Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5077 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5077 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato il 18/09/1983 a Reggio Calabria Acquaviva NOMECOGNOME nata il 31/03/1958 a Taranto COGNOME NOME, nato il 23/04/1980 a Reggio Calabria COGNOME NOMECOGNOME nato il 18/07/1982 a Reggio Calabria COGNOME NOME nata il 09/04/1964 a Laureana COGNOME Marino NOMECOGNOME nato il 09/07/1978 a Bergamo COGNOME NOME nato il 07/05/1983 a Reggio Calabria COGNOME NOME, nata il 24/12/1977 a Reggio Calabria COGNOME NOMECOGNOME nata il 02/12/1977 a Reggio Calabria COGNOME NOME nato il 16/03/1967 a Reggio Calabria COGNOME NOME, nato il 23/04/1950 a Reggio Calabria avverso la sentenza in data 08/11/2022 della Corte di appello di Reggio Calabria
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la riqualificazione del reato come tentativo e per l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
uditi i difensori, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME per Acquaviva, Avv. NOME COGNOME in sost. dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME anche in sost. Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME anche in sost. dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME in sost. dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME per COGNOME, Avv. NOME COGNOME per COGNOME, i quali hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 08/11/2022 la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato, riducendo le pene e c:oncedendo la non menzione, quella del Tribunale di Reggio Calabria in data 19/11/2021, con cui il Sindaco di Reggio Calabria NOME COGNOME i componenti della Giunta comunale NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME , la dirigente di settore NOME COGNOME il Segretario comunale NOME COGNOME il terzo beneficiario NOME COGNOME nella veste di presidente dell’associazione no pro fit «Il sottoscala», sono stati riconosciuti colpevoli del delitto di abuso di ufficio
In particolare, è stato addebitato agli imputati di aver concorso nelle diverse vesti a procurare intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale a NOME COGNOME, attraverso la delibera di Giunta del 16 luglio 2015, con cui a fronte dei lavori di ripristino e pulizia, si affidava senza procedura ad evidenza pubblica e senza previa gara informale, alla associazione di promozione sociale «Il sottoscala» per tre mesi l’utilizzo di alcuni locali della struttura denominata Albergo Miramare, dichiarata di interesse culturale, per la realizzazione di una serie di eventi con finalità di promozione culturale e ricreativa.
I giudici di merito hanno ritenuto che la delibera avesse ad oggetto una concessione mista di servizi, relativa alla valorizzazione del bene di interesse culturale, adottata senza previa gara informale ai sensi dell’art. 30 d.lgs. 163 del 2006, integrante altresì un vantaggio economico concesso senza previa determinazione dei criteri, in violazione degli artt. 12 legge 241 del 1990 e 26 d.lgs. 33 del 2013, e che la stessa fosse stata adottata in violazione del dovere di
astensione gravante sul Sindaco, legato a COGNOME da stretti rapporti di amicizia e di riconoscenza.
Hanno inoltre ritenuto che con tale delibera e con l’affidamento in via di fatto del bene, prima della stipula della prevista convenzione, fosse stato arrecato un ingiusto vantaggio patrimoniale, idoneo a determinare un indebito accrescimento della situazione giuridica dell’associazione e una condizione di favore anche in vista della successiva richiesta di manifestazione di interesse, contemplata per il periodo successivo.
Hanno proposto ricorso tutti gli imputati tramite i rispettivi difensori ne termini che seguono.
3) Acquaviva NOME
3.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 323 cod. pen., 30 d.lgs. :163 del 2006, 118, comma quarto, Cost., 10, 112, 117 d.lgs. 42 del 2004.
Ricostruita l’impostazione delle sentenze di merito, incentrate sulla configurabilità di una concessione mista, con contenuto principale di concessione di servizio, la ricorrente ne segnala l’erroneità.
La delibera 101 del 2015 si poneva al di fuori del ciclo di eventi denominati Estate Reggina 2015 e non configurava una concessione di servizio pubblico in ordine alla messa a disposizione in via temporanea e sperimentale dell’associazione onlus Il sottoscala di alcuni locali della struttura Albergo Miramare, per la realizzazione di un suo programma di eventi culturali, che avrebbe costituito un’esperienza pilota di utilizzo della struttura in vist dell’elaborazione di un programma dell’ente, da rendere pubblico mediante apposito avviso, come di seguito sarebbe avvenuto.
Richiama la sentenza 67/2014 del TAR Liguria in ordine alle finalità di tutela della concorrenza e di pari trattamento, che presiedono all’evidenza pubblica nel caso di concessioni di beni pubblici suscettibili di sfruttamento commerciale o costituenti il mezzo per affidare a terzi attività suscettibili di sfruttamento, essend altrimenti ravvisabile una manifestazione del potere dominicale dell’ente e non essendo l’ente tenuto a procedure comparative, allorché ritenga che l’attività di determinati soggetti possa essere favorita in ragione dell’interesse per la collettività.
Avrebbe dovuto ritenersi errato il riferimento all’art. 12 legge 241 del 1990 e all’art. 26 d.lgs. 33 del 2013 in tema di vantaggi economici che implicano la predisposizione di criteri e modalità: in realtà erroneamente i giudici di merito avevano escluso la corrispettività in relazione all’importo dei lavori e al confronto
con canoni locativi esigibili per quel tipo di strutture, venendo in rilievo u affidamento solo temporaneo di alcuni locali in condizioni precarie e non in uso.
La Corte aveva rafforzato la sua valutazione facendo riferimento al d.lgs. 42 del 2004 in relazione alla qualità di bene di valore culturale della struttura.
Ma erroneamente era stato richiamato l’art. 10 che è applicabile nel caso di appartenenza a soggetti diversi da Stato, regioni ed enti territoriali.
Inoltre, non era comunque configurabile un servizio pubblico nei termini delineati dalla sentenza n. 7 del 2014 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in assenza dei delineati tratti distintivi.
Era ultroneo il riferimento all’art. 112 d.lgs. 42 in materia di servizi aggiuntiv fermo restando che il Comune non aveva elaborato un programma di iniziative finalizzate ad esigenze della collettività, ciò che l’ente si riprometteva di fare prosieguo.
L’affidamento del bene era estraneo al disposto dell’art. 11.7 d.lgs. 42 in tema di servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico.
Il contenuto della delibera incriminata si risolveva nell’attività di gestion dominicale del bene in via transitoria, e, non essendo ravvisabile un atto destinato allo sfruttamento economico, non avrebbe dovuto attivarsi una procedura di evidenza pubblica.
Nessuna delle norme che si assumono violate era dunque applicabile, mentre l’azione della ricorrente, nella veste di Segretaria comunale, era valsa a ricondurre la delibera nell’alveo della legalità, anche in ragione del riferimento all sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma quarto, Cost.
Sul piano della motivazione la Corte aveva erroneamente operato un’interpretazione della volontà della Giunta di voler applicare l’art. 118 comma quarto Cost.
Sul punto del rapporto tra Giunta e associazione aveva travalicato il dato letterale della delibera, in una interpretazione delle intenzioni o emettendo di valutare il carattere programmatico e di indirizzo della delibera.
Riportando quest’ultima, quale atto di indirizzo, nei suoi vari passaggi, rileva la ricorrente che era legittima la cornice normativa entro cui era stata concretizzata la volontà amministrativa, essendo stato colto l’interesse pubblico a dare corso all’iniziativa pilota.
3.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento psicologico in capo alla ricorrente.
Segnala le deduzioni contenute al riguardo nell’atto di appello e contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva fatto riferimento a fatti inventati, non riscontrati dagli atti processuali, in ordine alla circostanza c fossero emersi prima della pubblicazione del testo definitivo il rapporto tra il
Sindaco e COGNOME e la riconducibilità dell’associazione a quest’ultimo, dovendosi desumere il contrario dalle dichiarazioni rese dall’assessore COGNOME fermo restando che, quanto alla mancanza di una previa istruttoria, avrebbe dovuto farsi riferimento alle dichiarazioni della teste COGNOME che aveva parlato di quanto preventivamente valutato a tal fine.
Indebitamente la Corte aveva tratto la dimostrazione del dolo della ricorrente riconducendo la volontà di agevolare l’obiettivo delittuoso del Sindaco alla sua funzione e alla mancanza di una cornice normativa. Ma il contrasto con il quadro normativo era stato desunto sulla base di un’interpretazione a posteriori, quando la ricorrente non aveva ravvisato una concessione di servizi, anche in ragione della mancanza dello scopo di lucro.
Apoditticamente era stata attribuita alla ricorrente la volontà di agevolare il Sindaco.
4) COGNOME NOME
4.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’individuazione della violazione di legge che integra il delitto di abuso di ufficio
La Corte aveva escluso che la proposta dell’associazione II sottoscala fosse riconducibile al bando per l’Estate Reggina, quando lo stesso non indicava tassativamente i siti e statuiva un potere discrezionale, onde poter valutare le offerte relativamente ad altri siti: la proposta dell’associazione dunque si inseriva in un contesto di evidenza pubblica.
4.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine al tema del danno ingiusto e dell’ingiusto vantaggio patrimoniale.
La Corte aveva indebitamente motivato in ordine alla doppia ingiustizia, cioè in ordine alla verifica che il risultato della condotta non spettasse in base al diritt oggettivo.
Peraltro, avrebbe dovuto considerarsi la natura non lucrativa dell’associazione e il suo oggetto sociale, riguardante il coinvolgimento di persone con disabilità.
Erroneamente era stato fatto riferimento allo squilibrio del rapporto sinallagmatico, a fronte dei ridotti costi per i lavori di sistemazione, quando in mancanza di formale consegna non vi era mai stato un conteggio dettagliato dei lavori.
Congetturali e privi di riscontro erano i riferimenti all’accrescimento della situazione giuridica soggettiva, connesso alla messa in possesso di fatto del bene, all’avviamento dei lavori, alla possibilità di incassare biglietti, alla possibili partecipare a successiva procedura ad evidenza pubblica.
4.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in riferimento all’elemento soggettivo.
Non era prospettabile la macroscopicità della violazione e inoltre avrebbe dovuto considerarsi la compresenza di una finalità pubblicistica.
Né avrebbero potuto valutarsi fasi successive a quelle della delibera, approvata nel testo appositamente emendato’ nella seduta del 16 luglio 2015.
E neppure avrebbe potuto valorizzarsi uno sketch satirico a comprova dei rapporti intercorrenti tra il Sindaco e COGNOME.
5. COGNOME Giuseppe
5.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 521, 522 e 604 cod. proc. pen.
Prospetta un difetto di correlazione tra contestazione e sentenza nella parte in cui sono state valorizzate violazioni di legge non menzionate nell’imputazione.
Il Tribunale aveva in particolare fatto riferimento all’art. 42, comma 2, lett. I T.U. 267 del 2000, rilevando l’incompetenza della Giunta, a fronte del potere deliberativo spettante al Consiglio in tema di affidamento in uso di immobile, facendo riferimento alla dolosa soppressione nella proposta di delibera dell’inciso riguardante l’art. 30 del codice degli appalti, cui corrispondeva la violazione del citato art. 42, ciò che in realtà costituiva un prius logico nella sequenza del comportamento criminoso.
La Corte aveva rilevato che non si ravvisava immutazione del fatto, sussistendo una relazione di continenza tra le violazioni e, quanto alla divergenza tra l’originaria proposta e il testo conclusivo, trattandosi di dato processuale emerso dall’istruttoria: la Corte non aveva 1:uttavia considerato la componente normativa della fattispecie e non aveva dimostrato l’effettiva possibilità di difesa, fermo restando che il problema non era quello della divergenza in sé, ma dell’attribuzione o meno a tale divergenza del carattere fraudolento.
La Corte aveva inoltre introdotto l’ulteriore riferimento all’art. 42, comma 2, lett. e), TU 267 del 2000, rimarcando la competenza del Consiglio in tema di affidamento di attività o servizi mediante concessione e rilevando che la Giunta avrebbe potuto solo dare attuazione alle direttive del Consiglio, definendo le modalità attuative.
Anche in questo caso si trattava di profilo non contenuto nella contestazione, per giunta venuto in rilievo solo nella sentenza impugnata.
Inoltre, la Corte aveva dato primario rilievo, al fine di ritenere applicabile una procedura di evidenza pubblica, alla natura del bene, in quanto rientrante nell’applicazione del d.lgs. 42 del 2004, i cui artt. 112, 115 e 117, anche in ragione del richiamo da parte dell’art. 197 del codice degli appalti, avrebbero dovuto condurre a ritenere che la valorizzazione di un bene di interesse culturale era possibile mediante concessione di servizio, soggetta a procedura ad evidenza
pubblica. Ma anche in questo caso l’impostazione della Corte si era fondata su un quadro normativo non considerato nella contestazione, influente anche sull’elemento psicologico, con relativo vulnus difensivo.
5.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 56, 110, 323 cod. pen.
In primo luogo, segnala che alla base del ragionamento della Corte vi era la riconducibilità del rapporto ad una concessione di servizi.
Ma a tal fine illogicamente era stato valorizzato un atto successivo, cioè l’avviso pubblicato in esecuzione della stessa delibera 101 del 2015, quando in realtà l’associazione non aveva vinto la procedura così avviata e neppure aveva siglato alcuna convenzione in base della delibera 101.
Altrettando illogicamente la Corte aveva valorizzato il successivo regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione, per vagliare la legittimità della precedente condotta della Giunta.
Ed ancora incongruamente e contraddittoriamente la Corte aveva fondato il proprio giudizio sulla configurabilità di una concessione di servizi quando nel contempo aveva richiamato l’art. 42, comma 2, lett. I) TU 267 del 2000 che fa riferimento a concessioni di immobili e non a concessione di servizi.
Il tema della violazione dell’art. 12 legge 241 del 1990 si poneva in correlazione con quello della patrimonialità del vantaggio.
La Corte aveva rilevato che l’affidamento dei locali del Miramare era avvenuta in assenza della predeterminazione e pubblicazione dei criteri cui attenersi.
Ma si tratta di norme di principio che non disciplinano in modo puntuale e analitico la condotta del pubblico ufficiale, tanto da necessitare di solito di un regolamento.
Inoltre, la stessa Corte aveva dato conto di un regolamento del 2003 per la concessione di contributi e altri benefici economici nell’ambito delle attività culturali, non risultando congruo l’assunto che un regolamento dovesse essere previsto per ciascun procedimento di attribuzione.
In ogni caso era mancante il requisito della economicità del vantaggio.
Il ragionamento della Corte sul punto era erroneo, in quanto il difetto di economicità non era riconducibile al carattere sinallagmatico del rapporto ma alla mancanza di patrimonialità nella attribuzione del bene.
La domanda era volta ad ottenere la possibilità di svolgere occasionalmente attività di interesse pubblico in una sede di interesse pubblico, non potendosi ravvisare dunque l’economicità del vantaggio attribuito e non essendo congruo il riferimento al risparmio di un costo di gestione.
E’ dedotta violazione di legge in ordine al tema dell’obbligo di astensione che la Corte aveva correlato ad un debito di riconoscenza verso COGNOME e ad un vantaggio nella sfera personale delle relazioni sociali ed amicali.
Ma in realtà non era stato indicato un interesse proprio del ricorrente, sul quale non ricadevano gli effetti del provvedimento.
