superiori al 30%. Il limite assoluto di 1000 metri cubi è invece applicabile solo alle nuove costruzioni.

È possibile aggirare i limiti per l’ampliamento demolendo e poi ricostruendo un immobile?
No. La Corte di Cassazione ha definito questo comportamento come una ‘condotta artificiosa’ volta ad aggirare la legge. La valutazione giuridica dell’intervento si basa sulla sua natura sostanziale e sull’impatto paesaggistico, non su tentativi di eludere le norme più restrittive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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