Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1710 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1710 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile COGNOME NOME NOME NOME TERAMO il DATA_NASCITA
dalla parte civile COGNOME NOME
dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME NOME a NOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a MONTORIO AL VOMANO il DATA_NASCITA
inoltre:
COM. NOME ENTE GEN.
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 20/06/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. AVV_NOTAIO. conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di BOLOGNA in difesa di COGNOME
NOME che chiede l’accoglimento del ricorso, depositando conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta.
E’ presente l’AVV_NOTAIO COGNOME del foro di TERAMO difensore del RAGIONE_SOCIALE che deposita conclusioni scritte e nota spese alle quali si riporta insistendo per l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’AVV_NOTAIO del foro di TERAMO in difesa di COGNOME NOME che chiede l’accoglimento del ricorso, depositafido conclusioni scritte con allegata nota spese.
E’ presente l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di TERAMO in difesa di COGNOME NOME, che chiede la conferma della sentenza impugnata.
E’ presente l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di RAGIONE_SOCIALE difensore di COGNOME NOME che riportandosi ai motivi chiede l’inammissibilità dei ricorsi.
E’ presente l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro dell’AQUILA, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO. COGNOME NOME del foro di RAGIONE_SOCIALE in difesa di COGNOME che chiede la conferma della sentenza impugnata.
Per la pratica forense è presente il dott. COGNOME NOME con tess. n. NUMERO_DOCUMENTO, rilasciata dall’ RAGIONE_SOCIALE in data 05 maggio 2023.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 giugno 2022 la Corte di appello di Perugia, decidendo in sede di rinvio a seguito di pronuncia della Terza Sezione di questa Corte dell’8 aprile 2021 nel procedimento celebrato (tra gli altri) nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Teramo del 18 aprile 2018, già confermata dalla Corte di appello di L’Aquila con pronuncia del 17 giugno 2019, ha: revocato le statuizioni civili relative al delitto di abuso di ufficio; revocato la confisca dell’area in sequestro, disponendone la restituzione all’avente diritto; compensato le spese tra le parti.
COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati originariamente tratti a giudizio per i reati di cui agli artt. 110, 113 cod. pen., 44 lett. c) D.P.R. 6 giugn 2001, n. 380, 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (capo A); 110, 323 e 479 cod. pen. (capo B); 110, 323 e 479 cod. pen. (capo C).
Con riferimento a tale ultima fattispecie, gli addebiti avevano, in particolare, riguardato: quanto ad COGNOME, il fatto di avere, nella qualità d responsabile del procedimento amministrativo, falsamente attestato la regolarità tecnica dei lavori di un progetto presentato in variante ad un precedente permesso di costruire (già illegittimamente rilasciato); con riferimento ad entrambi, l’aver intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio alla RAGIONE_SOCIALE, cui era stato conseguentemente rilasciato, in violazione del D.M. 1444/1968 e delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, il richiesto permesso di costruire in variante, a firma del dirigente comunale NOME COGNOME – coimputato nel delitto ex art. 323 cod. pen., assolto in primo grado perché il fatto non costituisce reato -. Tale permesso aveva, nello specifico, riguardato la realizzazione di un fabbricato polifunzionale sul INDIRIZZO del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe dovuto fronteggiare con pareti cieche quelle finestrate dei due edifici confinanti (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, lato nord, e Palazzo Kursaal, lato sud), mentre invece, secondo l’impianto accusatorio, tali pareti avrebbero presentato delle luci e dei ballatoi, e perciò di fatto delle aperture da ritenersi a tutti gli effetti come finestre, così da garantir alla società costruttrice un vantaggio patrimoniale, rappresentato dal fatto di poter realizzare opere altrimenti non assentibili, perché in contrasto con le prescrizioni delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE regolamentanti le distanze tra edifici e dal confine, nonché dal fronte strada (artt. 1.6.4, comma 2, e 1.6.5, comma 9, N.T.A.).
2.1. In esito al giudizio di primo grado, conclusosi con sentenza del Tribunale di Teramo del 18 aprile 2018, i due imputati erano stati condannati per le sole fattispecie ascrittegli al capo C – con declaratoria di falsità dell’emesso parere di regolarità tecnica e confisca dell’immobile in giudiziale sequestro invece venendo dichiarati estinti i reati contestati ai capi A e B per intervenuto decorso del termine di prescrizione. I prevenuti erano stati, altresì, condannati al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
L’indicata pronuncia aveva trovato integrale conferma nella successiva sentenza emessa dalla Corte di appello di L’Aquila il 17 giugno 2019.