Inoltre, in senso contrario, avrebbe potuto valorizzarsi la circostanza che solo nei confronti di dipendenti pubblici è previsto l’obbligo di astensione nel caso in cui siano coinvolti soggetti con i quali si abbia abituale frequentazione.
In ogni caso l’interesse deve essere inteso come interesse economico, mentre la Corte aveva sul punto omesso di motivare in ordine alle deduzioni difensive, finendo per dare rilievo ad una situazione di interesse personale, quanto meno indiretto, in tal modo confermando che l’interesse non era né personale né proprio.
Travisato era altresì il dato desunto dai contatti telefonici, in quanto la Corte aveva fatto riferimento a 99 contatti, mentre il dato era il risultato di un duplicazione derivante dal riferimento al numero del ricorrente e all’utenza di COGNOME.
Anche in punto di evento del reato la sentenza risulta affetta da violazione di legge e vizio della motivazione.
Difetta l’elemento della patrimonialità, dovendo comunque escludersi che un vantaggio si fosse verificato.
La Corte aveva fatto coincidere l’evento con la disponibilità derivante dall’immissione in possesso dei locali, ma non aveva spiegato come ciò implicasse un accrescimento della situazione soggettiva e fosse suscettibile di valutazione economica.
Aveva parlato della possibilità di ravvisare l’evento nel materiale affidamento del servizio e del bene, ma nel caso di spese erano mancati la stipula della convenzione e il materiale affidamento del servizio, essendosi fatto riferimento ad ipotesi correlate non ad un vantaggio reale bensì solo potenziale.
Tutt’al più sarebbe stato ravvisabile un tentativo.
Inoltre, indebitamente era stato prospettato un titolo preferenziale nell’ambito della successiva procedura, ciò che era stato frutto del travisamento delle dichiarazioni di COGNOME.
Anche in punto di ingiustizia del vantaggio la Corte era incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione, non potendosi far riferimento alla successiva procedura e dovendosi aver riguardo a ciò che non era consentito dal diritto oggettivo esistente al momento dei fatti.
Avrebbe dovuto valutarsi se l’associazione disponeva o meno dei requisiti, a prescindere dalla successiva procedura, fermo restando che l’ingiustizia non può essere riflesso di una condotta illegittima.
Inoltre, se l’affidamento era stato fatto all’associazione, non avrebbe potuto parlarsi di ingiustizia del vantaggio, in quanto correlato ad una fictio iuris tra l’associazione e COGNOME.
In punto di elemento psicologico era ravvisabile un vizio di motivazione.
La Corte avrebbe dovuto interrogarsi in un quadro assai confuso sulla consapevole volontà di violare la normativa, a cominciare dal profilo della spettanza della competenza al Consiglio.
Inoltre, era stato escluso che la finalità pubblica avesse assunto rilievo preminente a fronte del fine di favorire COGNOME.
Ma ciò si poneva in contraddizione con l’ziissoluzione degli imputati dal reato di falso sub B), incentrato fra l’altro sull’indicazione di una finalità pubblica.
5.3. Con successiva memoria è stato presentato un motivo nuovo.
Con esso si denuncia violazione di legge in relazione all’art. 323 cod. pen. e all’art. 30 d.lgs. 50 del 2016.
Si richiamano le recenti modifiche dell’art. 323 cod. pen. volte ad escludere la rilevanza di norme di principio, di carattere generale, come l’art. 97 Cost, e ad attribuire rilievo a precetti specifici.
Fermo restando che l’art. 30 cit. non era applicabile, in ogni caso la norma non avrebbe avuto le caratteristiche strutturali per costituire elemento idoneo ad integrare il reato di cui all’art. 323 cod. pen.
Essa esprime infatti solo un principio di imparzialità e buon andamento come desumibile anche dalla rubrica della norma, in cui si fa riferimento a principi.
In tale prospettiva si fa riferimento ad una recente sentenza di questa sezione che ha escluso una violazione di legge rilevante con riferimento all’art. 4 d.lgs. 50 del 2016, in quanto contenente una disposizione programmatica e di principio.
Ma tale norma ha struttura corrispondente a quella dell’art. 30 cosicché non vi è margine per la sua valutazione ai fini dell’integrazione dell’ipotesi di abuso di ufficio.
6. NOME
6.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e mancanza e vizio di motivazione.
La Corte aveva omesso di motivare in ordine alle plurime deduzioni riguardanti il coefficiente psicologico, anche in ordine al fatto che fosse o meno notorio il rapporto tra il Sindaco e COGNOME, elemento desunto da dichiarazioni di COGNOME travisate, e al fatto che la discussione avvenuta il 27 luglio 2015 non avrebbe potuto valutarsi a carico del ricorrente, risultato assente a quella seduta, con conseguente travisamento delle relative risultanze.
6.2. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 521, 522 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost., 6 C.E.D.U.
La condanna si era basata sull’individuazione dell’incompetenza della Giunta, costituente un profilo diverso da quelli oggetto di contestazione, non potendosi ravvisare un rapporto di continenza rispetto alla violazione dell’art. 30 d.lgs. 163 del 2006, tanto meno considerando che il richiamo dell’art. 42, comma 2, lett. I), era riferibile a concessioni di beni immobili e dunque valeva a sganciare la prospettazione dell’incompetenza dal riferimento all’art. 30 codice appalti.
Finiva per risultare un fatto diverso cullminante nella dolosa soppressione dell’inciso riguardante l’art. 30, posta in essere per eludere le norme sulla competenza e sull’evidenza pubblica, ma estranea all’imputazione e dunque in violazione anche delle garanzie costituzionali e convenzionali.
Inoltre, va rimarcato il vulnus difensivo derivante dall’aver ritenuto ravvisabile come evento il danno ingiusto, che la Corte erroneamente aveva ritenuto incluso nella contestazione, nonostante il diverso avviso del Tribunale.
6.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle norme in varia guisa poste a fondamento della violazione di legge, integrante il delitto di abuso di ufficio.
La lettura fornita dalla Corte non era coincidente con quella del Tribunale a dimostrazione della divergenza di opinioni giuridiche, tale da rendere problematico l’assunto che il ricorrente avesse agito con dolo.
Peraltro gli argomenti posti dalla Corte alla base dell’inquadramento del rapporto in termini di concessione di servizi era erronea, in quanto si era fondata piuttosto sull’avviso del 21 settembre 2015 e perché quella ricostruzione non trova risconto nella giurisprudenza amministrativa, volta a delineare una concessione di servizi, facendo riferimento ad un contratto oneroso volto a trasferire il rischio della gestione a carico dell’affidatario nell’ambito di una gestione imprenditoriale, ben diverso risultando il caso in esame, in virtù della cessione ad uso occasionale, limitata ad un tempo ristretto per l’organizzazione di eventi sociali e culturali senza scopo di lucro.
Non avrebbe inoltre potuto valorizzarsi la mancanza di previa istruttoria, che non rileva quale vizio sostanziale dell’atto.
Quanto al profilo dell’incompetenza, la stessa era da escludersi non ricorrendo concessione di servizi, e comunque era irrilevante, avendo provveduto di seguito la Giunta anche nel novembre 2015, quando a rigore avrebbe potuto ricorrersi a delibera consiliare, evidentemente non presa in considerazione, senza alcuna consapevolezza della sua necessità.
Non avrebbe potuto applicarsi l’art. 12 legge 241 del 1990, riferito a elargizioni economiche in assenza di corrispettivo da parte del beneficiario, non
applicabile a concessione in locazione di immobile con oneri di esecuzione dei lavori.
Incongrui erano peraltro i parametri utilizzati dalla Corte per escludere una controprestazione, in ordine all’entità dei lavori, all’impossibilità di acquisi vantaggi economici, alla messa in relazione di situazioni non comparabili.
I segni di difficoltà interpretativa si riverberano sulla configurabilità del dolo non si conciliano con la violazione di una specifica regola di condotta, espressamente prevista dalla legge.
Alla resa dei conti non era stato spiegato il motivo per cui il ricorrente non ritenesse la richiesta non meritevole di accoglimento dopo le modifiche dallo stesso richieste, peraltro in un quadro compatibile con il ritenuto riferimento all’uso dell’amministrazione condivisa, ex art. 118 Cost.
6.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento materiale dell’ingiusto vantaggio patrimoniale e del danno ingiusto.
L’assegnazione temporanea e sperimentale con finalità culturale e senza scopo di lucro precludeva la configurabilità di un vantaggio patrimoniale.
In ogni caso la delibera non aveva avuto formale esecuzione e il 31 agosto la dirigente COGNOME aveva comunicato che avrebbe proceduto direttamente all’avviso pubblico.
La Corte aveva dato rilievo all’immissione di COGNOME nel possesso dei locali per svolgere il servizio senza alcun confronto con altri interessati.
Ma la delibera riguardava l’associazione e non COGNOME e in ogni caso si confondeva la violazione di legge con il vantaggio patrimoniale.
Era tutt’al più ravvisabile un mero tentativo seguito da desistenza volontaria a seguito dell’iniziativa di COGNOME
Inoltre, ragionare in termini di vantaggio patrimoniale rispetto a COGNOME implicava la sovrapposizione del tema del dolo intenzionale e, quanto al ricorrente, la verifica della sua conoscenza dell’esistenza di un accordo tra COGNOME e il Sindaco.
L’assunto della coincidenza del vantaggio con la messa a disposizione prima della stipula e a prescindere dalla gestione era in contrasto con il tenore della delibera con cui era stato previsto che le iniziative culturali fossero approvate dal settore di competenza solo dopo la stipula.
Non vi era stato accrescimento della situazione soggettiva, fermo restando che l’affidamento sperimentale presupponeva una spesa e non anche incassi, solo potenziali.
In ogni caso la consegna dei locali non era stata valutata in relazione alla posizione del ricorrente, posto che il fatto non era avvenuto in esecuzione della delibera.
In ordine all’ingiustizia, la Corte aveva finito per farla coincidere con la violazione di legge, mentre la stessa va correlata ad un interesse reale della pubblica amministrazione, nel senso che il risultato della condotta deve corrispondere ad una situazione antigiuridica, senza considerare il mezzo con cui la condotta è stata posta in essere.
In concreto non era stata posta in discussione l’idoneità dell’associazione, non rilevando l’esito della successiva selezione pubblica.
La sentenza era inoltre illogica nell’aver prospettato uno speculare danno ingiusto a carico di terzi.
6.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al profilo dell’elemento psicologico.
Indicati gli elementi da cui la Corte aveva desunto il dolo, segnala che l’intenzionalità avrebbe dovuto correlarsi alla condotta del 16 luglio 2015, dovendosi al riguardo considerare l’assoluzione dal delitto di falso di cui al capo B).
In punto di consapevolezza e volontà la sentenza non si confrontava con il contenuto della delibera, incentrata sull’affidamento provvisorio e sulla successiva adozione di una procedura ad evidenza pubblica.
Inoltre, non aveva valutato l’intenzione di favorire il privato alla luce dell modifiche apportate proprio il 16 luglio, volute dal ricorrente nell’interesse pubblico, secondo quanto desumibile dalle dichiarazioni dell’imputato, valorizzate nell’atto di appello.
Alla condotta del ricorrente in linea con il perseguimento dell’interesse pubblico la Corte aveva contrapposto una valutazione incentrata sul rilievo della violazione di legge, in relazione alla mancanza di valutazione comparativa e di vaglio di congruità tecnico economica dell’unica istanza considerata.
In tale prospettiva la Corte aveva omesso di considerare che il ricorrente aveva avuto unicamente di mira l’interesse pubblico.
Il dolo intenzionale era stato desunto dalla delibera e dalla sua tempistica, mentre la conoscenza del rapporto tra COGNOME e il Sindaco era ritenuta notoria. Ma non era stato spiegato perché il ricorrente avesse chiesto modifiche.
Non era stato dimostrato che vi fosse consapevolezza della riferibilità dell’associazione a Zagarella e del rapporto tra costui e Falcorratà, tanto che alla resa dei conti la valutazione si era fondata sull’assunto della volontà degli assessori di assecondare il desiderio di deliberare del Sindaco, in aggiunta alla valorizzazione
dello sketch satirico di COGNOME e di quanto avvenuto nel corso della seduta del 27 luglio.
Richiamati i motivi di appello sul punto, il ricorrente sottolinea come la valorizzazione di tale seduta sia riprova dell’utilizzo di fatti postumi, per giunt travisando il dato probatorio, attesa l’assenza del predetto.
Del resto, il ricorrente era estraneo al fatto della consegna delle chiavi dei locali a Zagarella, senza che comunque ne avesse avuto notizia.
7. NOME NOME
Ricorso a firma dell’Avv. COGNOME
7.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e travisamento della prova in relazione agli artt. 323 cod. pen., 48 e 107 d.lgs. 267 del 2000.
Premesso che l’ipotesi accusatoria deve essere letta alla luce dell’intervenuta assoluzione degli imputati dal delitto di falso ideologico di cui al capo B), con cui è stata confermata la datazione della delibera e della sua approvazione, rileva il ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto, tale delibera non corrispondeva ad una concessione di servizi ma era un atto di indirizzo privo di contenuto dispositivo e non incidente su posizioni soggettive, con cui si rimetteva al responsabile di settore l’adozione degli atti conseguenti per dare attuazione a quanto previsto e la promozione di iniziative analoghe a prevalente evidenza pubblica, con il limite della finalità culturale e dell’assenza di scopo di lucro.
A tale responsabile competeva dunque l’atto di gestione, ben potendo il predetto valutare la possibilità di far ricorso ad istituti civilistici e individu contraente con provvedimento diretto, adeguatamente motivato.
Non era stato dato mandato di sottoscrivere una concessione di beni o servizi per i tre mesi estivi e in ogni caso la delibera per la parte relativa all’affidamento in via sperimentale non aveva avuto attuazione attraverso uno specifico atto gestionale.
Con successiva delibera era stato dato invece mandato di indire procedura ad evidenza pubblica.
Non era dunque configurabile il reato contestato, poiché l’atto di indirizzo non violava alcuna norma e comunque non arrecava alcun vantaggio patrimoniale all’associazione II sottoscala o un danno ingiusto altrui.
Né era rilevante il tema della competenza, a fronte dell’adottato atto di indirizzo, in quanto l’atto di gestione era di competenza dirigenziale.
7.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 323 cod. pen. all’art. 97 Cost, all’art. 2 d.lgs. 165 del 2001, agli artt. 78 e 42 TUEL, agli artt 1 e 30 d.lgs. 163 del 2006, all’art. 12 legge 241 del 1990.
L’ipotesi accusatoria era risultata incerta, in quanto fondata sull’applicabilità in via alternativa di norme prive di specifico contenuto precettivo, da cui non residuava margine di discrezionalità.
La Giunta non aveva accolto la proposta incentrata su un disciplinare di concessione in uso di bene immobile e aveva invece prefigurato un obiettivo di valorizzazione della struttura sul piano culturale, richiamando anche l’art. 118 Cost. e dunque facendo riferimento ad un’ipotesi di amministrazione condivisa.
Erano individuate due fasi temporali cui dovevano corrispondere procedimenti amministrativi di carattere gestionale, il primo basato sull’utilizzo in vi sperimentale per la stagione estiva della struttura da parte dell’associazione II sottoscala, il secondo su un avviso esplorativo di manifestazione di interesse per la concessione dei locali, circoscritta a soggetti no pro fit per il periodo successivo.
