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Abuso d’ufficio: desistenza e tentativo nel reato

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per abuso d’ufficio a carico di amministratori comunali, riqualificando il fatto come reato tentato e non consumato. La vicenda riguardava l’affidamento diretto di un immobile storico a un’associazione. La Corte ha stabilito che la sola delibera di giunta non è sufficiente a integrare il ‘vantaggio patrimoniale’ richiesto dalla norma. Poiché un dirigente ha interrotto l’iter prima della stipula della convenzione finale, si è configurata una desistenza volontaria, che ha reso il fatto non punibile per tutti i concorrenti.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abuso d’Ufficio: Quando l’Atto si Ferma Prima del Vantaggio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto cruciale del reato di abuso d’ufficio, distinguendo nettamente tra reato consumato e reato tentato. Il caso, che ha coinvolto diversi amministratori comunali, verteva sull’affidamento diretto di un immobile storico a un’associazione no-profit. La Corte ha stabilito che la sola delibera amministrativa, senza la successiva stipula di una convenzione, non è sufficiente a concretizzare il vantaggio illecito, aprendo la strada all’assoluzione per desistenza volontaria.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla decisione di una Giunta comunale di affidare, per un periodo di tre mesi, l’utilizzo di alcuni locali di un prestigioso albergo di proprietà comunale a un’associazione di promozione sociale. L’accordo prevedeva che l’associazione, in cambio dell’uso, si facesse carico di lavori di pulizia e ripristino. L’affidamento era avvenuto in via diretta, senza una gara pubblica, e il presidente dell’associazione beneficiaria era legato da un rapporto di amicizia e sostegno politico al Sindaco.
Nei primi due gradi di giudizio, il Sindaco, i componenti della Giunta e altri funzionari erano stati condannati per abuso d’ufficio in concorso, per aver intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale all’associazione e al suo presidente.

L’accusa di abuso d’ufficio e le decisioni di merito

Le corti di merito avevano ritenuto che la condotta degli amministratori integrasse il reato di abuso d’ufficio sotto un duplice profilo:
1. Violazione di legge: L’affidamento diretto configurava una concessione di servizi che, secondo la normativa all’epoca vigente (d.lgs. 163/2006), avrebbe richiesto una procedura di gara, seppur informale.
2. Violazione del dovere di astensione: Il Sindaco avrebbe dovuto astenersi dal partecipare alla decisione, dato il suo rapporto personale con il beneficiario, che configurava un interesse proprio, anche solo di natura morale e non patrimoniale.
Il vantaggio patrimoniale ingiusto era stato individuato nella possibilità, concessa all’associazione, di utilizzare un immobile di prestigio, accrescendo la propria posizione e ottenendo un beneficio economico.

La decisione della Cassazione sull’abuso d’ufficio: dal reato consumato al tentativo

La Corte di Cassazione, accogliendo le tesi difensive, ha ribaltato la prospettiva. I giudici hanno sottolineato che, per la consumazione del reato di abuso d’ufficio, è necessario che il vantaggio patrimoniale o il danno siano concretamente realizzati. Nel caso di specie, la delibera della Giunta era un atto programmatico, che poneva le condizioni per un futuro vantaggio, ma non lo realizzava direttamente. L’effettivo accrescimento della posizione giuridica dell’associazione si sarebbe verificato solo con la stipula della convenzione attuativa, che avrebbe formalizzato diritti e obblighi.
Poiché tale convenzione non è mai stata firmata, il vantaggio è rimasto allo stadio di mera potenzialità. La condotta degli amministratori, quindi, non ha portato a compimento il reato, ma si è fermata alla soglia del tentativo.

L’impatto della Desistenza Volontaria

L’elemento decisivo per l’assoluzione è stato l’intervento di una dirigente comunale. Dopo la pubblicazione della delibera, le proteste sollevate dall’opposizione e dalla cittadinanza l’hanno indotta a non procedere con la stipula della convenzione. Al contrario, ha deciso di avviare direttamente la fase successiva, quella di una procedura a evidenza pubblica.
La Cassazione ha qualificato questa scelta come desistenza volontaria. Non è necessario che la decisione di interrompere l’azione sia spontanea o dettata da un pentimento morale; è sufficiente che sia una scelta libera, non imposta da fattori esterni che rendono impossibile la prosecuzione. Poiché l’intervento della dirigente ha interrotto l’iter criminoso prima che producesse l’evento finale (il vantaggio), e poiché tale interruzione ha reso inefficace il contributo di tutti i concorrenti, la desistenza ha prodotto effetti favorevoli per tutti gli imputati, portando all’annullamento della condanna perché il fatto non costituisce reato.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di principi consolidati. In primo luogo, ha riaffermato che il momento consumativo del reato di abuso d’ufficio coincide con la produzione effettiva dell’evento di danno o di vantaggio, e non con il semplice compimento dell’atto illegittimo. La delibera era un atto idoneo a produrre il vantaggio, ma non era di per sé il vantaggio. In secondo luogo, ha chiarito che la desistenza volontaria, essendo una causa di non punibilità, opera quando l’agente interrompe volontariamente l’azione. Nel caso di un reato plurisoggettivo, l’atto di desistenza di un concorrente (in questo caso la dirigente) si estende a tutti gli altri se riesce a neutralizzare l’intero percorso criminale, impedendo il verificarsi dell’evento.

Le conclusioni

La sentenza offre un’importante lezione sulla struttura del reato di abuso d’ufficio. Distingue chiaramente tra gli atti preparatori, che possono integrare al massimo un tentativo, e la realizzazione concreta del vantaggio, necessaria per la consumazione. Inoltre, valorizza l’istituto della desistenza volontaria come meccanismo che può neutralizzare la rilevanza penale di una condotta, anche quando questa sia già stata deliberata e pianificata. Per gli amministratori pubblici, ciò significa che l’interruzione di un iter procedurale illegittimo, prima che produca effetti concreti, può essere decisiva per escludere la responsabilità penale.

Quando si consuma il reato di abuso d’ufficio?
Secondo la Corte, il reato si consuma non con la semplice adozione dell’atto amministrativo illegittimo (come una delibera), ma solo nel momento in cui si verifica concretamente l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno. La delibera può costituire un atto idoneo, ma se richiede un’ulteriore fase esecutiva (es. la stipula di un contratto), il reato è solo tentato fino al completamento di tale fase.

Cosa si intende per desistenza volontaria e quali sono i suoi effetti?
La desistenza volontaria si verifica quando un soggetto interrompe l’esecuzione del reato per una scelta autonoma, non perché costretto da eventi esterni che rendono impossibile o troppo rischioso continuare. L’effetto è la non punibilità per il reato tentato. Gli eventuali atti già compiuti possono essere puniti solo se costituiscono, di per sé, un reato diverso.

In un reato commesso da più persone, la desistenza di uno solo può beneficiare tutti gli altri?
Sì, la desistenza di un concorrente beneficia tutti gli altri se il suo atto riesce a impedire la consumazione del reato, interrompendo la sequenza causale e rendendo inefficace il contributo di tutti i partecipanti. Nel caso di specie, la decisione della dirigente di non stipulare la convenzione ha bloccato l’intero piano, neutralizzando gli effetti della delibera approvata da sindaco e giunta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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