La Terza Sezione di questa Corte di Cassazione, pronunciandosi in data 8 aprile 2021, aveva, poi, annullato senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione e con rinvio alla Corte di appello di Perugia limitatamente alla confisca e alle statuizioni civili, rigettando nel resto i ricorsi.
Per come precisato dalla Suprema Corte, con la sua decisione aveva rimesso al giudice del rinvio il compito di accertare – previa valutazione delle specifiche questioni indicate in sentenza – se vi fossero, o meno, i presupposti legittimanti la disposta confisca dell’edificio, altresì disponendo, con riferimento alle statuizioni civili, che nel nuovo giudizio venisse verificata la «sussistenza del delitto di abuso di ufficio rivalutandosi, sul piano oggettivo, i profili di illegitti RAGIONE_SOCIALE atti amministrativi concernenti la distanza del costruendo fabbricato dai due limitrofi, sia quanto al rispetto della distanza di dieci metri da calcolarsi da parete a parete salvo che gli aggetti determinino problemi di salubrità ed igiene, sia quanto alla distanza da eventualmente computarsi in relazione all’altezza RAGIONE_SOCIALE edifici e tenendo poi conto di tali valutazioni anche ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato».
In ossequio a tali indicazioni, la Corte di appello di Perugia ha ritenuto in sede di rinvio, con articolata motivazione, di non ravvisare né la violazione delle norme regolamentari di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 né delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per l’effetto addivenendo, per entrambi gli imputati, ad un giudizio di insussistenza del residuo delitto di abuso di ufficio, non considerandolo integrato né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo, conseguentemente disponendo la revoca delle relative statuizioni civili. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto, sta l’accertata carenza del dolo richiesto per la consumazione del reato ex art. 323 cod. pen., di pronunciare la revoca della disposta confisca dell’area in RAGIONE_SOCIALE sottoposta a sequestro.
Avverso tale ultima sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con tre distinti atti, le parti civili costituite COGNOME NOME, COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo amministratore’
Tali ricorsi possono essere trattati congiuntamente, stante l’identità dei due motivi di censura dedotti.
Con il primo i ricorrenti hanno eccepito erronea interpretazione dell’art. 1.6.4., comma 2, delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e carenza di motivazione in relazione all’affermata natura delle disposizioni dell’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, dettate a disciplina delle distanze tra fabbricati, e alla conseguente ritenuta insussistenza del dolo della fattispecie prevista dall’art. 323 cod. pen.
I ricorrenti lamentano, in particolare, che lo specifico oggetto della questione interpretativa rimessa all’esame della Corte di appello, e dalla stessa non adeguatamente vagliato nella sentenza impugnata, sarebbe stato costituito dalla verifica del se la disposizione prevista dall’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE fosse o meno da ritenersi dettata in attuazione della norma dell’art. 9, comma 3, D.M. n. 1444/1968. Andava verificato, cioè, quale versione dell’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE fosse effettivamente vigente al momento del rilascio del permesso di costruire in variante n. 25/2010.
A dire dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare la condotta dei prevenuti alla stregua della nuova formulazione della norma dell’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, approvata tre anni dopo il rilascio del titolo abitativo in favore del COGNOME (introdotta con il regolamento approvato con deliberazione n. 7 del 20 febbraio 2013 dal RAGIONE_SOCIALE), applicabile nelle sole zone di edificazione individuate con la lettera C, e non già la versione di tale previsione, invece, da ritenersi effettivamente in vigore al momento dei fatti – come, per l’appunto, voluto da parte della Suprema Corte – per la quale non vi era distinzione alcuna fondata sulla natura attribuita alla zona di edificazione, conseguentemente essendone stata effettuata la relativa violazione da parte RAGIONE_SOCIALE imputati con la condotta da loro concretamente perpetrata.