La Corte, nel qualificare l’oggetto della delibera, aveva omesso di considerare che si trattava di atto di indirizzo e inoltre aveva inteso dimostrare la propria decisione incentrata sulla concessione di un servizio pubblico facendo riferimento ad atti incidenti sulla seconda fase, fermo restando che la prima non era stata portata a compimento con atti gestionali del dirigente di settore.
La Giunta aveva deliberato non in tema di concessione di servizio pubblico, ma di programmazione dell’utilizzo di un bene comunale in disuso con finalità culturale. Il dirigente del settore competente avrebbe potul:o approvare nella prima fase uno schema di comodato modale, avvalendosi della capacità di diritto privato in ordine a bene del patrimonio disponibile.
In ogni caso il dirigente avrebbe dovuto eseguire la procedura di affidamento nei modi di legge e in esecuzione della delibera di Giunta, ove avesse inteso applicare il codice degli appalti, avrebbe potuto far riferimento all’art. 125 d.lgs 163 del 2006 in tema di servizi inferiori a quarantamila euro, che consentono l’affidamento diretto.
La Corte aveva anche fatto riferimento alla legge 241 del 1990, erroneamente individuando un provvedimento attributivo di vantaggio economico.
Alla resa dei conti nel caso di specie non esisteva un servizio comunale in essere o un servizio da istituire ex novo, ma si trattava dell’utilizzazione in via provvisoria per soli tre mesi di una ex struttura alberghiera, che non doveva massimizzare il rendimento ma essere riattivata e rianimata sul piano culturale ad opera di soggetto che non doveva conseguire profitti, trattandosi di operazione socio-culturale e non imprenditoriale.
7.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione della sentenza di assoluzione per il capo B).
Da tale assoluzione discendeva che la delibera non era stata adottata per sanare l’affidamento di fatto del bene e non poteva affermarsi che i componenti
della Giunta avessero concesso in uso il bene comunale, posto che l’atto deliberativo non aveva immesso l’associazione nel possesso della struttura e che la consegna delle chiavi non si ricollegava all’atto.
7.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento costitutivo dell’ingiusto vantaggio patrimoniale.
In un caso in cui alla delibera non era seguita la sua concreta attuazione con atto gestionale del dirigente, non avrebbe potuto ravvisarsi un vantaggio per l’associazione, posto che i contratti della P.A. devono concludersi per iscritto.
Non avrebbe potuto ravvisarsi una consegna di fatto del bene, correlata alla consegna delle chiavi, posto che la stessa non discendeva dalla delibera e che comunque non si determinava in tal modo un accrescimento della posizione soggettiva, essendo erroneo il riferimento fatto dalla Corte alla possibilità di sfruttare un titolo preferenziale in vista di successive procedure di affidamento, titolo che implicava lo svolgimento dell’attività e comunque avrebbe dovuto essere concretamente riconosciuto nella relativa procedura.
Non si era in concreto realizzata una condizione più favorevole sotto il profilo economico, essendo insufficiente una situazione valutabile solo in modo indiretto o potenziale.
Il vantaggio avrebbe potuto discendere dalla formale assegnazione del bene o del servizio, non potendo discendere da una situazione non nquadrabile tra gli atti della P.A a contenuto economico, fermo restando che COGNOME non era entrato nei locali in veste di concessionario ma per rendersi conto delle condizioni dell’immobile o addirittura senza titolo.
Inoltre, era stata omessa la valutazione dell’ingiustizia del vantaggio, diversa dal riscontro di una violazione idonea a connotare la condot:ta, non essendosi verificato che il soggetto proponente avesse o meno titolo per conseguire la disponibilità dell’immobile per condurre l’attività culturale.
7.5. Con il quinto motivo denuncia difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, nonché violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al tema del danno ingiusto.
La contestazione non faceva riferimento all’ipotesi del danno ingiusto.
Ma lo stesso era stato indebitamente ravvisato nella perdita di chance da parte di potenziali concorrenti, non identificati, fermo restando che la procedura era stata attivata da un’unica proposta nell’ambito dell’estate reggina.
7.6. Con il sesto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento del doto intenzionale.
La Corte aveva ravvisato l’intendimento di tutti di dare una parvenza di legalità alla decisione della Giunta, che assicurasse l’uso dei locali all’amico
imprenditore del Sindaco, essendo inoltre ravvisabile la macroscopicità della violazione.
Ma non aveva considerato che era stata modificata l’originaria proposta e che era stato apposto il visto di legittimità tecnica amministrativa, elemento tale da determinare un legittimo affidamento, unitamente alle puntualizzazioni del Segretario comunale che aveva redatto il testo definitivo della delibera.
Vi era consapevolezza di un’azione conveniente, non implicante alcun impegno di spesa.
I componenti della Giunta erano consapevoli di non perseguire interessi o vantaggi economici di natura utilitaristica, avendo inteso realizzare l’interesse pubblico della promozione sociale e culturale. Non era per contro dimostrabile il preminente interesse di avvantaggiare il privato, fermo restando che si trattava solo dell’atto prodromico rispetto all’atto gestionale, mai adottato.
7.7. Con il settimo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’ipotesi del tentativo e della desistenza volontaria.
L’evento del reato avrebbe potuto discendere dall’atto gestionale del dirigente, che tuttavia non era stato adottato, essendosi la dottssa COGNOME limitata a chiedere al rappresentante dell’associazione se vi era ancora l’interesse all’utilizzo e, dopo aver ricevuto risposta positiva, avendo volontariamente deciso di desistere dal porre in essere l’atto di esecuzione della prima parte dell’atto di indirizzo.
In tale quadro la condotta non era giunta a compimento, mentre era ravvisabile una desistenza volontaria, non essendo richiesta la spontaneità ma occorrendo che la prosecuzione non sia impedita da fattori esterni tali da rendere improbabile il successo dell’azione, e dunque una scelta che possa dirsi frutto di libera determinazione.
7.8. Con successiva memoria l’Avv. COGNOME ha approfondito e ribadito i temi oggetto del ricorso con riguardo al profilo della violazione di legge, dell’elemento psicologico, del vantaggio ingiusto e del danno ingiusto e della desistenza volontaria.
Ricorso a firma dell’avv. COGNOME
7.9. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’applicazione degli artt. 1 e 30 d.lgs. 163 del 2006 ai fini dell’integrazione de delitto di abuso di ufficio.
L’assunto della configurabilità di una concessione di servizi, rafforzata dalla disciplina inerente alla concessione di beni di interesse storico-artistico, era da ritenersi erroneo.
Avrebbe dovuto considerarsi che la delibera riguardava un immobile del patrimonio disponibile, e che l’art. 19 d.lgs. 163 del 2006 stabiliva che lo stesso
non si applicava ai contratti pubblici fra l’altro riguardanti l’acquisto o la locazio di beni immobili o riguardanti diritti su tali beni.
L’atto di concessione in godimento di un bene del patrimonio disponibile avrebbe dovuto ritenersi assoggettato a regime privatistico, risultato coerente con il regolamento 296 del 2005, riguardante immobili dello Stato.
Ed ancora avrebbe dovuto valutarsi la delibera in relazione alla natura del soggetto richiedente, associazione onlus, operante senza fine di lucro.
Ai sensi dell’art. 32 legge 383 del 2000 era consentita la concessione in comodato di beni di proprietà dei comuni ad associazioni di promozione sociale e di volontariato per attività istituzionali senza che fosse prevista una procedura di evidenza pubblica.
La disciplina di riferimento della delibera non poteva prescindere dal fatto che era ribadita la finalità culturale e senza scopo di lucro delle iniziative proposte, coerente con la caratterizzazione statutaria dell’associazione come onlus.
Conduce a tale ricostruzione anche la sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale e il sistema europeo esaminato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, essendosi ritenuto che sia concessa agli Stati la possibilità di apprestare per attività a spiccata valenza sociale un modello organizzativo ispirato al principio di solidarietà.
Milita nello stesso senso la sentenza del TAR Liguria n. 67 del 2014, in cui si riconosce come inerente al potere dominicale dell’ente la concessione di beni non destinati a sfruttamento economico.
Gli arresti del Consiglio di Stato ritenuti coerenti con la decisione impugnata ineriscono a contratti a titolo oneroso con soggetti aventi natura di operatori economici, che ottengono concessioni che prevedono utili e trasferiscono rischio di impresa.
Ai sensi dell’art. 113 d.lgs. 267 del 2000 sono servizi pubblici di rilevanza economica quelli che si rivolgono alla collettività e hanno una redditività tale da dar vita a mercato concorrenziale.
Ma nel caso di assenza di scopo lucrativo e di mancanza di rischio economico il servizio non avrebbe potuto ricondursi a tale categoria.
La Corte sfumando i caratteri di economicità aveva finito per confondere in un’unica disciplina situazioni giuridiche strutturalmente diverse.
7.10. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’individuazione dell’art. 12 legge 241 del 1990 e dell’art. 26 d.lgs. 33 del 2013 come violazione di legge integrante il delitto contestato.
L’art. 12 postula la predeterminazione dei criteri nel caso di concessione di vantaggi economici in assenza di meccanismi di corrispettività.
Il vantaggio si risolve nell’attribuzione di denaro o di un altro bene economicamente valutabile senza che vi sia rapporto di corrispettività e sorga in capo al destinatario l’obbligo di restituzione o di una controprestazione si nallag matica.
La disciplina non è dunque applicabile allorché si registri una forma di corrispettività, come nel caso di specie in cui erano previsti costi per rendere utilizzabili i locali.
7.11. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’applicazione dell’art. 42 d.lgs. 267 del 2000 come norma la cui violazione integra il delitto contestato, nonché violazione dell’art 521 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La Corte aveva ritenuto che la delibera presupponesse l’approvazione del Consiglio Comunale.
Tale violazione non era stata contestata e determinava un vulnus difensivo.
Era stata omessa la valutazione del fatto che il Consiglio Comunale aveva dichiarato l’immobile come patrimonio disponibile.
Contraddittoriamente era stata prospettata l’usurpazione delle funzioni consiliari che in realtà si era espresso.
Semmai al Consiglio sarebbe spettata l’adozione di un atto di indirizzo con cui si disponesse con carattere di permanenza su un immobile dell’ente, non su un comodato d’uso con oneri di manutenzione di un immobile in via temporanea senza fini di lucro, ciò che inerisce all’amministrazione ordinaria.
L’asserita violazione dell’art. 42 comma 1, lett. I) d.lgs. 267 cit. era semmai coerente in caso di servizio pubblico a contenuto economico, di cui si demandi la gestione a soggetto privato con utile di impresa, non con una concessione d’uso di immobile per soli tre mesi senza fine di lucro e per attività di animazione culturale.
Relativamente all’art. 42, comma 1, lett. e), che riguarda i poteri di indirizzo del Consiglio in ordine a organizzazione o cessione di servizi pubblici comunali, per la gestione in forma privatistica di attività proprie dell’amministrazione, rileva i ricorrente che il Consiglio fissa la cornice regollamentare con cui cede l’operatività ad un altro soggetto che gestisce il servizio.
La competenza in materia appalti e concessioni è del Consiglio solo per gare non previste in atti fondamentali del Consiglio o non rientranti nell’ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di altri organi. Al di fuori gli atti sono gestione o di ordinaria amministrazione, affidati alla Giunta.
Altra cosa è la programmazione di animazione culturale o ludica in via temporanea.
Non ricorre dunque la violazione, peraltro neppure contestata.
7.12. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge in relazione al d.lgs. 42 del 2004 e all’art. 521 cod. proc. pen., e vizio di motivazione.
Segnala che la violazione non aveva formato oggetto di contestazione ed era stata inserita dalla Corte territoriale.
Peraltro, era erroneo il riferimento alla disciplina dei contratti pubblici ne settore dei beni culturali per motivare l’illegittimità della deliberazione, riguardant la struttura Miramare.
La disciplina concerne programmazione’ direzione, esec:uzione di lavori e acquisto di beni e servizi nel settore dei beni culturali concernente appalti e contratti applicabili a titolo oneroso.
Semmai avrebbe potuto farsi riferimento all’art. 106 nella parte in cui prevedeva che Stato, Regioni e altri enti pubblici territoriali possono concedere l’uso di beni culturali per finalità compatibili con la destinazione culturale a singo richiedenti, norma che evoca piena discrezionalità anche nell’affermare il loro potere dominicale, al di fuori dello sfruttamento economico degli immobili.
7.13. Con il quinto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al dolo intenzionale.
La Corte aveva indebitamente svalutato il fatto che il Segretario comunale aveva modificato i richiami normativi in base ai quali si sarebbe potuto deliberare e il fatto che la delibera era munita del visto di regolarità tecnica amministrativa.
Ciò implicava la possibilità di invocare il principio di affidamento sulla base di un ausilio conoscitivo tecnico-contabile, tanto più alla luce dell’assistenza tecnica del Segretario comunale.
Non avrebbe potuto dirsi che plurime violazioni costituissero elemento centrale della pervicacia dolosa.
Inoltre, non si sarebbe potuto ravvisare il dolo intenzionale, in presenza di più fattori motivazionali che esprimevano coerentemente l’interesse pubblico.
Apoditticamente inoltre erano state confuse le sfere giuridiche, quella dell’associazione e quella del presidente COGNOME quando tale commistione era preclusa sia dalla delibera sia dallo statuto associativo.
7.14. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’ingiusto vantaggio patrimoniale.
Erroneamente era stato prospettato un potenziale illecito sfruttamento della struttura da parte di Zagarella, in luogo di un corretto utilizzo da parte dell’associazione, profilo non sostenuto da alcun elemento probatorio.
Altrettanto erroneamente era stata rappresentata un’identificazione tra sfera patrimoniale dell’associazione e quella di COGNOME.
L’atto amministrativo non si inquadrava inoltre tra gli atti a contenuto economico, essendo escluso lo sfruttamento economico del bene.
Semmai l’associazione era svantaggiata, essendo gravata dai lavori di ristrutturazione iniziale, ciò che avrebbe favorito patrimonialmente il Comune.
La Corte, parlando di accrescimento di possibilità, non aveva chiarito come lo stesso potesse realizzarsi, considerando che la delibera non aveva prodotto effetti e che non bastava una mera potenzialità.
Né avrebbe potuto parlarsi di immissione in possesso anticipata, essendo semmai ravvisabili atti tollerati.
Quanto al danno ingiusto, era da ritenersi non ravvisabile in ragione del meccanismo di rotazione trimestrale, essendo semmai applicato un criterio di priorità temporale.
7.15. Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla qualificazione dell’atto concessorio.
La Corte era incorsa nel vizio di mera apparenza della motivazione, in quanto le sentenze citate per sostenere la proposta qualificazione inerivano ad una diversa casistica.
7.16. Con l’ottavo motivo deduce violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della scusante in base ai principi desumibili dalla sentenza 364 del 1988 della Corte costituzionale.
Era sufficiente il principio affermato nella sentenza del TAR Liguria per invocare il principio dell’ignoranza scusabile.
La Corte era incorsa in vizio di motivazione in ordine all’erronea applicazione della legge penale che presupponga violata una disciplina non applicabile, fermo restando che l’orientamento invocato avrebbe consentito di valutare la giustificatezza dell’ignoranza, in quanto legittimata dalla giurisprudenza amministrativa.
