Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29877 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29877 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA GLYPH
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SORRENTO il 20/08/1959
avverso l’ordinanza del 22/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 5/12/2024, all’esito del procedimento camerale di cui all’art. 666 cod. proc. pen., la Corte d’appello di Napoli, decidendo in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza avanzata nell’interesse di COGNOME NOME al fine di ottenere l’applicazione in sede esecutiva della sentenza della Corte cost. n. 52 del 2016 in ordine al reato giudicato con sentenza di condanna dalla medesima Corte territoriale emessa in data 4/6/2018, divenuta definitiva in data 8/2/2013.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione la condannata a mezzo del suo difensore, deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Si denuncia l’ “inosservanza o erronea applicazione dell’art. 181 comma 1-bis d.lgs. n. 42/2004 in relazione all’art. 606, co. 1°, lett. b), c.p.p. per avere la Co di appello di Napoli erroneamente ritenuto che le opere in oggetto configurassero un ampliamento di un immobile preesistente anziché una nuova costruzione con volumetria non superiore a mille metri cubi…”. Si deduce che il giudice dell’esecuzione aveva “errato” quando aveva qualificato il manufatto oggetto della sentenza della Corte d’appello di Napoli come “un ampliamento di un immobile preesistente (abusivo senza alcun condono pendente – come da allegata ordinanza di demolizione n. 44 del 27.04.2017 emessa dal Comune di Piano di Sorrento) laddove, viceversa, trattasi di una nuova costruzione – come risulta dalle caratteristiche strutturali e volumetriche delle opere – non eccedente i limiti previsti dall’art. 181 comma 1 bis del D. Lgs. 42/2004”. Era, quindi, configurabile il reato contravvenzionale di cui all’art. 181 e, in ragione della nuova qualificazione, doveva prendersi atto della intervenuta prescrizione della stessa, avvenuta in data 28/9/2014, ovvero prima della pronuncia della sentenza della Corte di appello, e revocare “l’ordine di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi”, benché l’inottemperanza dell’ordinanza n. 44 del 27/4/2017 della Città di Piana di Sorrento allegata al ricorso abbia ormai determinato l’acquisizione dell’immobile e dell’area di sedime al patrimonio comunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Il tema devoluto con l’incidente di esecuzione imponeva alla Corte territoriale di verificare, in primo luogo, se l’intervento accertato dai giudici della cognizion avesse comportato il superamento dei limiti volumetrici necessario, per effetto della pronuncia resa alla Corte costituzionale n. 56/2016, per l’integrazione dell’ipotesi delittuosa di cui al comma 1-bis dell’art. 181 d.lgs. n. 42/2004.
Ebbene, la Corte territoriale ha respinto l’istanza rilevando che “dalla relazione di sopralluogo in data 19/7/2010 dell’ Ufficio tecnico del Comune Piano di Sorrento allegata all’informativa di reato della Polizia Municipale di Piano di Sorrento del 25/8/2010” emergeva che l’immobile abusivo era derivato dall’ampliamento e trasformazione di un “preesistente comodo (dalle dimensioni di mq. 41,65) in fabbricato (delle dimensioni di mq. 64,26) ed altezza esterne da m. 3,10 a m. 3,45)” che aveva comportato un aumento di volumetria superiore al trenta per cento di quella della costruzione originaria.
Tale conclusione appare del tutto in linea con quanto accertato dai giudici della cognizione, avendo il Tribunale di Torre Annunziata e la Corte d’appello di
Napoli ritenuto, siccome contestato, che il manufatto abusivo realizzato da COGNOME costituisse un “ampliamento e trasformazione di un preesistente comodo”.
Non è, poi, condivisibile la linea difensiva secondo la quale il manufatto esistente, in quanto ampliamento di un precedente manufatto abusivo, dovrebbe sottostarebbe esclusivamente al limite di volumetria di 1000,00 mc., non assumendo rilevanza il rapporto con la volumetria del precedente organismo edilizio oggetto dell’illecito ampliamento.
L’opposta conclusione, cui è pervenuta la Corte territoriale, trova conforto in una pronuncia di questa Corte, relativa a fattispecie del tutto simile, relativa all demolizione e ricostruzione di un immobile abusivo in quanto “sprovvisto di titolo abilitativo”, in cui si era posta la questione se la rilevanza penale dell’intervent dovesse essere parametrata alla volumetria complessiva del manufatto, considerandolo come nuova costruzione, o se assumesse rilevanza il rapporto con il precedente organismo edilizio, anche se totalmente abusivo, sì da venire in rilievo i limiti volumetrici previsti per gli ampliamenti.
Si legge nella parte motiva della sentenza: “La questione posta dal ricorrente va inquadrata prendendo le mosse dall’indirizzo secondo cui, in tema di tutela dei beni paesaggistici, ai fini della qualificazione del fatto reato come contravvenzione, ai sensi dell’art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, o come delitto, ai sensi dell’art. 181, comma 1-bis, dello stesso decreto, la nozione di “volumetria” deve essere individuata prescindendo dai criteri applicabili per la disciplina urbanistica e considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio (Sez. 3, n. 16697 del 28/11/2017 – dep. 16/04/2018, COGNOME, Rv. 272844; Sez. 3, n. 9060 del 04/10/2017 – dep. 28/02/2018, COGNOME, Rv.272450). Nel caso di specie, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto provata la prima delle tre ipotesi alternativamente considerate dal comma 1-bis, ossia quando, i lavori “abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria”, sul presupposto, appunto, del superamento di tale soglia in relazione al volume del manufatto originario e demolito (pari a 85,77 mc.) e al volume del manufatto edificato ex novo (pari a 294,09 mc.). I giudici di merito hanno correttamente confutato l’argomentazione difensiva, riproposta in questa sede, secondo cui, nel caso di demolizione e ricostruzione di un manufatto, occorre aver riguardo all’opera nel suo complesso e, quindi, alla volumetria complessiva del nuovo manufatto (che, nella specie, è inferiore a mille mc.), osservando che, seguendo l’interpretazione indicata dal ricorrente, si finirebbe con il legittimare condotte artificiose, consistenti ne demolizione dell’opera al solo scopo di aggirare la soglia indicata dalla prima parte dell’art. 181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42 del 2006, e di beneficiare del maggior limite di volumetria previsto per le nuove costruzioni, pari a mille mc. Va perciò
affermato il seguente principio di diritto: con riferimento al reato di cui all’art.
181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42 del 2006, nel caso di abbattimento di una costruzione e di successiva edificazione, in zona vincolata, di un nuovo manufatto
in assenza della prescritta autorizzazione, il reato è integrato nel caso in cui detto manufatto abbia un volume superiore al trenta per cento rispetto a quello della
costruzione originaria poi demolita, anche se il volume complessivo sia inferiore a mille mc.; ove invece tale limite non sia superato, il reato sussiste allorché sia
ravvisabile il superamento dei limiti volumetrici alternativamente previsti dall’art
181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42 del 2006 (Sez. 3, n. 16476 del 03/03/2020,
COGNOME, Rv. 278967 – 01).
Tale risultato interpretativo è dal Collegio condiviso finendo l’interpretazione proposta dalla ricorrente per introdurre, senza alcuna ragione giustificativa, un
trattamento deteriore per il caso di ampliamento di manufatto legittimamente edificato, che integrerebbe il delitto qualora comporti un incremento volumetrico
superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta
metri cubi, mentre un identico intervento eseguito su un manufatto abusivo rimarrebbe nell’ambito della fattispecie contravvenzionale qualora il nuovo organismo edilizio non sviluppi una volumetria superiore ai mille metri cubi.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15/5/2025