Avrebbe errato il giudice del rinvio nel ritenere, quindi, che la disposizione delle N.T.A. costituisse attuazione del D.M. 1444/1968, senza offrire adeguata motivazione sul punto, così come nell’affermare che, comunque, tale questione sarebbe stata ‘superata in virtù dello ius superveniens, per effetto dell’interpretazione autentica offertane dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32.
Rileverebbe, dunque, sotto il profilo obiettivo, l’illegittimità del titolo ediliz rilasciato in favore della RAGIONE_SOCIALE, per l’effetto scaturendone
anche l’erroneità della decisione con cui la Corte di merito ha ritenuto di evincere pure l’insussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di abuso di ufficio.
Sotto tale ultimo profilo, quindi, i ricorrenti hanno dedotto, con la seconda doglianza, carenza di motivazione in relazione all’affermata insussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie prevista ex art. 323 c.p., sostenendo che la Corte territoriale avrebbe ignorato tutti gli argomenti e gli elementi di fatto considerati nelle precedenti sentenze di condanna – diffusamente elencati nel corpo dei ricorsi – costituenti indici certi della ricorrenza nei due imputati dell’elemento soggettivo necessario ai fini dell’integrazione del reato.
La sentenza impugnata, riferendosi solo al profilo della non confermata macroscopica illegittimità RAGIONE_SOCIALE atti, sull’erroneo presupposto che esso costituisse l’unico elemento posto a fondamento dell’accertamento del dolo, avrebbe omesso di considerare significativi elementi fattuali, accertati dalla Corte di appello di L’Aquila con pronuncia passata in giudicato, che proverebbero, invece, come le condotte poste in essere dai due prevenuti fossero state effettivamente sorrette da dolo intenzionale.
Il Procuratore generale ha rassegNOME conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
I difensori di COGNOME NOME hanno deposito note difensive con cui, in esito ad articolate argomentazioni, hanno richiesto che i ricorsi delle parti civili costituite vengano dichiarati inammissibili, o comunque rigettati.
Il difensore di COGNOME NOME ha, del pari, redatto memoria ex art. 611 cod. proc. pen., istando per l’inammissibilità o il rigetto dei proposti ricorsi.
Il difensore della parte civile NOME ha depositato motivi nuovi, ex artt. 605 e 585, comma 4, cod. proc. pen., con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Avverso tale ultimo atto sono state presentate note difensive in replica da parte dei difensori dell’imputato COGNOME, reiterando l’istanza di declaratoria di inammissibilità o di rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti dalle parti civili non sono fondati, per cui gli stes devono essere rigettati.
2. In primo luogo infondata è l’introduttiva doglianza, con cui i ricorrenti hanno eccepito come lo specifico compito rimesso ai giudici del rinvio fosse stato quello di verificare se la norma dell’art. 1.6.4., comma 2, N.T.A. al PRAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fosse stata dettata in attuazione del disposto dell’art. 9, comma 3, D.M. n. 1444/1968, in particolar modo provvedendo ad accertare quale versione dell’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.RAGIONE_SOCIALE. del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fosse stata effettivamente vigente al momento del rilascio del permesso di costruire in variante n. 25/2010.
A dire dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe mal effettuato l’indicato accertamento, sostenendo che la condotta dei prevenuti sarebbe stata da vagliarsi alla stregua della nuova formulazione dell’indicata norma – approvata tre anni dopo il rilascio del titolo abitativo ed applicabile nelle sole zone di edificazione individuate con la lettera C – e non già dell’antecedente versione, invece da ritenersi effettivamente vigente al momento dei fatti e nel caso di specie violata, stante l’illegittimità del titolo edilizio rilasciato al Gav considerato che per tale disciplina non sussisteva alcuna distinzione in ordine alla natura attribuita alla zona di edificazione.
L’eccepita doglianza, pertanto, avrebbe ad oggetto una presunta violazione del dictum imposto con il giudizio rescindente, sul presupposto che la Corte di appello avrebbe omesso di valutare la specifica questione di diritto rimessale dalla Suprema Corte.
Il Collegio rileva, invece, in termini difformi, come la suddetta censura non sia stata correttamente prospettata, essendo diverso l’oggetto del tema(devoluto da parte del giudice del rinvio alla Corte territoriale.