8. NOME
8.1. Con il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per difetto di correlazione con la contestazione.
Era stata denunciata la violazione del difetto di correlazione in cui era incorso il Tribunale individuando un profilo di violazione di legge ulteriore, costituit dall’incompetenza dell’organo deliberante agli effetti dell’art. 42 d.lgs. 267 del 2000.
La Corte aveva ravvisato un rapporto di continenza tra le violazioni, ritenendo inidoneo il profilo a determinare un vulnus difensivo.
Ma si trattava di violazioni, quella dell’art. 30 cod. appalti e dell’art. 42 ci tra le quali quel tipo di rapporto non intercorreva, non costituendo l’incompetenza una stretta conseguenza della scelta di affidare un servizio senza il ricorso ad una procedura ad evidenza pubblica.
Per giunta la Corte, con sviluppo interpretativo imprevedibile, aveva individuato un ulteriore profilo di violazione, facendo riferimento agli artt. 112 115, 117 codice dei beni culturali, richiamati dall’art. 197 codice degli appalti, ciò che aveva condotto la Corte a rafforzare il giudizio sull’illegittimità dell’operat della giunta, in assenza di un regolamento di concessione a terzi dell’uso dei locai della struttura Miramare.
Del resto in punto di dolo si è sostenuto che proprio l’assenza di un regolamento locale e la violazione della competenza dovevano considerarsi quali indici rivelatori dell’intenzionalità della condotta, con cui gli assessori, compresa la ricorrente, avevano perseguito l’obiettivo di favorire COGNOME.
8.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla insussistenza delle violazioni di norme extrapenali contestate e dell’evento della fattispecie incriminatrice.
Come già rilevato nell’atto di appello la Giunta non aveva violato l’art. 30 del codice appalti, in quanto con la delibera era stata data attuazione all’art. 118 Cost. ed era stata sperimentata una iniziativa volta ad arricchire il panorama delle offerte di attività culturali ai cittadini, senza alcun vantaggio patrimoniale o danno a terzi.
L’attività dell’associazione II sottoscala non doveva soggiacere a regole concorrenziali proprie delle attività commerciali, ponendosi la scelta di instaurare una breve relazione con associazione di volontariato alternativa a quella di mercato fuori del perimetro operativo del codice degli appalti, come desumibile dalla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale.
L’ente, nel concedere beni non destinati a sfruttamento economico, non era tenuto all’espletamento di un confronto comparativo, ma nell’esercizio delle proprie attribuzioni discrezionali avrebbe dovuto motivatamente dar conto del fatto che l’attività di particolari soggetti meritava di essere favorita per l’intere che presentava nella coincidenza delle finalità del privato con quelle dell’ente.
Ma la Corte aveva ritenuto che le finalità dell’atto fosse quella di affidare a terzi la prestazione di un servizio qualitativamente adeguato la cui gestione avrebbe dovuto essere assunta dall’ente solo tramite concessione, con ricorso a procedura di evidenza pubblica.
Alla resa dei conti secondo la Corte era ravvisabile un affidamento di servizi, aventi ad oggetto la valorizzazione di un bene di interesse culturale, con applicazione del codice dei beni culturali, richiamato dall’art. 197 codice appalti.
Di qui anche l’incompetenza della Giunta che aveva agito in assenza di una cornice normativa locale in materia di affidamento mediante convenzione di attività o servizi, relativi a beni comuni urbani.
Ma in realtà il ricorrente aveva contribuito a deliberare un atto di indirizzo destinato alla successiva esecuzione, nel quale erano assenti indici rivelatori dell’utilitas di un servizio e in particolare gli obblighi di servizio e connesso rapporto trilaterale con l’utenza nonché la programmazione o la conformazione degli eventi in vista dell’espletamento dell’attività secondo canoni definiti.
Non possono valere gli obblighi contenuti nel successivo avviso del 21 settembre o nella convenzione sottoscritta con «Ulysses», per conferire alla delibera significato e natura differenti da quelli desumibili dal suo tenore letterale.
Va richiamata la possibilità di concedere ‘l’utilizzazione di beni ad associazioni di promozione sociale senza previo ricorso a procedure di evidenza pubblica (arg. ex art. 32 legge 383 del 2000 e 106 d.lgs. 42 del 2004).
Quanto all’art. 12 legge 241 de 1990, la valutazione della Corte si era fondata su un travisamento, in quanto era erroneo che non vi fosse una controprestazione, avuto riguardo alla presa in carico dei lavori, e inoltre l’attività era svo dall’associazione senza scopo di lucro, ciò c:he valeva ad escluder un indebito arricchimento.
Del resto, è ritenuta ammissibile la concessione in uso di beni pur in assenza di una convenienza economica, allorché venga perseguito un interesse pubblico equivalente o superiore rispetto a quello raggiunto con lo sfruttamento economico del bene, dovendo l’ente indicare la finalità pubblicistica e verificare che l’utili rientri nelle finalità cui l’ente è deputato.
In tale prospettiva la concessione in comodato di beni di proprietà è consentita, ove sia perseguito un interesse pubblico equivalenl:e o superiore o nei casi in cui non sia rinvenibile scopo di lucro nell’attività svolta dall’utilizzatore.
Fermo restando che non vi fu comunque indebito arricchimento, non era prevista distribuzione di utili, cosicchè la scelta di instaurare un rapporto temporaneo di utilizzo non si poneva in contrasto con la disciplina generale dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici, della quale si discute.
In tal modo non vi era stata illegittima attribuzione di vantaggio patrimoniale. Quanto alla ravvisabilità dell’evento la Corte si era basata su affermazioni apodittiche e congetture, in concreto eludendo la verifica della doppia ingiustizia e basandosi sul rilievo dell’illegittimità della condotta.
Non era chiaro come potesse incidere la disponibilità dell’immobile quando l’iter amministrativo non si era perfezionato, quale accrescimento della posizione soggettiva connessa all’accordo, o come l’assegnazione temporanea potesse costituire titolo preferenziale.
Meramente potenziali erano le pretese fonti di introiti, risultando oggettivamente mancante un vantaggio patrimoniale in capo al beneficiario.
Né avrebbero potuto ravvisarsi danni ingiusti altrui in forma di perdita di chance.
8.3. Con il terzo ordine di motivi denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al dolo.
L’intenzionalità dell’evento implica che il soggetto abbia avuto di mira quel risultato e ciò può desumersi da plurimi indici, come la capacità professionale del soggetto, l’apparato motivazionale del provvedimento, le relazioni intercorrenti con il soggetto o i soggetti destinatari dell’atto.
Era stato prospettato che la ricorrente, non competente in quel settore, aveva serenamente partecipato alla riunione, fornendo il suo contributo in termini di proposte e sottolineando l’opportunità di favorire l’interesse pubblico e arricchire il panorama delle offerte culturali.
La Corte si era basata essenzialmente sul rilievo del comportamento non iure e aveva fatto riferimento anche al contenuto di alcune conversazioni cui la ricorrente era sicuramente estranea.
Ha inoltre escluso che l’interesse pubblico fosse stato il primario obiettivo. Ma ha valorizzato profili inconsistenti, non potendosi inoltre dire che il fatto d rapporto tra il Sindaco e COGNOME fosse acquisito alle conoscenze della collettività.
Né avrebbe potuto disconoscersi la valenza del legittimo affidamento, applicabile anche a chi riveste qualifica pubblica.
La ricorrente non avrebbe dovuto porsi il problema della professionalità dell’associazione e della completezza dell’istruttoria preliminare. Inoltre, non aveva favorito ad alcuno l’immissione nel possesso dell’immobile.
Non era inoltre emerso che la ricorrente avesse contezza della riconducibilità dell’associazione a Zagarella.
Del resto, lo scontro tra COGNOME e il Sindaco si era tradol:to in messaggi non inviati alla ricorrente ed era cessato prima della conferenza stampa.
Ella non conosceva né l’associazione né COGNOME e dette il suo assenso alla limitata fruizione di alcuni spazi del Miramare a fronte di un impegno di spesa della associazione, anche alla luce delle valutazioni espresse da chi aveva le necessarie competenze.
9. COGNOME NOME
9.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al dolo concorsuale.
La Corte non aveva operato alcuna distinzione tra le diverse posizioni e aveva inoltre omesso di valutare gli elementi addotti per escludere la configurabilità del dolo in capo al ricorrente, non potendosi fra l’altro considerare la chat COGNOME, successiva all’approvazione della delibera.
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Indebitamente, al fine di dar conto della conoscenza della riconducibilità dell’associazione a Zagarella, amico del Sindaco, aveva valorizzato quanto emerso nell’ambito della seduta del 27 luglio 2015, cui COGNOME non aveva preso parte.
Con motivazione apparente era stato valorizzato il fatto che di seguito nessuno degli assessori avesse preso le distanze, chiedendo l’annullamento in autotutela e che tutti fossero stati solidali con il Sindaco in occasione della conferenza stampa del 7 agosto.
Si trattava di passaggio privo di efficacia dimostrativa, che comunque valorizzava un post factum, irrilevante rispetto al quadro delle consapevolezze maturate al momento della delibera.
Quanto poi all’assunto della macroscopicità della violazione, la stessa implicava che il ricorrente avesse contezza delle criticità legai:e al rapporto tra i Sindaco e COGNOME e che si fosse rappresentato le evidenti violazioni, ma nella sostanza era stato fatto riferimento ad elementi sopravvenuti e l’evidenza della violazione non avrebbe potuto ravvisarsi, anche considerando che si erano registrate difformità tra l’impostazione dell’imputazione e il giudizio del Tribunale e che la Corte aveva introdotto l’elemento desunto dal Testo Unico dei Beni Culturali.
In ordine al dolo concorsuale il ricorrente si duole inoltre della valorizzazione del tema della consegna delle chiavi, fatto al quale egli era estraneo, e della mancata analisi delle deduzioni difensive in ordine alla doppia ingiustizia, peraltro correlata ad un vantaggio arrecato a COGNOME, ciò di cui il ricorrente non aveva consapevolezza prima di sapere che l’associazione era un mero schermo dietro il quale si celava il predetto.
9.2. Con un secondo ordine di motivi denuncia mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in ordine al tema dell’interposizione dell’associazione II sottoscala.
Considerando che era stato dato rilievo al carattere fitl:izio dell’intervento dell’associazione, quale schermo rispetto al ruolo di COGNOME era stata chiesta nell’interesse di quest’ultimo la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’escussione di COGNOME PaolaCOGNOME presente all’epoca della presentazione della proposta, onde verificare l’operatività dell’associazione, ma la Corte aveva ritenuto la prova non necessaria, pur avendo poi ribadito il carattere fittizio dell’intervento dell’associazione. In tal modo era stata omessa, con motivazione viziata, una prova contraria decisiva, in graado di influire in modo determinante su un aspetto rilevante ai fini della decisione.
Inoltre la Corte non aveva motivato in ordine agli elementi esposti nell’atto di appello per segnalare l’effettiva operatività dell’associazione, solo ad una congettura essendo stata ricondotta la sua riferibilità a COGNOME a fronte della
natura del progetto presentato, in linea con il contenuto dell’atto costitutivo dell’associazione di promozione sociale e priva di finalità di lucro, profilo non smentito dalle dichiarazioni del teste COGNOME che aveva avuto occasione di parlare con COGNOME e neppure dal tema riguardante i possibili incassi, in realtà solo ipotizzati dal teste COGNOME.
9.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 323 cod. pen.
La Corte non aveva correttamente applicato la norma incriminatrice, avendo fatto riferimento ad una concezione del vantaggio non avente natura patrimoniale, prospettato come meramente potenziale e comunque meramente economico.
9.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 323 cod. pen. e all’art. 12 legge 241 del 1990.
Tale disposizione ha natura di norma generale e di principio e non può dunque essere valorizzata ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 323 cod. pen.
9.5. Con il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 521. cod. proc. pen.
La censura era stata già proposta nell’atto di appello in relazione alla valorizzazione da parte del Tribunale della violazione dell’art. 42 d.lgs. 267 del 2000, non menzionata nel capo di imputazione. Ma la Corte aveva fatto altrettanto, facendo innovativamente riferimento alla violazione degli artt. 112, 115, 117 d.lgs. 42 del 2004 in violazione del contraddittorio.
10. Quattrone NOME
10.1. Dopo una premessa riassuntiva, con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’elemento della violazione di legge, integrante il delitto di abuso di ufficio.
La Corte aveva incentrato la decisione sul presupposto che fosse stato disposto un affidamento di servizi e locali delralbergo Miramare al di fuori di una valutazione comparativa, non essendo idoneo il bando della Estate Reggina 2015, sulla base del quale era stata presentata la proposta culturale dell’associazione Il sottoscala.
Ma in tale bando i siti erano stati indicati in modo non tassativo, onerandosi gli organizzatori di munirsi dei permessi relativi, lasciando spazio alla P.A. di poter esaminare istanze fuori termine e comunque con la possibilità di considerare le proposte ritenute idonee per altre iniziative del Comune. Nel bando non erano inoltre indicate limitazioni di durata delle manifestazioni proposte, offrendosi la possibilità di occupare gli spazi per il tempo necessario alla realizzazione di quanto proposto.
La Corte aveva travisato il dato probatorio, essendo incoerente il riferimento alla tassatività dei luoghi e alla trattazione separata rispetto alla delibera d 2/7/2015, ovvero alla durata delle manifestazioni.
La proposta dell’associazione era in linea con i criteri prescritti dal bando ed era stata inserita in una delibera di indirizzo in vista del successivo iter destinat a sfociare in una procedura ad evidenza pubblica per le attività culturali da svolgersi in alcuni locali del piano terra del Mirannare.
Oltre a menzionarsi il bando della Estate Reggina nella delibera si sollecitava la competente dirigente ad instaurare un ulteriore procedimento sulla scorta della verifica sperimentale in corso di esecuzione per saggiar proposte culturali riferite alla struttura, in attesa di un bando per affidare la gestione dell’attivi alberghiera.
10.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla valutazione del danno ingiusto e dell’ingiusto vantaggio patrimoniale.
Posto che occorre un vantaggio patrimoniale, che deve risultare ingiusto in quanto non spettante in base al diritto oggettivo a prescindere dall’illegittimità della condotta, la Corte, sulla base di un ragionamento viziato, aveva ritenuto di disattendere il rilievo che l’associazione non aveva finalità di lucro e inoltre aveva valorizzato la mancanza di equilibro della controprestazione in quanto il costo e la congruità degli interventi non erano stati verificati e comunque si sarebbe trattato di onere inferiore ad un canone di concessione.
La motivazione si era basata su elementi incerti e su una valutazione congetturale, rispetto ad un canone di locazione, quasi a voler intendere che l’ente volesse pretendere un pagamento per l’utilizzo temporale di un immobile chiuso da anni.
La Corte, per rappresentare il vantaggio patrimoniale, aveva fatto riferimento all’accrescimento della situazione soggettiva, sulla base di elementi incerti.
L’erronea valutazione del dato di partenza, cioè del fatto che la proposta non si riferisse al bando dell’Estate Reggina, aveva spostato il ragionamento sul piano dell’atto concessorio di servizi e non su quello della messa a disposizione dello spazio da utilizzare per le attività culturali. I profili di vantaggio individuati er congetturali in assenza di un programma degli eventi o di una pianificazione assentita dei lavori di adeguamento.
Priva di rilievo era inoltre la possibilità per l’associazione di partecipare all successiva manifestazione di interesse, in relazione alla quale non era stata selezionata, fermo restando che comunque l’associazione non aveva in concreto potuto svolgere l’attività, in quanto l’ente non aveva dato esecuzione alla delibera.
