Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19806 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19806 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a SAN FELICE SUL PANARO il 30/06/1953 COGNOME NOME nato a MIRANDOLA il 24/11/1983
avverso l’ordinanza del 28/02/2025 della Corte d’appello di Bologna udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 28 febbraio 2025 la Corte d’appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza dei condannati NOME COGNOME ed NOME COGNOME di revoca della sentenza della Corte di appello di Bologna del 17 dicembre 2020, irrevocabile il 7 maggio 2022, nella parte in cui la stessa li aveva condannati per il concorso nel reato di abuso d’ufficio (110 e 323 cod. pen.) con il funzionario del Comune di Finale Emilia NOME COGNOME giudicato a parte.
In particolar e, il giudice dell’esecuzione ha rilevato che, pur se il reato dell’art. 323 cod. pen. è stato abrogato con l. 9 agosto 2024, n. 114, il fatto di cui i condannati sono stati ritenuti responsabili, ha conservato rilevanza penale, perché è adesso punito dall ‘art. 314bis cod. pen., atteso che il concorrente intraneo COGNOME funzionario incaricato alla predisposizione delle gare di appalto di lavori pubblici e di controllo dello stato di
esecuzione dei relativi lavori, aveva la disponibilità di risorse pubbliche che, in violazione di specifiche disposizioni di legge, aveva attribuito ai COGNOME procurando loro un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso i condannati, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deducono violazione di legge in quanto non vi sarebbe continuità normativa tra il vecchio reato dell’art. 323 cod. pen. ed il nuovo reato dell’art. 314bis cod. pen., perché tra gli stessi manca una relazione di specialità unilaterale da genere a specie, sussiste invece eterogeneità tra le due fattispecie che rende non possibile sussumere le condotte dell’una fattispecie sotto l’altra.
Con il secondo motivo deducono violazione di legge in quanto nelle sentenze di merito non è dato rinvenire un riferimento alla figura di COGNOME quale soggetto che dispone di denaro pubblico, poichéegli nelle sentenze di merito compare come mero R.U.P.; sempre dalle sentenze di merito non emerge che COGNOME abbia impresso al denaro pubblico una destinazione diversa da quella prevista dalla legge, la stessa violazione di norme era descritta nel giudizio di cognizione in modo diverso, perché riguardava soltanto le norme legate all’aggiudicazione degli appalti, e non quelle che disciplinano la gestione dei pagamenti che non erano mai state indagate all’interno del processo; nessuno è in grado di dire, leggendo le sentenze di merito, se effettivamente i pagamenti siano stati disposti e le somme siano pervenute ai COGNOME, perché per configurare l’abuso d’ufficio non serviva approfondire questo segmento dell’azione ; al giudice dell’esecuzione è precluso integrare il giudicato ed introdurre elementi che non sono stati ritenuti esistenti in sentenza.
Con il terzo motivo deducono violazione di legge con riferimento agli elementi costitutivi della nuova fattispecie dell’art. 314 -bis cod. pen., in quanto di essa mancherebbe in COGNOME la qualifica di soggetto che dispone di denaro della pubblica amministrazione per ragioni d’ufficio perché egli era soltanto il R.U.P., mentre il giudice dell’esecuzione lo trasforma in un soggetto che ha la disponibilità esclusiva dei denari elargiti, ma in realtà COGNOME non effettuava i pagamenti, nè predisponeva gli atti di liquidazione; gli atti illegittimi di COGNOME si collocavano a monte della procedura di pagamento.
Con il quarto motivo deducono violazione di legge con riferimento agli elementi costitutivi della nuova fattispecie dell’art. 314 -bis cod. pen. in quanto di essa mancherebbe anche la violazione di norme di legge, atteso che le norme di legge di cui all’art. 323 cod. pen. sono diverse da quelle di cui all’art 314bis cod. pen. perché ciò che era contestato a COGNOME nulla aveva a che vedere con disposizioni che regolano la destinazione del denaro pubblico.
Con il quinto motivo deducono violazione di legge con riferimento agli elementi costitutivi della nuova fattispecie dell’art. 314 -bis cod. pen. in quanto mancherebbe comunque il contributo criminoso dei COGNOME, atteso che nella fase del pagamento la loro condotta si è limitata alla mera riscossione del denaro.
Con il sesto motivo deducono violazione di legge, perché il giudice dell’esecuzione non ha distinto la posizione di NOME COGNOME che era stato condannato unicamente per la vicenda degli appalti frazionati alla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, di cui era titolare.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato, sia pure nei limiti indicati di seguito in motivazione.
1. Il primo motivo è infondato.
Esso deduce che in linea generale non vi sarebbe continuità normativa tra il vecchio reato dell’art. 323 cod. pen. ed il nuovo reato dell’art. 314bis cod. pen.
Il motivo è infondato.