La Terza Sezione di questa Corte, infatti, aveva sottoposto al vaglio dei giudici del rinvio la rivalutazione, sul piano oggettivo, dei profili di illegittim RAGIONE_SOCIALE atti amministrativi concernenti la distanza del costruendo fabbricato dai due limitrofi, sia quanto al rispetto della distanza di dieci metri da calcolarsi da parete a parete, sia quanto alla distanza da eventualmente computarsi in relazione all’altezza RAGIONE_SOCIALE edifici, tenendo poi conto di tali valutazioni anche ai fini dell sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Orbene, adeguatamente attenendosi alle specifiche coordinate impostegli, la Corte di appello di Perugia, in esito ad un’articolata argomentazione di natura tecnica, ha ritenuto di escludere la configurabilità del delitto di abuso di ufficio, non ravvisando né la violazione delle norme regolamentari di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 né delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per l’effetto escludendo l’integrazione del reato ex art. 323 cod. pen. sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo.
Diffusamente analizzato il contenuto delle norme tecniche di attuazione, infatti, la Corte di appello ha evidenziato, con motivazione esente da illogicità manifesta, come nessuna illegittimità derivante dalla violazione di tali norme ed inerente alle distanze dal confine tra edifici, in relazione alla relativa altezza, avesse attinto i permessi rilasciati alla RAGIONE_SOCIALE, ivi compreso quello a costruire in variante.
Ritenuta la ricorrenza del solo residuo profilo di illegittimità riguardante il rilascio dei permessi in violazione della distanza dell’edificio dal fronte strada, la Corte territoriale ha rilevato, con argomentazione ldgica e non inadeguata, come tale univoca ipotesi non potesse, di per sé, bastare a far considerare integrato il delitto di abuso di ufficio, non potendo essa essere valutata quale condotta intenzionalmente finalizzata a procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero ad arrecare un danno ingiusto.
Con riferimento, poi, alla specifica questione dedotta dalle parti civili, la Corte di appello ha diffusamente esplicato come il prospettato profilo di illegittimità inerente alla violazione dell’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dovesse essere escluso anche per l’effetto di una compiuta applicazione dello ius superveniens.
Ed infatti, proprio dando applicazione alle specifiche indicazioni rese dal giudice rescindente – di cui sono stati riportati ampi stralci di motivazione in sentenza – la Corte di appello ha congruamente esplicato come la questione di diritto relativa all’analisi del se la citata disposizione di cui all’art. 1.6.4. N. dovesse essere stata dettata, o meno, in attuazione del disposto dell’art. 9, comma 3, D.M. n. 1444/1968 fosse da ritenersi superata dall’espressa modifica normativa disposta, in ambito nazionale, dall’art. 5, comma 1, lett. b -bis), d.l. 8 aprile 2019, n. 32 (c.d. “sblocca cantieri”), per il quale «le disposizioni di cui all’art. 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9», vale a dire alle zone di espansione C, con esclusione, pertanto, di quelle su cui insiste l’immobile oggetto del presente giudizio, posto in zona classificata come B2.
La Corte di appello ha, quindi, effettuato adeguato e logico riferimento all’esegesi espressa dalla Terza Sezione di questa Corte nella sentenza di rinvio, per la quale, in punto di valenza applicativa temporale della nuova normativa, deve essere condiviso «l’orientamento della giurisprudenza civile di questa Corte giusta il quale, trattandosi di norma interpretativa, la stessa deve trovare applicazione ex tunc», altresì rilevando che «si è infatti condivisibilmente affermato che il citato art. 5, comma 1, lett. b -bis), dl. n. 32 del 2019 integra,
alla stregua del senso letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore e di una lettura logico-sistematica della disciplina, gli estremi di una norma di applicazione autentica che attribuisce alla stessa uno dei possibili significati · consentiti dalla formulazione testuale e recepito da larga parte della giurisprudenza amministrativa, sicché la stessa è stata appunto ritenuta applicabile ai rapporti in corso, non già quale disciplina favorevole sopravvenuta, ma perché corrispondente alla regolamentazione applicabile “ah origine” al rapporto, fermo restando il solo limite delle situazioni consolidate per essersi lo stesso definitivamente esaurito (cosi, Sez. 2 civ., ord. n. 7027 del 12/03/2021, Rv. 660749)».