10.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell’elemento soggettivo.
Il ragionamento della Corte era viziato nella parte in cui aveva presunto una violazione macroscopica, senza considerare la riferibilità della delibera al bando dell’Estate Reggina, e aveva inoltre valorizzato il periodo successivo alla emanazione della delibera, fino alla fase della sua pubblicazione.
Si trattava di comprendere se a fronte di una violazione di legge fossero ravvisabili elementi aggiuntivi per ritenere che fossero state perseguite finalità recondite rispetto a quelle apparenti volte a tutelare l’interesse della collettività.
Ma in concreto la valutazione era stata inficiata dall’erroneo assunto della non riconducibilità della proposta al bando dell’Estate Reggina e della volontà di eludere una procedura ad evidenza pubblica.
Inoltre, indebitamente erano state prese in considerazione le vicende successive al momento deliberativo, cioè alla stesura del testo emendato nella seduta del 16/7/2015, fino alla pubblicazione.
Era irragionevole l’assunto che dovesse aversi riguardo alle criticità emerse nella successiva riunione del 27 luglio 2015 e che nessuno degli assessori avesse preso le distanze per sollecitare l’annullamento in autotutela, non potendosi dilatare l’ambito temporale entro il quale avrebbe dovuto saggiarsi la rappresentazione dell’illecito.
Incongruo era inoltre il riferimento allo sketch comico in cui si faceva riferimento ai rapporti tra il Sindaco e COGNOME, subentrato come presidente dell’associazione il giorno prima dell’atto deliberativo, non potendosi dire che lo stesso fosse da tutti conosciuto e considerato veritiero.
11. Spanò NOME.
11.1. Con i primi tre motivi denuncia: violazione degli artt. 101, 102, 115 D.Igs. 42 del 2004, in relazione alla loro ritenuta applicabilità in un caso d concessione in uso temporaneo e occasionale di alcuni locali di immobile sottoposto a tutela ma rientrante nel patrimonio disponibile; violazione degli artt. 42, 48, 112 d.lgs. 267 del 2000 per aver ritenuto viziata da incompetenza della Giunta Comunale la concessione in uso temporaneo e occasionale di alcuni locali di un immobile del patrimonio disponibile a favore di una associazione di promozione sociale; violazione degli artt. 118, comma quarto, Cost., 3, comma 5, d.lgs. 267 del 2000, 31 legge 383 del 2000, 826 e 828 cod. civ., 58 d.l. 112 del 2008 conv. dalla legge 133 del 2008.
L’immobile, inserito nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, avrebbe dovuto ritenersi rientrante nel patrimonio disponibile e dunque soggetto ad alienazione e concessione in godimento, salvo il rispetto delle tutele quale bene culturale, destinate a trasferirsi in capo all’acquirente o utilizzatore, ma al di fuo dell’applicabilità degli artt. 115 e 117 d.lgs. 42 del 2004.
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Conseguentemente gli atti dispositivi sono disciplinati da istituti civilistici d codice civile.
Solo in presenza del doppio requisito della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva concreta e attuale destinazione de bene al servizio pubblico, lo stesso è ascrivibile al patrimonio indisponibile, in mancanza non potendosi ricondurre la cessione in godimento ad un rapporto di concessione.
L’Hotel Miramare non era destinato ad un pubblico servizio né vi era in atto tale destinazione.
In mancanza del doppio requisito risulta dunque erronea la valutazione della Corte, fondata solo sul contenuto degli atti amministrativi, secondo cui il Comune non abbia inteso concedere in uso occasionale e temporaneo un immobile del patrimonio disponibile ma concesso l’espletamento di un servizio pubblico.
Né avrebbe potuto dirsi pertinente il riferimento ad una sentenza del Consiglio di Stato del 16 giugno 2022, perché riferita ad un servizio con finalità lucrative per il concessionario, disciplinato dal codice degli appalti di cui al d.lgs. 50 del 2016 e comunque perché non tale da consentire di comprendere il reale contenuto del precedente, fermo restando che la concessione di servizio è connotata dal trasferimento del rischio operativo.
Non risulta rilevante l’art. 112 T.u.e.I., mentre con riguardo agli artt. 113 e 113-bis, si delinea la distinzione tra servizio di rilevanza economica e servizio privo di rilevanza economica, tema oggetto di analisi in sede europea e in pronunce della Corte di Giustizia.
In concreto, la natura dell’immobile, l’assenza di deliberazione del Consiglio Comunale in ordine alla destinazione allo svolgimento di un qualsiasi servizio pubblico, l’occasionalità e temporaneità della concessione in uso, la natura di associazione di promozione sociale della destinataria, la finalità culturale e sociale che si intendeva soddisfare, impediscono di ritenere che la dirigente e la giunta dovessero senza margine di discrezionalità attenersi alla normativa ritenuta applicabile dalla Corte di appello.
La concessione in uso del bene rientrava nel potere discrezionale in relazione agli artt. 118, comma quarto Cost. e 3, comma 5, d.lgs. 267 del 2000 nel quadro di un’attività negoziale iure privatorum in assenza di una concessione amministrativa e di un atto autoritativo.
Essendo prevista la stipula di un contratto sostanzialmente di locazione transitoria, era ravvisabile un contratto attivo, escluso dall’applicazione del codice degli appalti e dal rispetto dell’evidenza pubblica.
Correlativamente la competenza spettava alla giunta.
Non avrebbe potuto valorizzarsi il richiamo nella proposi:a della dirigente e nella bozza di contratto dell’art 30 d.lgs. 163 del 2006, da ricondurre ad un mero refuso.
11.2. Con il quarto e il quinto motivo deduce: violazione dell’art. 12 legge 241 del 1990 e dell’art. 26 d.lgs. 33 del 2013, in quanto ritenuti applicabili, in relazion alla proposta di deliberazione n. 121 del 2015 con cui la dirigente aveva proposto di accogliere la richiesta dell’associazione di promozione sociale in ordine all’utilizzazione per tre mesi con contratto di natura privatistica di alcuni loca dell’immobile per lo svolgimento di attività socio culturali, conformi allo statuto con l’obbligo di compiere lavori di messa in sicurezza dell’impianto elettrico senza oneri per il comune; violazione delle stesse norme in relazione alla delibera 101 del 2015 della Giunta che dopo modifiche della motivazione aveva accolto la proposta autorizzando la dirigente a stipulare un contratto di natura privatistica con l’associazione per le ragioni indicate.
La Corte aveva ritenuto che fosse stato attribuito un vantaggio economico a COGNOME Paolo, senza previa determinazione e pubblicazione dei criteri da seguire nel procedimento.
Ma si parla di contributo pubblico quando la P.A. opera al di fuori di un rapporto contrattuale, in cui le erogazioni sono effettuate secondo norme che prevedono benefici al verificarsi dei presupposti definiti.
Si parla altrimenti di corrispettivi quando le erogazioni conseguono a contratti pubblici o al di fuori di questi quando ciò è consentito dalla legislazione sull’attivit negoziale delle PA.
I provvedimenti di cui all’art. 12 legge 241 del 1990 si traducono nell’attribuzione di una somma o di un bene economicamente valutabile senza che scatti un rapporto di corrispettività e senza, dunque, che sia prevista l’erogazione di una controprestazione che inquadri in un rapporto sinallagmatico.
Inoltre, non è vietato al Comune di eseguire attribuzioni patrimoniali a terzi se necessarie per raggiungere i fini che in base all’ordinamento deve perseguire, tanto più in attuazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost.
In ogni caso l’art. 12 legge 241 è riferibile all’erogazione di somme di denaro in qualsiasi forma avvenga, che non può considerarsi libera, essendo necessario che la discrezionalità sia incanalata mediante la preventiva predisposizione di criteri e modalità.
Non risulta pertinente il confronto operato dalla Corte tra la somma di euro 21.000,00 quale costo per l’esecuzione delle opere di manutenzione e la somma pagata dal Comune per la locazione di INDIRIZZO della durata cli sei anni, essendo le condizioni di Hotel Miramare tali da renderlo fuori commercio.
In ogni caso, anche ove si fosse trattato di somma di denaro il Comune disponeva di un regolamento, approvato con delibera n. 35 del 2 dicembre 2003 in riferimento ad attività artistiche e culturali, il cui art. 16 peraltro ne esc l’applicazione ove il comune decida di acquisire la veste di compartecipe o copromotore, assumendo le iniziative come proprie in correlazione con i propri obiettivi.
11.3. Con il sesto, settimo, ottavo, nono e decimo motivo denuncia: violazione delle norme richiamate nel primo motivo e dell’art. 323 cod. pen., in relazione alla ravvisabilità dell’ingiusto vantaggio patrimoniale sul presupposto che secondo il diritto oggettivo la APS fuori dalle norme sulla evidenza pubblica non aveva diritto di ottenere dal comune la possibilità di utilizzare i locali dell’immobile; violazion di legge in relazione all’art. 323 cod. pen., in relazione alla ravvisata verificazion dell’evento del conseguimento dell’ingiusto vantaggio patrimoniale, pur in assenza della sottoscrizione del previsto contratto; violazione dell’art. 323 cod. pen. in relazione al ritenuto verificarsi dell’evento per effetto dell’iniziale operazione pulizia dei locali e di adattamento del banco bar dopo l’adozione della delibera di giunta dichiarata immediatamente esecutiva.; violazione dell’art. 323 cod. pen. in relazione al ravvisato dolo intenzionale avente ad oggetto il danno ingiusto a terzi sulla base dell’unica condotta finalisticamente orientata a procurare ingiusto vantaggio all’APS e al suo presidente; violazione di legge in relazione al presupposto dell’ingiusto danno a terzi.
La natura discrezionale del potere esclude che la condotta possa rientrare nella fattispecie dell’abuso di ufficio.
Erroneamente è stato ravvisato l’ingiusto vantaggio patrimoniale nella consegna delle chiavi da parte dell’assessore COGNOME dopo la delibera e prima della sua pubblicazione e nell’inizio dei lavori di pulizia e predisposizione.
Ma la consegna non avrebbe potuto consentire la legale ul:ilizzazione e quella materiale non sarebbe stata conseguenza degli atti amministrativi e del dolo dei pubblici ufficiali.
La Corte non aveva tenuto conto dell’insegnamento per Clli occorre la doppia ingiustizia, nel senso che la stessa deve connotare anche l’evento di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante in base al diritto oggettivo e dunque prodotto non iure e contra ius.
Inoltre, il vantaggio patrimoniale deve determinare un beneficio economicamente apprezzabile, in quanto deve avere un connotato di intrinseca patrirnonialità o derivare dalla creazione di una condizione più favorevole sotto il profilo economico, non essendo sufficiente una situazione solo indirettamente o potenzialmente valutabile economicamente.
Tenendo conto che in base all’art. 31 legge 383 del 2000 le amministrazioni anche comunali possono prevedere forme e modi per l’utilizzazione non onerosa di beni immobili per manifestazioni e iniziative temporanee delle associazioni di promozione sociale delle organizzazioni di volontariato, nel rispetto dei principi di trasparenza, pluralismo e uguaglianza, nel caso di specie l’associazione II sottoscala aveva diritto alla concessione in uso dei locali anche a titolo non oneroso, per manifestazioni e iniziative temporanee.
Comunque, il vantaggio non può farsi coincidere con la consegna dei locali e non può desumersi dall’inizio dei lavori, che avevano un costo.
Quanto al danno per terzi, lo stesso era stato correlato a perdita di chance ma lo stesso avrebbe dovuto correlarsi a specifici soggetti e risultare ingiusto, fermo restando che tale danno avrebbe dovuto considerarsi intenzionalmente voluto con esclusione del dolo diretto o eventuale e che il danno da perdita di chance avrebbe dovuto correlarsi ad una rilevante probabilità di risultato utile.
Né avrebbe potuto farsi riferimento ad analoghe associazioni reggine che avevano partecipato alla selezione indetta coni il secondo avviso di manifestazione di interesse, nessuna delle quali aveva prospettato un danno.
In concreto l’evento non si era verificato.
Relativamente al dolo, lo stesso era stato desunto dalla mera illegittimità degli atti, occorrendo invece farlo discendere da elementi ulteriori dimostrativi dell’intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o cagdonare un ingiusto danno.
Quanto alla ricorrente, in difetto di macroscopicità di profili di illegittimità, proposta era stata preceduta da altre deliberazioni della Giunta; inoltre ella non conosceva l’associazione e COGNOME o che questi fosse amico del Sindaco, fermo restando che alla redazione della proposta aveva provveduto la responsabile del procedimento COGNOME e che, con riguardo alla votazione, ella non avrebbe potuto votare né impedire il voto.
12. NOME COGNOME
12.1. Il primo ordine di motivi corrisponde a quelli esposti nel secondo motivo presentato nell’interesse di COGNOME
12.2. Con il secondo ordine di motivi denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al concorso del ricorrente.
La Corte si era basata sul rapporto con il Sindaco COGNOME, sull’incontro tra i due avvenuto qualche mese prima e sulle dichiarazioni del Sindaco, nonché sul fatto che il ricorrente in base alle indicazioni ricevute da COGNOME aveva individuato l’associazione utilizzabile come schermo.
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Ma in realtà si era rilevato un travisamento delle dichiarazioni del Sindaco ed era mancata la motivazione in merito alle deduzioni difensive esposte nell’atto di appello.
Il Sindaco non aveva inteso confessare un’illecita concertazione ma aveva parlato di un colloquio di cui non ricordava il contenuto e di cui aveva solo prospettato il ragionevole tenore, ciò che era stato tuttavia travisato dai giudici di merito, che avevano in tal modo inficiato la motivazione.
Inoltre, erano stati prospettati argomenti difensivi, tra i quali quello che ricorrente non aveva scelto la procedura, non era intervenuto nel corso della seduta, non aveva chiesto che la domanda fosse approvata nei termini in cui lo era stata.
Ma su ciò la Corte aveva omesso di motivare.
12.3. Con un terzo ordine di motivi denuncia violazione di legge in rapporto al concorso e al dolo concorsuale.
Il concorso del ricorrente era stato fondato sul rapporto privilegiato di tipo collusivo con il Sindaco.
Ma in concreto avrebbe dovuto individuarsi la condotta che aveva fatto insorgere o rafforzato il proposito criminoso e che dunque aveva causalmente inciso sull’integrazione del reato e sul verificarsi dell’evento.
Il riferimento al rapporto amicale aveva finito per determinare l’indifferenza dimostrativa in ordine ai contenuti della fattlispecie concorsuale in violazione di consolidati principi in materia.
Peraltro, in difetto del contributo causale la consapevolezza nel soggetto favorito dell’illegittimità dell’atto o la sua accettazione dell’ingiusto vantaggio n configurano responsabilità concorsuale al di fuori dell’operatività dell’art. 40 cod. pen., non essendo sufficiente la mera presentazione dell’istanza relativa ad un atto che in concreto risulti illegittimo, ma occorrendo la prova di un’intesa o di mirate sollecitazioni.
12.4. Con il quarto ordine di motivi deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al profilo della doppia ingiustizia.
