Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29749 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME COGNOME, nato a Torpè (NU) il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Nuoro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/6/2023 della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto annullare la sentenza senza rinvio per prescrizione
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/6/2023, la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma della pronuncia emessa il 22/7/2020 dal Tribunale di Nuoro, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi a), d), e), f),
perché estinti per prescrizione, rideterminando la pena quanto a COGNOME e COGNOME, in ordine alle restanti contestazioni di cui ai capi b) e c), nella misura d dispositivo.
Propongono congiunto ricorso per cassazione i due condannati, deducendo i seguenti motivi:
violazione e falsa applicazione degli artt. 129 cod. proc. pen., 157 ss. cod. pen. La Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare estinti per prescrizione anche i reati di cui ai capi b) e c). Quanto al primo (art. 323 cod. pen.), l’abuso di uffic si consumerebbe al momento dell’adozione dell’atto illegittimo (qui indicato nel permesso di costruire del 10/7/2012), mentre l’eventuale, successiva RAGIONE_SOCIALE edificatoria costituirebbe un post factum irrilevante, perché riferibile ad un diverso soggetto; quanto al secondo (art. 479 cod. pen.), la decorrenza del termine non potrebbe ritenersi successiva alla data del sequestro (24/11/2014), oltre a non comprendersi quale vantaggio avrebbe avuto dalle due comunicazioni la committente (e coimputata) COGNOME, considerato l’intervenuto provvedimento di sequestro;
carenza e/o contraddittorietà della motivazione quanto al delitto di cui all’art. 323 cod. pen. Quanto al capo b), la Corte di appello avrebbe riconosciuto l’abuso d’ufficio senza valutare la novella di cui al d.l. 16 luglio 2020, n. 76, converti con modificazioni, dalla I. 20 settembre 2020, n. 120: nessuna violazione di legge, infatti, emergerebbe dagli atti, se non “comportamenti residuali di discrezionalità” di cui il ricorrente era titolare in ragione della funzione ricoperta. Nessun vantaggio patrimoniale, peraltro, sarebbe stato raggiunto dalla RAGIONE_SOCIALE, poiché il diritto ad edificare sarebbe stato legittimamente esercitato, come da relazione dei tecnici COGNOME e COGNOME;
erronea applicazione della legge penale; vizio di motivazione quanto al capo c). La Corte di appello, con argomento viziato, affermerebbe, da un lato, che le comunicazioni a firma del COGNOME non sarebbero state registrate al protocollo, e, dall’altro, che le date apposte sulle stesse sarebbero false perché successive al sequestro. Ebbene, queste comunicazioni non potrebbero ritenersi “fatti destinati a provare la verità”, ai sensi dell’art. 480 cod. pen., in quanto la stessa sentenza darebbe conto che non sarebbero mai state registrate al protocollo, né confluite nel fascicolo amministrativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano manifestamente infondati.
Con riguardo all’abuso d’ufficio di cui al capo b), questo è stato adeguatamente provato, innanzitutto, in relazione alla concessione edilizia n. 32
del 10/7/2012: entrambe le sentenze di merito hanno infatti evidenziato – con motivazione del tutto solida, fondata su precise emergenze istruttorie e priva di contraddizioni – che il provvedimento non avrebbe potuto essere rilasciato, in quanto: a) stante la normativa all’epoca vigente, l’area in oggetto era connotata da un vincolo di inedificabilità assoluta in ragione di un pericolo idrogeologico di grado molto elevato; b) il COGNOME – responsabile dell’ufficio tecnico del Comune non era legittimato al rilascio della concessione, il cui potere di emanazione era in capo allo RAGIONE_SOCIALE; c) in ogni caso, i lavori eran iniziati dopo la scadenza del termine annuale di cui al provvedimento.
4.1. In senso contrario, peraltro non può essere qui esaminata la censura di cui al punto B-2) del comune ricorso, che attiene alla valutazione della consulenza redatta dai tecnici COGNOME e COGNOME. La doglianza, incentrata sulla compatibilità idraulica dell’intervento con la normativa vigente, risulta sollevata, infatti, con mero richiamo ad un brevissimo passaggio della relazione, peraltro neppure allegata ai ricorsi; ancora nel senso dell’inammissibilità, poi, questa Corte rileva che la stessa censura non si confronta affatto con la motivazione della sentenza di appello che, pronunciandosi proprio sul punto (pag. 11), ha esaminato ampiamente i vincoli insistenti sull’area e la normativa di riferimento, concludendo per la inedificabilità della prima e, dunque, per l’illegittimità della concessio edilizia.
4.2. In senso contrario, ancora, non risulta decisivo il richiamo alla novella di cui al d.l. n. 76 del 2020 ed alla modifica apportata al testo dell’art. 323 cod. pen (con particolare riguardo alla violazione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”). La censura, infatti, si muove lungo un generico profilo di merito, sul presupposto che, per un verso, l’istruttoria avrebbe dato atto – in capo al ricorrente – soltanto di “comportamenti residuali di discrezionalità”, e, per altro verso, l’RAGIONE_SOCIALE edificatoria sarebbe risultata del legittima, come da relazione dei citati consulenti. Ebbene, adeguatamente confutato in sentenza questo secondo profilo, con motivazione con la quale – si ribadisce – i ricorsi non si confrontano affatto, il Collegio rileva la evide genericità del richiamo ai “comportamenti residuali di discrezionalità”, che ancora non tiene conto degli argomenti spesi dalla Corte di appello (e, prima, dal Tribunale), che ha compiutamente richiamato la normativa di riferimento ed i conseguenti obblighi in tema di edificazione. Con riguardo, poi, all’ingiusto vantaggio patrimoniale che la committente COGNOME avrebbe ottenuto, che i ricorsi non ravvisano, questo è stato congruamente individuato nella (così) riconosciuta edificabilità dell’area, con conseguente “nuova possibilità di messa a reddito e un conseguente e fisiologico incremento” del valore del bene.