Secondo tale interpretazione, pertanto, il legislatore nazionale non è intervenuto con una modifica della previgente normativa extra-penale, in quanto tale inapplicabile retroattivamente, ma con una disposizione cui la giurisprudenza civile della Corte di Cassazione ha riconosciuto natura di norma di interpretazione autentica, con conseguente suo naturale effetto retroattivo, imponendo al giudice di adeguarsi ad una fra le diverse interpretazioni possibili in base al testo originario della norma autenticamente interpretata.
Del tutto correttamente, quindi, il giudice del rinvio ha ritenuto di valutare, conseguentemente, in termini positivi la legittimità del permesso di costruire, in base al testo dell’art. 1.6.4. N.T.A. al P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE come autenticamente interpretato, con effetto retroattivo, dal legislatore nazionale.
Trattasi di argomentazione espressa con motivazione logica e congrua, scevra dai prospettati vizi e conforme ai dettami resi nella pronuncia rescindente, come tale non sottoponibile a riforma da parte di questo giudice di legittimità.
Parimenti priva di pregio è la seconda censura dedotta dai ricorrenti, con cui le parti civili hanno eccepito vizio di motivazione in relazione all’affermata insussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie prevista dall’art. 323 cod. pen., sul presupposto che la Corte territoriale avrebbe ignorato taluni elementi fattuali, presenti nel provvedimento impugNOME e nelle precedenti sentenze di condanna emesse dal Tribunale di Teramo e dalla Corte di appello di L’Aquila, che attesterebbero, invece, la ricorrenza di sicuri indici di presenza del dolo intenzionale nella condotta riferibile agli imputati.
Orbene, premesso che la suddetta censura opera un non consentito riferimento anche ad aspetti fattuali diffusamente elencati da parte dei ricorrenti – presenti in un provvedimento decisorio oramai giuridicamente inesistente, per essere stata annullata la sentenza della Corte di appello di L’Aquila dalla pronuncia della Terza Sezione di questa Corte, il Collegio rileva
come, in ragione delle considerazioni in precedenza espresse, la circostanza che la Corte territoriale – in ossequio all’intervenuto ridimensionamento, con puntuali e vincolanti argomentazioni in diritto, dei vari profili di vizio de permesso di costruire invece ritenuti presenti nelle prime sentenze di merito abbia limitato l’illegittimità dei provvedimenti censurati alla sola violazione della distanza di dieci metri del nuovo fabbricato rispetto al fronte strada, ha, nella sostanza, consentito di accertare come l’assetto probatorio giudizialmente acquisito fosse risultato tale da far ritenere insussistente l’elemento oggettivo del reato contestato. Ciò, per l’effetto, ha determiNOME un sostanziale deficit probatorio anche per ciò che attiene all’individuazione della ricorrenza del dolo del delitto di abuso di ufficio, essendo state escluse le reiterate e gravi violazioni che avevano, invece, rivelato la sussistenza di macroscopiche illegittimità dei provvedimenti amministrativi adottati, ritenute dai primi giudici quale presupposto legittimante la conseguente individuazione dell’elemento soggettivo del delitto ex art. 323 cod. pen. nelle condotte imputabili al COGNOME e all’COGNOME.
D’altro canto, a fronte delle logiche e congrue valutazioni espresse dalla Corte di merito, le suddette prospettazioni difensive, volte a incoraggiare una diversa lettura delle risultanze probatorie giudizialmente acquisite rispetto a quella operata dalla Corte di appello nel provvedimento impugNOME, riguarda aspetti non passibili di valutazione in questa sede di legittimità, essendo ben noto come, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito della Corte di cassazione non sia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello stabilire se questi ultimi abbiano esamiNOME tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Corte di legittimità la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimit denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, cioè, la rilettura RAGIONE_SOCIALE elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
v
•
esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i moltepli arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01).
Ebbene, nel caso di specie può senz’altro ritenersi che la Corte territoriale, con motivazione adeguata e logica, abbia fornito una chiara rappresentazione RAGIONE_SOCIALE elementi di fatto considerati nella propria decisione, rispetto ai quali il ricorrente ha ‘solo proposto una lettura alternativa, non consentita in questa sede di legittimità.
In esito alle superiori considerazioni, deve, pertanto, essere pronunciato il rigetto dei ricorsi, cui consegue la condanna delle parti civili ricorrenti a pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le parti civili ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 21 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Pres ente