La Corte aveva confusamente prospettato il vantaggio in capo all’associazione, ravvisato un interesse personale di COGNOME e affermato il vantaggio patrimoniale ingiusto in capo a COGNOME per aver conseguito, prima della formalizzazione del verbale di consegna, la disponibilità immediata dei locali, senza pagamento di canone, con ritorno di immagine per l’associazione in funzione della possibilità di organizzare eventi all’interno di un iconico edificio.
Ma non era stato individuato un effettivo vantaggio patrimoniale.
La patrimonialità del vantaggio era esclusa dalla natura dell’associazione che vietava distribuzione di utili.
12.5. Con il quinto ordine di motivi denuncia vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo e mancanza di motivazione in ordine alle deduzioni difensive.
Era dimostrata la buona fede del ricorrente che aveva presentato la domanda senza dissimulare la propria presenza ed anzi proprio il giorno prima della delibera assumendo la veste di presidente: altrettanto aveva fatto esponendo il progetto alle funzionarie della Soprintendenza durante il loro sopralluogo.
Quando alla fine di agosto la dirigente COGNOME gli aveva chiesto se intendesse portare avanti il progetto, il ricorrente aveva manifestato l’intenzione di portare comunque avanti l’iniziativa.
In tale quadro era evidente la mancanza del dolo anche in ordine alle violazioni di legge, che egli non avrebbe potuto rappresentarsi al tempo della domanda, ferma restando sul punto la nullità della sentenza per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. Ma su tali temi la Corte aveva omesso di motivare.
13. COGNOME NOME
13.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 323 cod. pen., 132 cod. ben., 125 e 546 cod. proc. pen., 25, 27, 111 Cost. e 7 C.E.D.U.
La Corte, dopo aver respinto ogni deduzione difensiva e mostrato di condividere la decisione del Tribunale anche in punto di pena, fatta eccezione per il riconoscimento della non menzione, aveva nel dispositivo indicato una riduzione delle pene, ad anni uno per COGNOME e a mesi sei per tutti gli altri, incorrendo in un profilo di contraddittorietà tale da giustificare di per sé l’annullamento.
In ogni caso la pena era stata determinata in assenza di qualsivoglia motivazione.
Inoltre, la pena era da ritenersi computata al di sotto del limite legale, pur muovendo dal minimo con le attenuanti generiche.
13.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 323 cod. pen., 30 d.lgs. 163 del 2006, 12 legge 241 del 1990, 26 d.lgs. 33 del 2013, 42 d.lgs. 267 del 2000, 125, 546 cod. proc. pen., 49 cod. pen. 3,13,25, 27 Cost., 7 C.E.D.U.
Il precetto normativo deve essere chiaro e preciso, così da non abbisognare il particolare interpretazione. Lo sforzo compiuto nelle sentenze di merito dimostra piuttosto l’insussistenza del reato con riferimento alla violazione normativa, che ove fosse stata chiara ed evidente, non avrebbe richiesto la lunga analisi compiuta nelle due sentenze.
Nessuna delle norme invocate poteva essere ricondotta all’ambito operativo dell’art. 323 cod. pen.
Si tratta di norme che fanno rinvio a principi generali o hanno rilievo programmatico o si limitano a individuare la competenza del consiglio comunale, non potendosi parlare di norme puntuali da cui non residuino margini di discrezionalità.
Peraltro, al di là dell’iniziale proposta e della discussione insorta in ordine alla conoscenza del rapporto tra il Sindaco e COGNOME, alla resa dei conti la Giunta aveva adottato un testo emendato degli errori risultanti dall’iniziale proposta, riconducendo la delibera a legalità, a prescindere dalla temporanea immissione di COGNOME nella disponibilità dei locali, fermo restando che l’intendimento del ricorrente e di tutti era quello di restituire alla città un luogo prestigioso in s di abbandono.
Non si era verificato alcun vantaggio in relazione alla immissione nella disponibilità di fatto dei locali e nello svolgimento di lavori, lo stesso non er comunque di natura patrimoniale, non essendo sufficiente una situazione solo indirettamente e potenzialmente valutabile, e non avrebbe potuto dirsi di per sé ingiusto, né si era verificato alcun danno ingiusto di terzi, non identificati.
La Corte non aveva valutato l’elemento psicologico con riguardo a ciascun imputato.
Le argomentazioni utilizzate erano in relazione alla posizione di COGNOME e di COGNOME, e non partitamente riferite ai componenti della Giunta, cui apoditticamente erano stati attribuiti i medesimi propositi, per quanto il ricorrente non avesse rapporti di amicizia con il Sindaco, appartenendo ad altro schieramento.
Anche ad ammettere che il ricorrente fosse consapevole del favore fatto ad un privato non avrebbe potuto sottacersi il primario interesse pubblico perseguito.
Alla resa dei conti la condotta era risultata priva di offensività, in quanto inidonea a ledere o mettere in pericolo il bene giuridico tutelato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve preliminarmente rilevarsi che il reato per il quale è stata pronunciata condanna risale al luglio/agosto 2015: posto che nessuno dei ricorsi può considerarsi inammissibile, in quanto i motivi si correlano ai delicati temi esaminati nelle sentenze di merito e propongono sotto il profilo giuridico soluzioni non manifestamente infondate, confrontandosi inoltre con la motivazione con cui è stato dato conto della sussistenza degli elementi sia oggettivi sia soggettivi del delitto di abuso di ufficio, deve concludersi che rileva il tempo trascorso dopo la sentenza impugnata e che è dunque maturato il termine massimo di prescrizione,
pari ad anni sette e mesi sei, cui devono aggiungersi 64 giorni di sospensione legati all’emergenza Covid.
Su tali basi assumono rilievo in questa sede solo deduzioni idonee a suffragare con evidenza un proscioglimento con più ampia formula, mentre quelle con cui sono state segnalate carenze della motivazione, soprattutto con riguardo alla posizione di taluni ricorrenti, dalle quali potrebbe discendere un rinvio per nuovo esame e non anche una ragione di proscioglimento rilevabile ictu °culi, dovrebbero ritenersi assorbite dalla causa di proscioglimento correlata all’estinzione del reato (si rinvia a Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273-5).ù
Nella prospettiva indicata saranno esaminate in ordine logico le questioni sollevate nei vari ricorsi.
3. La prima è quella del difetto di correlazione tra contestazione e sentenza.
Sono stati prospettati due profili: in primo luogo, il riferimento al difetto competenza della Giunta, a fronte delle attribuzioni del Consiglio comunale in materia di concessione di servizi nonché di alienazioni e acquisti immobiliari, relative permute, appalti e concessioni, desumibili dall’art. 42,, comma 2, lett. e) e lett. I), d.lgs. 267 del 2000; in secondo luogo, la valorizzazione della qualità dell’immobile, quale bene di valore culturale agli effetti della disciplina dettata da d.lgs. 42 del 2004.
Si tratta, invero, di profili che non sono espressamente menzionati nel capo di imputazione: è noto al riguardo che, data la peculiare struttura della fattispecie, incentrata sulla violazione di specifiche norme di legge, la contestazione deve contenere il riferimento alle norme violate o, quanto meno, deve consentire l’individuazione delle stesse (Sez. 3, n. 38704 del 23/03/2016, COGNOME, Rv. 267578).
Va peraltro rilevato che il fondamento della condanna pronunciata risiede nella violazione dell’art. 30 d.lgs. 163 del 2006 e nell’omessa astensione del Sindaco COGNOME in presenza di un interesse proprio: orbene, i Giudici di merito hanno aggiuntivamente ravvisato l’incompetenza della Giunta in conseguenza dell’attribuzione alla delibera incriminata (n. 101 del 2015) del significato di concessione di servizio, da cui è stata in primo luogo tratta la conclusione della violazione del citato art. 30; inoltre può rilevarsi che il tema del valore cultural dell’immobile non è stato valorizzato a sorpresa, ma sulla base dei molteplici dati probatori acquisiti, idonei a consentire sul punto un pieno contraddittorio, essendo stata per tale via confermata sia la configurabilità di una concessione di servizio, alla luce della disciplina dettata dal d.lgs. 42 del 2004, sia la violazione dell’art. d.lgs. 163 cit., in relazione al richiamo desumibile anche dall’art. 197.
Così inquadrato il tema, lo stesso risulta in concreto inconferente, in quanto inidoneo di per sé all’individuazione di un effettivo vulnus al diritto di difesa, da cui dipende l’effettiva configurabilità di un difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, fermo restando che sotto tale profilo non vi sarebbe margine per addivenire ad un più ampio proscioglimento.
La seconda questione, esaminata in tutti i ricorsi, è quella della configurabilità di una violazione di legge rilevante ai fini dell’integrazione del delit di abuso di ufficio, violazione che è stata in primo luogo ravvisata dai Giudici di merito nella mancata adozione di una gara informale con invito ad almeno cinque concorrenti, contemplata in caso di concessione di servizi dall’art. 30, comma 3, d.lgs. 163 del 2006.
4.1. Deve al riguardo premettersi che la violazione di legge deve essere valutata alla stregua della formulazione dell’art. 323 cod. pen., introdotta dal d.l. 76 del 2020, convertito dalla legge 120 del 2020: occorre infatti che ricorra la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità.
E’ noto che in virtù di tale formulazione non rilevano più violazioni di regole astratte o di principi generali, quali quello del buon andamento della P.A., desunto dall’art. 97 Cost., o quello della conformazione a valori di trasparenza, economicità, proporzionalità o non discriminazione, contemplati da numerose norme che presiedono allo svolgimento dell’attività della P.A. (sul punto Sez. 6, n. 6, n. 38125 del 11/07/2023, COGNOME, RV. 285184; Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359).
In tale ottica il disposto dell’art. 30, comma 3, d.lgs. 163 del 2006, nel prevedere una gara informale con invito ad almeno cinque concorrenti risulta connotato da sufficiente determinatezza e specificità, quale regola di condotta del pubblico agente, cosicché la sua violazione risulta idonea ad integrare il delitto contestato, dovendosi per contro reputare inconferenti i rilievi esposti in una memoria difensiva incentrati sul tenore di una disposizione contenuta nel d.lgs. 50 del 2016.
4.2. Orbene, deve ritenersi che il percorso argomentativo dei Giudici di merito si sottragga, con riguardo alla violazione della citata disposizione, alle plurime, non sempre allineate, censure formulate.
Va rimarcato che con delibera della Giunta comunale n. 101 del 16 luglio 2015, pubblicata il 4 agosto, era stato adottato un atto, con cui si prevedeva in via sperimentale l’assegnazione, per tre mesi, previa stipula di convenzione, alla associazione di promozione sociale “Il sottoscala”- di cui era divenuto presidente COGNOME– di alcuni locali della struttura Hotel Miramare, dichiarato di interesse
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culturale, prevedendosi per il periodo successivo la pubblicazione di un invito a manifestare interesse per l’utilizzo dei locali’ senza fine di lucro e in linea co l’interesse culturale del bene.
Si è al riguardo dedotto che si trattava di mero atto di indirizzo, con cui era demandata alla dirigente COGNOME la concreta esecuzione sia della prima fase che della fase successiva. Si assume inoltre che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non era ravvisabile una concessione mista di servizi, peraltro indebitamente desunta da quanto previsto in ordine alla fase successiva a quella dell’affidamento diretto dei locali all’associazione “RAGIONE_SOCIALE“, fase per la qual era stata stabilita l’acquisizione di manifestazioni di interesse, fermo restando che la delibera si risolveva in una manifestazione del potere dominicale sul bene, al di fuori di una più ampia programmazione del servizio, che non aveva contenuto economico e non implicava alcuna forma di tutela della concorrenza, esulando dunque dalla sfera di operatività delle disposizioni sui contratti pubblici, tanto pi che la delibera si fondava sul principio della sussidiarietà orizzontale di cui all’art 118 Cost., facendo leva sulla partecipazione collaborativa di un ente non avente fini di lucro e dunque operante al di fuori della valutazione economica di un servizio.
Senonché, deve innanzi tutto sottolinearsi che, per quanto la domanda presentata dalla associazione facesse menzione delle iniziative legate al progetto dell’Estate reggina, concretamente si trattava di iniziativa non riconducibile a quell’ambito, dovendosi al riguardo richiamare i rilievi dei Giudici di merito in ordine al fatto che nel relativo bando non si faceva menzione del prestigioso immobile Hotel Miramare, bene di valore culturale, avente destinazione alberghiera, fermo restando che con riguardo all’Estate reggina era stata adottata una diversa, precedente delibera, a dimostrazione della strutturale autonomia della richiesta, alla quale era stata dedicata una specifica seduta, quella del 16 luglio 2015.
A fronte di ciò, nella sentenza impugnata, anche alla luce dei rilievi del primo giudice, si è sottolineato come la delibera n. 1.01 dovesse essere valutata nel suo insieme e come da essa fosse desumibile l’intendimento della Giunta non solo di conferire in uso un bene immobile, ma anche e soprattutto di avviare un percorso di valorizzazione del bene culturale, includente lavori di ripristino e la restituzion del prestigioso bene alla collettività, attraverso l’organizzazione di eventi artistico culturali, nell’ambito degli obiettivi perseguiti dall’amministrazione comunale, dichiaratamente quelli di valorizzazione territoriale, di promozione sociale, di mantenimento della fruibilità del complesso edilizio, evitandone il naturale decadimento: ha sottolineato la Corte territoriale che la finalità travalicava quella dell’uso del bene pubblico correlato al rispetto della sua destinazione, ma evocava
un quid pluris, quello della promozione territoriale, culturale e ricreativa, riconducibile alla nozione di servizio, coerente sia con la previsione dell’art. 112 del T.U. 267 del 2000 e con una scelta di politica gestionale, sia con le disposizioni dettate dal d.lgs. 42 del 2004 (artt. 112 e 115), dalle quali era possibile desumere la rilevanza di un progetto di gestione e valorizzazione del bene culturale, realizzato in forma indiretta mediante concessione.
Risulta inoltre pertinente il riferimento della Corte all’art. 197 d.lgs. 163 de 2006, che richiama nel caso di bene culturale le disposizioni in materia di servizi, lavori e forniture, tra le quali deve ritenersi ricompreso anche l’art. 30 più volt menzionato.
Non è dirimente in senso contrario la circostanza che venisse o meno in rilievo un valore sotto la soglia di euro 40.000,00, dovendosi aver riguardo al tipo di richiamo contenuto nell’art. 121 e al fatto che il valore specificato dall’art. 12 concerneva acquisizioni in economia con affidamento a mezzo di cottimo fiduciario, fermo restando che alla concessione di servizi, in base al d.lgs. 163, si applicavano solo le disposizioni dettate dai commi 2 e segg. dell’art. 30.
I giudici di merito hanno dunque correttamente rilevato come dall’intera delibera fosse possibile desumere una scelta gestionale unitaria, surrettiziamente suddivisa in due fasi, solo la seconda connotata da una procedura ad evidenza pubblica, quando anche la prima era parimenti qualificata dalla medesima strategia gestionale.
4.3. Proprio per questa ragione non assume rilievo l’assunto difensivo per cui si sarebbe trattato in realtà di mera gestione dominicale di un bene, discrezionalmente affidato all’uso di un ente no profit, nell’ottica della sussidiarietà orizzontale, presa in considerazione dall’art. 118, comma quarto, Cost., secondo cui lo Stato e gli enti territoriali «favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadi singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».