4.3. Ancora in ordine all’abuso d’ufficio di cui al capo b), poi, la comune impugnazione risulta del tutto infondata anche sul secondo profilo contestato, concernente i due atti che il COGNOME non avrebbe protocollato, pur pervenuti in Comune (comunicazione di proroga di inizio lavori del 27/6/2013 e dichiarazione di inizio lavori del 1°/9/2014, entrambe a firma del COGNOME). Le sentenze di merito hanno concluso per la falsità di queste certificazioni, tese a dimostrare contrariamente al vero – che i lavori in corso erano regolari, quantomeno sotto il profilo temporale, con evidente interesse per la “committenza e la direzione dei lavori (in forza della concessione edilizia, infatti, le opere avrebbero dovuto avere inizio entro un anno dal 10/7/2012); non essendo state prodotte dal NOME agli operanti nel novembre 2014, infatti, i Giudici della cognizione hanno ritenuto con argomento non manifestamente illogico – che queste certificazioni fossero state materialmente redatte dopo il 24/11/2014, data del sequestro dei manufatti, e poi acquisite dall’ufficio con timbro del Comune e visto di accettazione sottoscritto dal COGNOME, ancorché non protocollate, soltanto a falsa attestazione del rispetto dei termini. L’abuso d’ufficio, infine, è stato riscontrato a carico ricorrente anche per l’accertato omesso esercizio dei poteri di vigilanza di cui all’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, riconosciuto come protratto fino al sequestro del cantiere appena citato: questo profilo, tuttavia, è estraneo ai ricorsi, così ch la sentenza sul punto non ha ricevuto censura.
4.4. Proprio in ragione di quanto accertato, la stessa pronuncia risulta dunque immeritevole di censura anche in ordine al delitto contestato al capo c), relativo al concorso nel falso di cui all’art. 480 cod. pen.: sono state riscontrate in modo adeguato, infatti, tanto la falsità dei certificati in esame quanto il fatto che i documenti, sebbene non protocollati, erano comunque pervenuti all’ufficio comunale, laddove erano stati timbrati e siglati dal COGNOME, in evidente accordo con il COGNOME, al fine di far figurare la regolarità (almeno cronologica) dell’inizio lavori.
4.5. Al riguardo, peraltro, non può essere accolto l’ultimo motivo del comune ricorso, teso a contestare l’art. 480 cod. pen. sul presupposto che questi due atti non sarebbero mai stati inseriti nel fascicolo amministrativo, non essendo, pertanto, destinati a provare la verità di un fatto. La stessa censura, invero, richiama il “fascicolo amministrativo messo a disposizione delle Forze dell’ordine dal NOME“, ma trascura il contenuto delle sentenze nella parte in cui hanno riscontrato che la doppia falsità materiale era stata consumata in epoca successiva al momento in cui il COGNOME stesso – su richiesta degli operanti, nel novembre 2014 – aveva consegnato il permesso di costruire, peraltro producendo una cartografia di Google Earth, a data 4/7/2014, dalla quale risultava che i lavori non avevano ancora avuto inizio; linea difensiva evidentemente poi mutata, con l’acquisizione
all’ufficio delle false certificazioni di cui al capo c), congruamente ritenute false appositamente redatte nei termini già evidenziati.
In forza delle considerazioni che precedono, risulta dunque manifestamente infondato anche il primo comune motivo di ricorso, con il quale è eccepita l’intervenuta prescrizione anche dei reati contestati ai capi b) e c) in esame.
5.1. Premesso che la censura non indica affatto quando sarebbe maturata la prescrizione per questi delitti, il Collegio osserva che il relativo termine non er comunque decorso alla data della pronuncia della sentenza di appello, il 14/6/2023. Al termine ordinario di 7 anni e 6 mesi di cui agli artt. 157-161 cod. pen., infatti, debbono essere aggiunti ben 467 giorni di sospensione (come indicato nella sentenza d’appello e riscontrato da questa Corte: dal 12/4/2017 al 2/5/2017, dal 2/5/2017 al 14/6/2017, dal 14/6/2017 al 25/10/2017, dall’11/5/2018 al 29/6/2018, dal 23/11/2018 al 25/1/2019, dal 4/12/2019 all’8/4/2020 e dall’8/4/2020 all’11/5/2020); questo complessivo termine, peraltro, deve intendersi decorrere dal 24/11/2014, data del sequestro dell’immobile, sul presupposto – adeguatamente riconosciuto dalle sentenze di merito – che le false certificazioni oggetto dei capi b) (in evidente continuazione interna con il rilasci della concessione edilizia n. 32/2012 e con l’omesso esercizio dei poteri di cui all’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001) e c) erano state redatte dopo l’esecuzione della misura (e per effetto di questa), e che non era emerso dagli atti alcun riferimento cronologico anteriore. Con l’effetto, pertanto, che il termine di prescrizione è maturato il 3/9/2023, quindi successivamente alla pronuncia della sentenza di appello (14/6/2023), sì da risultare irrilevante in ragione dell’inammissibilità entrambi i ricorsi.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, , GLYPH n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024
Il Cr igliere estensore