Il collegio ritiene di dare continuità all’orientamento emerso nella giurisprudenza di legittimità dopo l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio secondo cui ‘ il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, di cui all’art. 314bis cod. pen., introdotto dall’art. 9, comma 1, d.l. 4 luglio 2024, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, sanziona le condotte distrattive dei beni indicati che, nella disciplina previgente, la giurisprudenza di legittimità inquadrava nella fattispecie abrogata dell’abuso di ufficio (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287453 -02; conformi Sez. 5, n. 10398 del 14/02/2025, Pg, Rv. 287780 – 03 e, con riferimento ad un reato di traffico di influenze illecite finalizzato all’abuso d’ufficio, Sez. 1, n. 5041 del 10/01/2025, COGNOME, Rv. 287431 -01).
Il delitto dell’art. 323 cod. pen. e quello dell’art. 314 -bis stesso codice hanno, infatti, in co mune diversi elementi di fattispecie (1. il soggetto attivo; 2. l’evento di ingiusto vantaggio patrimoniale o di danno ingiusto; 3. il dolo intenzionale; 4. la violazione di norme di legge da cui non residuano margini di discrezionalità) e si differenziano, perché nell’abuso d’ufficio l’atto del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio doveva essere compiuto genericamente ‘ nello svolgimento delle funzioni o del servizio ‘, mentre nel nuovo reato di indebita destinazione esso deve essere perpetrato nello svolgimento di particolari funzioni o di particolare servizio, in cui sia compreso il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui.
Questo requisito di fattispecie rende l’ambito di applicazione dell’art. 314 -bis cod. pen. più ristretto di quello dell’art. 323 cod. pen., perchè comporta, come rilevato nella sentenza COGNOME, una parziale ‘riduzione dello spazio di rilevanza penale delle condotte di indebita destinazione in precedenza ascrivibili al reato di abuso di ufficio’ in quanto ‘il possesso o la disponibilità della res, richiesto dall’art. 314bis cod. pen., sul modello del peculato, è, infatti, presupposto più stringente, e quindi maggiormente selettivo, rispetto a quello allora previsto dall’art. 323 cod. pen., che utilizzava la formula nello svolgimento delle funzioni o del servizio’ .
Non è condivisibile, pertanto, la tesi per la quale le due fattispecie siano in rapporto di eterogeneità perché diverso ne è il soggetto attivo, come sostiene il ricorso, in quanto, in realtà, il soggetto attivo del nuov o reato di cui all’art. 314 -bis cod. pen. non è eterogeneo rispetto a quello dell’art. 323 cod. pen., ma solo delimitato in modo più restrittivo, perché deve essere una persona che, oltre ad avere i poteri del pubblico ufficiale o le caratteristiche dell’i ncaricato di pubblico servizio, deve anche avere il possesso o la disponibilità di denaro o cosa mobile altrui.
Lo stesso deve dirsi della condotta, perché la condotta distrattiva descritta dal testo della nuova norma penale (‘ avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto (…) e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto) rientra completamente nell’ambito di rilevanza penale del vecchio art. 323 cod. pen., che era strutturato sul modello dei reati a forma libera che, fermo il medesimo dolo intenzionale e la medesima violazione di norme di legge, conseguiva, con una condotta non tipizzata dalla norma, lo stesso evento di ingiusto vantaggio o danno previsto dal nuovo reato di indebita destinazione.
Anche con riferimento alla condotta si deve concludere, pertanto, nel senso che l’ambito del penalmente rilevante del reato di cui all’art. 314 -bis cod. pen. è ricompreso in quello del vecchio art. 323 cod. pen., essendosi limitato il legislatore a tipizzare una specifica condotta illecita che rientrava già nell’ambito della norma penale dell’abuso d’ufficio caratterizzata dalla atipicità della condotta che perseguiva l’evento di ingiusto vantaggio o danno.
In definitiva, tra l’abrogato reato dell’art. 323 cod. pen. ed il neointrodotto reato dell’art. 314 -bis cod. pen. non sussiste un rapporto di eterogeneità, ma un rapporto di specialità, che permette di ravvisare tra essi un fenomeno di parziale successione di norme.
Il primo motivo è, pertanto, infondato.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere affrontati congiuntamente, sono fondati, nei limiti di cui alla motivazione.
Nel secondo motivo il ricorso deduce che l’esistenza o meno dei nuovi elementi costitutivi del reato di cui all’art. 314 -bis cod. pen. doveva emergere dalla sentenza di condanna, perché al giudice dell’esecuzione è precluso integ rare il giudicato; nel caso in esame, in particolare, il giudice dell’esecuzione non avrebbe verificato se i pagamenti in favore delle ditte dei COGNOME poi sono stati effettivamente disposti né avrebbe verificato se l’ intraneus COGNOME è descritto in sentenza come soggetto che ha il possesso la disponibilità di denaro pubblico.