Si è già detto invero che nel caso di specie non avrebbe potuto aversi riguardo ad un mero esercizio del potere dominicale sul bene: non solo si trattava di bene, seppur non in atto utilizzato, comunque di valore culturale, implicante il rispetto dei limiti ad esso correlati, ma era anche presa in considerazione l’esigenza della valorizzazione, tale da eccedere la mera sfera del potere dominicale, staticamente considerato, in funzione di un interesse della collettività, peraltro affidato, sotto controllo dell’amministrazione conferente, alle iniziative del soggetto prescelto, destinato a rapportarsi direttamente -sulla base di una propria gestione, pur non funzionale al conseguimento di profitti, ma implicante una sfera di rischio correlata all’equilibrio finanziario derivante dalle azioni intraprese (nel caso di specie anche
per il ripristino dei luoghi)- con la platea dei fruitori, senza specifici oneri a ca della P.A.
Per le stesse ragioni non avrebbe potuto invocarsi il disposto dell’art. 32 legge 383 del 2000, in forza del quale lo Stato e gli enti territoriali «possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato previste dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali»: come rilevato, al di là della non univoca qualificazio del rapporto, non si trattava comunque di mero comodato, essendo previsto un più complesso regime, in forza del quale il concessionario si impegnava a realizzare lavori di ripristino e, nel contempo, non vi era un generico affidamento alle finalità istituzionali dell’associazione, ma si stabiliva una correlazione con la complessiva scelta gestionale dell’ente conferente.
Più in generale, non avrebbe potuto attribuirsi decisivo rilievo al fatto che l’associazione appartenesse alla categoria di enti di promozione sociale o no profit, che ora costituiscono il c.d. terzo settore, in funzione delle possibilità operative sussidiariamente ad essi affidabile.
Al di là del fatto che il relativo codice è stato introdotto in epoca successiva ai fatti, va rimarcato come le disposizioni vigenti al tempo della delibera non autorizzassero automaticamente scelte volte a pretermettere qualunque forma di trasparenza e di evidenza pubblica sulla sola base della previsione contenuta nell’art. 118 Cost.
Va infatti rilevato che anche tra enti del terzo settore, seppur non operanti con finalità di profitto, ma comunque in grado di svolgere attività che abbia un contenuto economico, da cui discendano costi e ricavi, è configurabile una forma di concorrenza e che d’altro canto l’esclusione di forme di comparazione, anche alla luce delle disposizioni dell’Unione europea, può trovare una giustificazione in concreto sulla base di disposizioni che legittimamente la contemplino, fermo restando il rigoroso controllo dei limiti operativi degli enti no profit affidatari (non diversamente sembra che debba intrepretarsi il decisum di Corte di giustizia dell’Unione europea, 28 gennaio 2016, Casta, in proc. C-50/14).
D’altro canto, proprio nella sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020, che è stata difensivamente invocata, si è rilevato che solo l’art. 55 del CTS, introdotto in epoca successiva a quella rilevante in questa sede «realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria – strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi
dall’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328)», ciò nel presupposto che «gli ETS sono identificati dal CTS come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (art. 4), rivolti a «perseguire il bene comune» (art. 1 a svolgere «attività di interesse generale» (art. 5), senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8), sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11) e a rigorosi controlli (articoli da 90 a 97)».
Ma sta di fatto che in epoca antecedente sarebbe stata legittima solo una valutazione discrezionale incentrata sulla specifica considerazione di un soggetto «no profit», in ragione delle sue caratteristiche, della sua struttura, delle sue finalità, onde procedere -nell’esercizio del potere dominicale su un beneall’affidamento in uso dello stesso, ma al di fuori di una strategia politico gestionale dello stesso ente conferente, in relazione alla quale fosse indirettamente affidato lo svolgimento di un proprio servizio, avente anche contenuto economico.
4.4. Al contrario si è rilevato, da parte dei Giudici di merito, come nel caso di specie la proposta avesse costituito il risultato di un’intesa intercorsa tra il Sindaco COGNOME e COGNOME, che solo strumentalmente, seguendo le indicazioni del Sindaco e avvalendosi di un proprio tecnico, aveva poi fatto in modo che la proposta provenisse dall’associazione, di cui solo il giorno prima di quello della delibera COGNOME era divenuto presidente, ma senza alcuna specifica indicazione delle peculiari ragioni, connesse alla storia e alle esperienze dell’associazione, proprio questa dovesse essere utilmente presa in considerazione in quel peculiare momento in funzione dell’utilizzo dei locali dell’immobile Miran -iare.
Per contro è stato non illogicamente attribuito rilievo, nella medesima prospettiva, al fatto che nella prima proposta di delibera, elaborata dalla dirigente COGNOME, fosse richiamato proprio l’art. 30 digs. 163 del 2006 e che a seguito del dibattito sviluppatosi nel corso della seduta fosse stato elaborato un diverso testo, nel quale si dava rilievo alla sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma quarto, Cost., con l’intento che nulla nella sostanza fosse mutato rispetto all’originaria impostazione (si richiama sul punto quanto esposto dalla Corte a pag. 13 a proposito dello scambio di messaggi intercorso tra l’assessore COGNOME e l’ing. COGNOME).
Ciò vale a dar conto del valore elusivo della prima parte della delibera, che sottendeva la violazione dell’art. 30, riscontrata dai giudici di merito., co assorbimento di tutti gli ulteriori profili correlati all’applicabilità dell’art. 12 241 del 1990 e dell’art. 26 del d.lgs. 33 del 2013.
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L’ulteriore questione posta da numerosi ricorrenti, concerne la configurabilità della violazione del dovere di astensione a carico del Sindaco COGNOME: ciò assume rilevanza sia con riguardo all’elemento oggettivo, in aggiunta al tema della violazione di legge, sia con riguardo all’elemento soggettivo, quale elemento sintomaticamente idoneo a comprovare il comune intendimento di compiacere la volontà del Sindaco.
5.1. E’ stato dedotto che la delibera faceva riferimento non a Zagarella bensì all’associazione “Il sottoscala” e che, comunque, non era nel caso di specie configurabile un interesse proprio del Sindaco, non operando per gli amministratori la disposizione vigente per i pubblici dipendenti, che ne prevede l’astensione in caso di atto relativo a soggetti con cui intercorra un rapporto di frequentazione.
5.2. Le deduzioni difensive non sono fondate.
E’ stato idoneamente argomentato dai Giudici di merito in ordine allo stretto rapporto intercorrente tra il Sindaco COGNOME e COGNOME, che gli aveva messo a disposizione gratuitamente un appartamento nella fase della campagna elettorale e che era un suo sostenitore, essendosi inoltre la compagna di lui candidata in una lista civica a sostegno dell’elezione di COGNOME.
Si è rilevato che intercorreva tra il Sindaco e COGNOME un rapporto di amicizia e di riconoscenza, in relazione al quale la delibera coinvolgeva anche un suo personale interesse, che ne avrebbe imposto l’astensione, quando al contrario il Sindaco COGNOME che aveva parlato direttamente con COGNOME del progetto, si era adoperato perché l’atto fosse approvato con sollecitudine.
Si è osservato inoltre che il rapporto tra il Sindaco e COGNOME costituiva fatto notorio, tanto da aver formato oggetto di uno sketch satirico, e che comunque del tema si era parlato nel corso di una seduta di Giunta in data 26 luglio, prima della pubblicazione della delibera 101, senza che fossero state formulate rimostranze volte ad impedire l’attuazione del progetto.
Al di là delle ricadute sul versante dell’elemento psicologico, che sono state in varia guisa contestate da vari ricorrenti, deve comunque rirnarcarsi come non risulti decisivo l’argomento che si incentra sulla previsione di una causa di incompatibilità derivante da rapporti di frequentazione solo a carico dei pubblici dipendenti e non degli amministratori.
In realtà, al di là di specifiche previsioni, l’obbligo di astensione pu discendere dalla stessa previsione contenuta nell’art. 323 cod. pen., in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto (sul punto Sez. 6, n. 14457 del 15/03/2013, COGNOME, Rv. 255324).
Non vi è dubbio, d’altro canto, in ordine alla configurabilità di un interesse proprio anche quando lo stesso assuma rilievo sotto il profilo morale e non anche sul piano economico-patrimoniale.
Deve aggiungersi che nel caso di specie i Giudici di merito hanno sottolineato come il progetto dell’affidamento a COGNOME dei locali dell’Hotel Miramare fosse stato originato da un incontro tra il Sindaco e lo stesso COGNOME, accompagnato da un tecnico di fiducia, in occasione del quale COGNOME aveva prospettato la necessità che la proposta fosse presentata da un’associazione no pro fit, come poi concretamente avvenuto, avendo COGNOME curato la predisposizione del progetto poi presentato dall’associazione “RAGIONE_SOCIALE” di cui il predetto aveva solo all’ultimo assunto la presidenza.
Per tale ragione è stato reputato inconferente il fatto che il beneficio avesse riguardato l’associazione e non personalmente COGNOME, dal momento che, secondo la non illogica ricostruzione, proprio quest’ultimo avrebbe dovuto comunque intendersi quale sostanziale beneficiario.
Un tema di particolare rilievo, che di per sé era idoneo a rendere ammissibili tutti i ricorsi, è quello della configurabilità dell’evento consumativo del delitto abuso di ufficio.
6.1. Si è rilevato da parte di tutti i ricorrenti che la delibera non avev procurato alcun vantaggio patrimoniale, in quanto la stessa riguardava un ente privo di finalità di lucro e comunque non aveva implicato alcun accrescimento della situazione soggettiva o una condizione più favorevole: si è sottolineato che la delibera richiedeva una concreta attuazione, previa stipula di apposita convenzione, mai intervenuta, e che non avrebbe potuto rilevare l’immissione in possesso di COGNOME, avvenuta di fatto prima della pubblicazione della delibera, posto che la precaria consegna delle chiavi non costituiva effetto della delibera e di per sé non aveva prodotto alcun vantaggio, essendo semmai cominciati solo lavori di ripristino dei locali. Inoltre, si è segnalato che non era stata valuta autonomamente l’ingiustizia del vantaggio, in ragione del fatto che si trattasse di bene non spettante in base al diritto oggettivo, ma si era fatta discendere l’ingiustizia dalla violazione di legge rilevante con riguardo alla condotta.
Si è ancora osservato che indebitamente era stato pro:spettato un danno ingiusto, quale effetto concomitante, in relazione alla perdita di chance da parte di terzi interessati, che non erano stati specificamente individuati, fermo restando che la delibera non aveva avuto attuazione con riguardo alla prima fase, mentre era stata attuata in relazione alla seconda fase con richiesta di manifestazione di interesse e valutazione delle domande poi pervenute, seguita dall’assegnazione dell’uso ad altra associazione no pro fit.
E’ stato altresì dedotto che comunque non avrebbe potuto parlarsi di reato consumato, bensì di delitto tentato.
possibilità di svolgere, ad arricchimento del proprio prestigio e della propria capacità di azione, iniziative rivolte ad un pubblico di fruitori interessati in contesto prestigioso, senza che potesse assumere rilievo in tale ottica la circostanza che si trattasse di soggetto no profit: quella possibilità tuttavia non discendeva direttamente dalla delibera ma dalla sua esecuzione, correlata alla stipula della successiva convenzione. Ciò significa che la delibera non contemplava immediatamente un beneficio economico o un accrescimento della posizione soggettiva, ma ne rimetteva la concreta realizzazione alla stipula della convenzione esecutiva, la sola che avrebbe potuto costituire il titolo per l’effettiva attribuzione di una facoltà d’azione «in rern», costituente accrescimento della posizione soggettiva.
Non rileva in senso contrario la circostanza che COGNOME avesse potuto introdursi di fatto nei locali per l’esecuzione dei primi lavori, giacché ciò no costituiva il risultato della delibera, ma il frutto di un’estemporanea iniziativa, per sé non produttiva di vantaggio patrimoniale, essendo sl:ati eseguiti lavori, implicanti una spesa, senza alcuna possibilità di sprigionare capacità di azione, nel senso indicato dalla delibera, sulla base di un titolo riconoscibile.
Deve dunque ritenersi che la delibera avesse posto le condizioni per il rilascio di quel titolo e costituisse dunque atto idoneo, inequivocamente rivolto al conseguimento di quel risultato, che tuttavia non era ancora in atto, occorrendo l’ulteriore passaggio attuativo, costituito dalla convenzione.
E’ dunque fondato l’assunto difensivo, largamente condiviso nei motivi di ricorso, secondo cui sarebbe stata semmai configurabile un’ipotesi di delitto tentato, in tale ottica dovendosi ribadire l’ammissibilità dei ricorsi e anche la rilevanza del decorso del termine di prescrizione.
Sotto il profilo oggettivo, tutti i ricorrenti, secondo la ricostruzione Giudici di merito, hanno concorso nel reato, avendo COGNOME formulato la proposta dopo l’originaria intesa con il Sindaco COGNOME, avendo quest’ultimo con i componenti della Giunta approvato la delibera incriminata, sulla base di proposta della dirigente COGNOME e avendo anche la ricorrente COGNOME quale segretario, concorso alla realizzazione di una condizione favorevole, essendosi occupata della materiale riformulazione della delibera, nel testo oggetto di successiva pubblicazione.
Si tratta di condotta da valutare nel suo complesso e in progress, proprio in funzione del conseguimento del risultato finale, derivante dalla prevista stipula della convenzione attuativa.
Numerose censure sono state peraltro formulate con riguardo al profilo del coefficiente soggettivo.
Richiamando quanto già osservato in tema di dolo intenzionale, deve ulteriormente segnalarsi come possa assumere concreto rilievo il perseguimento di finalità pubblicistiche, ove le stesse abbiano comunque costituito l’unico obiettivo della condotta e non anche quando esse siano state prefigurate nel quadro di una condotta comunque ispirata dall’intendimento di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o un ingiusto danno altrui (sul punto, perspicuamente, Sez. 6, n. 51237 del 17/09/2019, Camastra, Rv. 278938; Sez. 6, n. 14038 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262950).
Deve peraltro aggiungersi che nel caso di reato concorsuale, connotato dalla specificità del dolo, in quanto qualificato da profili diversi ed aggiuntivi rispetto dolo generico, è necessario che la condotta unitariamente intesa sia caratterizzata da intenzionalità, la quale si concreta, in chiave finalistica, nella specifica direzion della volontà verso l’obiettivo avuto di mira: ciò, non diversamente da quanto affermato nei casi in cui in cui sia prevista una finalità aggiuntiva verso la quale la condotta si proietta (sul punto con riguardo all’aggravante della finalità agevolativa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734), richiede che uno dei concorrenti, nel caso di reato proprio uno o più dei soggetti qualificati, sia animato da quell’intendimento e che gli altri lo abbiano fatto proprio, avendone specifica contezza.
In concreto la prova del dolo è desumibile da una pluralità di elementi, che possono assumere rilievo sintomatico, come l’interferenza decisiva che possa aver assunto la violazione del dovere di astensione (Sez. 5, n. 37517 del 02/10/2020, Danzé, Rv. 280108) o come la macroscopicità della violazione da cui discende l’illegittimità (Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270460).
Nel caso di specie i Giudici di merito hanno attribuito rilievo ad entrambi i profili indicati, muovendo peraltro dal presupposto della notorietà del rapporto intercorrente tra il Sindaco COGNOME e COGNOME.
Le deduzioni difensive, quand’anche volte a porre in evidenza alcune smagliature della motivazione, in quanto incentrate sulla rilevanza attribuita a quanto emerso nel corso di una seduta successiva rispetto a quella della delibera incriminata, a fronte della non comprovata presenza di tutti gli assessori, o sulla genericità del riferimento alla notorietà del rapporto tra COGNOME e COGNOME, desumibile anche da uno sketch satirico, a fronte del contributo migliorativo fornito nel corso del dibattito che aveva preceduto la delibera, asseritamente in funzione del genuino perseguimento dell’interesse pubblico, non potrebbero condurre in nessun caso ad un immediato proscioglimento di singoli ricorrenti, ma
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imporrebbero un nuovo vaglio in sede di rinvio,, tuttavia precluso dalla maturazione della causa estintiva, secondo quanto si è più volte posto in evidenza.
Peraltro, resta da esaminare un tema dedotto solo da alcuni ricorrenti, strettamente correlato a quello della configurabilità di un’ipotesi di delitto tentato
9.1. E’ stato infatti prospettato che alla delibera non fu data esecuzione, in quanto la dirigente COGNOME che avrebbe dovuto curare la stipula della convenzione attuativa, da cui sarebbe derivata la consumazione del reato, dispose, alla fine di agosto 2015, dopo un’informale confronto con l’associazione, che non si procedesse più alla predisposizione della convenzione, ma si passasse subito alla fase connotata da evidenza pubblica, che avrebbe in effetti avuto corso fino alla scelta di un soggetto diverso dall’associazione “Il sottoscala”.
E’ stato dunque dedotto che sarebbe configurabile un’ipotesi di desistenza volontaria, rilevante agli effetti dell’art. 56, connnna terzo, cod. pen.
9.2. Posto che il motivo è comunque rilevante a vantaggio di tutti i concorrenti nel reato, in ragione dell’effetto estensivo previsto dall’art. di cui all’art. 5 comma 1, cod. proc. pen., deve riconoscersi che lo stesso è fondato e comporta una ragione di proscioglimento nel merito, immediatamente riconoscibile e più favorevole di quella derivante dalla causa estintiva.
9.3. E’ noto che l’art. 56, comma terzo, cod. pen. fa riferimento a chi volontariamente desiste dall’azione, prevedendo in tal caso la punizione per gli atti compiuti, ove gli stessi costituiscano di per sé reato, mentre il quarto comma di tale articolo fa riferimento a chi volontariamente impedisce l’evento, ipotesi nella quale è ravvisabile solo una diminuzione di pena.
La summa divisio riguarda dunque lo stadio cui è pervenuta la condotta.
Innanzi tutto, in tanto può parlarsi di desistenza giuridicamente rilevante, in quanto gli atti compiuti siano tali da integrare un tentativo punibile, solo in questo caso potendosi prospettare la non punibilità di atti che non integrino di per sé diverso reato.
Peraltro, la desistenza presuppone un tentativo incompiuto, dovendosi escludere che siano stati posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale, capace di produrre l’evento (Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020, P., Rv. 279170; Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Price, Rv. 252259), ciò che corrisponde alla perdita del controllo finalistico dell’azione, in quel momento destinata a sviluppare le conseguenze ad essa correlabili, a meno che non venga contrastata da una contrapposizione ab extrinseco, idonea a scongiurare l’evento, configurante recesso attivo agli effetti dell’art. 56, comma quarto, cod. pen.
9.4. Inoltre, la desistenza deve essere volontaria.
Com’è agevolmente desumibile dal confronto con il tenore letterale dell’art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., non occorre una vera e propria spontaneità, nascente da un moto interiore o da una scelta di carattere etico, essendo peraltro necessaria «la costanza della possibilità di consumazione del delitto, per cui, qualora tale possibilità non vi sia più, ricorre, sussistendone i presupposti, l’ipotesi del tentativo» (Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014, COGNOME, Rv. 260855): nella medesima ottica è stato prospettato che la condotta deve essere stata libera e non coartata, nel senso che la prevalenza dei motivi della desistenza deve essersi verificata al di fuori delle cause che abbiano impedito il proseguimento dell’azione o l’abbiano reso assolutamente vano (Sez. 1, n. 46179 del 02/12/2005, Plivia, Rv. 233355) e dunque nel senso che la prosecuzione non deve essere stata impedita da fattori esterni che ne avrebbero reso improbabile o troppo rischioso il compimento (Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico, Rv. 272535; Sez. 6, n. 203 del 20/12/2011, Del Giudice, Rv. 251571).
Ricorrendo tali requisiti, la punibilità è esclusa: come è dato evincere anche dalla previsione, a contrario, dell’assoggettamento a pena per atti che integrino di per sé reato, deve ritenersi che la desistenza valga altrimenti ad escludere in radice la rilevanza penale della condotta fino a quel momento tenuta, cosicché trova piena conferma l’affermazione secondo cui «la desistenza è un’esimente che esclude “ah extrinseco” ed “ex post” l’antigiuridicità del fatto» (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242417; Sez. 6, n. 24711 del 21/04/2006, COGNOME, Rv. 234679).
9.5. La rilevanza della desistenza è stata esaminata anche con riguardo all’ipotesi del concorso di persone nel reato.
E’ stato dunque rilevato che il concorrente per beneficiare della desistenza volontaria «non può limitarsi ad interrompere la propria azione criminosa, occorrendo, invece, un “quid pluris” consistente nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione che fino a quel momento si sono prodotte» (Sz. 2, n. 22503 dl 24/04/2019, COGNOME, Rv. 275421; Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, COGNOME, Rv. 2592508).
Nel contempo, si è esaminato il tema dell’incidenza della desistenza di uno dei concorrenti in relazione alla responsabilità degli altri e si è al riguardo affermat che la desistenza di uno dei concorrenti, perché si riverberi favorevolmente sulla posizione degli altri compartecipi, deve instaurare un processo causale che arresti l’azione di questi ultimi e impedisca comunque l’evento (Sez. 5, n. 33100 del 01/03/2018, S., Rv. 274590), fermo restando che se la desistenza elimina soltanto gli effetti della condotta individuale, non comporta benefici per gli altr compartecipi, le cui condotte pregresse, conservando intatta la loro valenza causale, hanno prodotto conseguenze ormai irreversibili, funzionali alla
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consumazione del reato o alla configurazione del tentativo punibile (Sez. 2, n. 48128 del 13/11/2013, COGNOME, Rv. 257507).
Alla resa dei conti, deve concludersi nel senso che -data la natura della desistenza, cui consegue l’eliminazione dell’antigiuridicità degli atti compiuti- in tanto può dirsi che la desistenza abbia rilievo in quanto essa produca la perdita di significato di quegli atti, discendendone dunque la rilevanza per tutti i concorrenti, ove l’interruzione volontaria della sequenza degli atti destinati a produrre l’evento valga a rendere gli atti compiuti improduttivi di ulteriori conseguenze e di ulteriori effetti ad essi riconducibili e non solo a privarli del contributo specificamente riferibile agli atti compiuti da un singolo concorrente.
9.6. Alla luce di tali principi deve rilevarsi che nel mese di agosto del 2015, secondo quanto si è già rilevato ed incontestatamente risulta dall’analisi dei Giudici di merito, la dirigente COGNOME che avrebbe dovuto provvedere a dare attuazione alla delibera, fino alla stipula della convenzione, con cui avrebbe dovuto regolarsi e definirsi l’affidamento dei locali della struttura Miramare all’associazione “RAGIONE_SOCIALE“, decise, dopo un contatto con il rappresentante della stessa, di non procedere oltre, ma di dar corso direttamente alla fase ad evidenza pubblica.
Emerge dalle sentenze di merito che la scoperta della presenza di incaricati dell’associazione nei locali dell’Hotel Miramare ebbe a determinare proteste dell’opposizione consiliare e di esponenti della cittadinanza, tanto che il Sindaco, appoggiato dall’intera Giunta, partecipò ad una conferenza stampa, nel corso della quale illustrò l’iniziativa e ne spiegò le ragioni: sta di fatto che non sono venuti evidenza elementi dai quali possa desumersi che l’attuazione del progetto con la stipula della convenzione fosse divenuta impossibile o comunque, almeno in quella fase, altamente rischiosa, dovendosi dunque ritenere che la scelta della dirigente fosse dipesa da una valutazione di opportunità, non coartata e dunque libera, quand’anche non spontanea.
D’altro canto, poiché viene in rilievo un reato connotato da una peculiare condotta, la quale deve comunque cagionare un evento, e poiché nel caso di specie non si era completato il complesso iter, dal quale soltanto avrebbe potuto derivare il vantaggio per l’associazione, iter non rimesso a fattori esterni, ma al compimento di tutti gli atti ancora necessari, deve concludersi che la condotta della dirigente COGNOME, in una fase in cui non era stato perduto il controllo finalistico dell’azione, ebbe l’effetto di impedire la prosecuzione di quell’iter e dunque la progressione della condotta fino alla causazione dell’evento, in modo da privare di qualsivoglia effetto il contenuto della delibera incriminata, nella parte in cui prevedeva l’affidamento dei locali all’associazione, e dunque in modo da rendere irrilevante il contributo fornito da ciascuno dei ricorrenti ai fini dello sviluppo dell’azione i funzione della causazione dell’evento.
6.2. Orbene, posto che il delitto di abuso di ufficio è integrato da una condotta caratterizzata da violazione del dovere di astensione o da violazione di legge, dalla quale deve discendere un evento costituito da un ingiusto vantaggio patrimoniale proprio o altrui o da un danno ingiusto altrui, e che condotta ed evento devono essere accompagnati da dolo intenzionale, cioè dalla rappresentazione e volontà della condotta e dell’evento, nonché dallo specifico intendimento di cagionare quel determinato evento, quale termine di riferimento della condotta (per la nozione di dolo intenzionale, Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804; con riguardo al delitto di abuso di ufficio, Sez. 5, n. 3039 del 03/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249706), essendo insufficiente una generica volontà o la rappresentazione di un’alta probabilità e men che mai la mera accettazione del rischio, deve innanzi tutto escludersi la diretta rilevanza del riferimento al danno ingiusto altrui, ai fini della configurazione dell’evento.
Va rimarcato come tale profilo non avesse formato oggetto di contestazione e come l’intera motivazione fosse stata correlata all’intendimento del Sindaco e della Giunta di favorire COGNOME, costituendo semmai solo indiretta conseguenza quella della perdita di chance in capo a possibili, ma in quella fase non considerati concorrenti.
Ciò significa che in questa sede non può valutarsi il danno ingiusto in chiave finalistica, ma deve aversi riguardo al profilo dell’ingiusto vantaggio patrimoniale, riferito all’associazione “Il sottoscala” e a Zagarella, potendo il tema dell’ingiustizi del danno concorrere all’inquadramento dell’ingiustizia del vantaggio.
6.3. Quest’ultima invero implica che, a prescindere dalla violazione che connota la condotta, debba specificamente considerarsi il suo risultato, in quanto lo stesso non trovi giustificazione nel diritto oggettivo e si ponga in contrasto con esso, valutato nel suo complesso.
In tale prospettiva la mera violazione dell’obbligo di astensione, pur evocando un difetto di parzialità, non è sufficiente ai fini dell’integrazione del reato, essend necessario valutare specificamente il vantaggio o il danno prodotti (Sez. 6, n. 12075 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 278723).
Ove ricorra l’ipotesi della violazione di legge, occorre parimenti valutare il tipo di risultato che ne è derivato. Va comunque rimarcato che, ove si tratti di violazione di norma che nel delineare la legittimità della condotta si proietta altresì sulla legittimità del suo risultato, non si impone l’individuazione di un autonomo profilo di illegittimità, correlato ad una diversa disposizione: sul punto va richiamata l’affermazione secondo cui ai fini in esame, non è necessario che «l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale derivi da una violazione di norme diversa ed autonoma da quella che ha caratterizzato l’illegittimità della condotta, qualora – all’esito della predetta distinta valutazione – l’accrescimento della sfera
patrimoniale del privato debba considerarsi “contra ius”» (Sez. 6, n. 13426 del 10/03/2016, COGNOME, Rv. 267271; Sez. 6, n. 48913 del 04/1.1/2015, COGNOME, Rv. 265473).
Quanto al tema del vantaggio patrimoniale, si rileva che sulla base di un consolidato orientamento lo stesso è ravvisabile in relazione ad un beneficio economico o alla creazione di una condizione più favorevole (Sez. 3, n. 18985 del 03/03/2022, COGNOME, Rv. 28323), profilo per lo più delineato in termini di accrescimento della posizione giuridica soggettiva (Sez. 3, n. 4140 del 13/12/2017, Giugliano, Rv. 272113; sez. 3, n. 10810 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 258894).
Nel caso di specie, va rimarcato come sulla base di quanto ritenuto dai Giudici di merito la delibera fosse stata adottata in violazione di una disposizione che imponeva una trasparente comparazione e come dunque la sostanziale concessione di un servizio, peraltro concretamente rimessa alla convenzione attuativa, che doveva ulteriormente regolarne le modalità, sottendesse in quella storicizzata fase un contrasto con il diritto, implicante un profilo di ingiustizi specificamente riguardante la prevista possibilità di fruire del bene in un quadro connotato da mancanza di trasparenza e di parità di trattamento, valutabile anche sotto il profilo dei più rapidi tempi impiegabili in assenza dello svolgimento di una adeguata procedura comparativa e, nella prospettiva indicata, sotto il profilo del pregiudizio arrecato alle possibilità di azione di altri soggetti (per la rilevanza fini della c.d. doppia ingiustizia della alterazione della par condicio civium, Sez. 6, n. 3391 del 14/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 204496).
6.4. Se dunque è ravvisabile l’ingiustizia, deve nondimeno stabilirsi alla luce delle deduzioni difensive, se un vantaggio patrimoniale fosse configurabile e se lo stesso fosse stato effettivamente prodotto.
Richiamando la nozione di vantaggio patrimoniale, di cui si è già detto, deve rilevarsi che i Giudici di merito, pur avendo dato atto che non era stata siglata la convenzione che avrebbe dovuto dare esecuzione alla delibera, nondimeno hanno ritenuto che fosse stata determinata una condizione di concreto favore, implicante un accrescimento della posizione soggettiva, desunto in particolare dalla consegna delle chiavi, propiziata, secondo la ricostruzione, dall’assessore COGNOME in conseguenza della quale COGNOME tramite i suoi incaricati aveva cominciato ad effettuare lavori di ripristino, peraltro non preceduti dall’assenso della competente Sovrintendenza.
Orbene, si tratta di valutazione parzialmente erronea.
Non può concretamente porsi in dubbio la consistenza del vantaggio insito nella delibera incriminata, destinata ad assicurare all’associa2:ione e a COGNOME che ne era il presidente e, nella sostanza, lo stratega, l’utilità correlata al
Da ciò discende che alla condotta della ricorrente COGNOME può attribuirsi il valore di una valida desistenza volontaria e che da essa deriva la privazione del
contenuto di antigiuridicità della condotta a vantaggio di tutti i concorrenti, non essendo configurabili altri profili di penale rilevanza con riguardo agli atti compiuti.
10. La desistenza è dunque estensibile a tutti i concorrenti e implica l’annullamento della sentenza impugnata per tale causa nei confronti di tutti i
ricorrenti con prevalenza sulla causa di proscioglimento correlata all’estinzione del reato per prescrizione.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti i ricorrenti ai sensi dell’art.
56, comma terzo, Od. pen.
Così deciso il 25/10/2023