L’argomento è fondato, sia pure con le seguenti precisazioni.
La giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che ‘i l giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per le finalità esecutive ‘ (Sez. 1, n. 7512 del 31/01/2025, COGNOME, Rv. 287559 -01; conformi (Sez. 1, n. 16039 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 266624 -01; Sez. 1, n. 30609 del 15/04/2014, COGNOME, Rv. 261087; Sez. 1, n. 36 del 09/01/1996, COGNOME, Rv. 203816 – 01). Nella sentenza COGNOME si precisa, peraltro, che, occorrendo, il giudice dell’es ecuzione deve prendere conoscenza anche degli atti del procedimento, per ricavarne tutti gli elementi da cui sia possibile trarre le risposte all’istanza proposta nell’incidente di esecuzione.
È vero, quindi, che il giudice dell’esecuzione deve trarre gli elementi per la sua decisione dal contenuto della sentenza passata in giudicato, ma può farlo anche ricavando da essa gli elementi che in essa sono impliciti o non chiaramente espressi, perché non contestati o perché presupposto necessario di altri passaggi della decisione. Occorrendo, nella sua attività di interpretazione del giudicato, il giudice dell’esecuzione può conoscere anche degli atti del procedimento di cognizione.
Nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione solo apparentemente si è attenuto a questo insegnamento quando a pag. 7 del provvedimento impugnato ha scritto che ‘in forza di quanto si apprende dalla sentenza di condanna ed in assenza di altre valutazioni in fatto (…) deve ritenersi che COGNOME ha distratto denari che erano destinati al la scelta del migliore contraente cui affidare i lavori di appalto’, perché poi nell’ordinanza non ha indicato alcun riferimento alle parti della sentenza divenuta irrevocabile, o comunque agli atti del procedimento, da cui si doveva ritenere provata l’att ività di destinazione indebita tenuta da COGNOME ed il conseguimento dell’ingiusto vantaggio patrimoniale da parte delle ditte dei ricorrenti. L’affermazione è rimasta meramente assertiva.
Anzi, il riferimento contenuto nel passaggio dell’ordinanza impugna ta alla distrazione di denari ‘destinati alla scelta del migliore contraente cui affidare i lavori di appalto’ lascia pensare che il giudice dell’esecuzione si sia soffermato, in realtà, soltanto sulle contestazioni relative alle condotte avvenute prima della gara di appalto, e non su quelle avvenute in corso di esecuzione lavori, che pure erano parte della contestazione di cui all’art. 323 cod. pen., di cui i COGNOME sono stati ritenuti responsabili (che si può leggere
nel capo di imputazione n. 189, in particolare nella parte di condotta che è descritta a pag. 122 della sentenza di appello).
Su questa parte del giudizio di responsabilità per l’art. 323 cod. pen. per cui sono stati condannati i ricorrenti sembrerebbe mancare del tutto una risposta nella ordinanza impugnata, mentre sulla parte di condanna relativa alle condotte commesse prima dell’aggiudicazione dell’appalto la risposta esiste, ma riposa, come detto, su una indicazione molto generica (‘in forza di quanto si apprende dalla sentenza di condanna’) che non consente di comprendere quale sia stato il percorso logico del giudice dell’esecuzione e da quali parti della sentenza passata in giudicato, in particolare, egli abbia tratto il proprio convincimento.
L’ordinanza prosegue sostenendo che dalla lettura della sentenza si comprende che COGNOME aveva la disponibilità esclusiva dei denari elargiti, nel senso che era necessario e sufficiente un suo provvedimento ‘perché si desse corso in modo automatico alla procedura di liquidazione’.
Il terzo motiv o contesta questa affermazione dell’ordinanza impugnata sostenendo che mancherebbe in COGNOME la qualifica di soggetto che dispone di denaro della pubblica amministrazione per ragioni d’ufficio ai sensi della norma dell’art. 314 -bis cod. pen., perché egli era soltanto il responsabile unico del procedimento, ma non l’ufficiale pagatore, atteso che egli non pagava le ditte appaltatrici, nè predisponeva gli atti di liquidazione.
Il motivo è fondato, sia pure con le precisazioni che seguono.
Si è detto che con il passaggio dall’art. 323 cod. pen. all’art. 314 -bis cod. pen. è stata operata una restrizione dell’ambito del penalmente rilevante, perché, mentre per integrare la condotta dell’art. 323 cod. pen. era sufficiente che la condotta fosse posta in essere ‘nello svolgimento delle funzioni o del servizio’, per integrare quella dell’art. 314 -bis cod. pen. occorre che essa si verifichi nello svolgimento di un particolare ufficio o servizio che comporti il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui.
L’ordinanza impugnata si fa carico di questa restrizione del penalmente rilevante con la frase appena sopra ricordata, in cui evidenzia che l’ intraneus COGNOME doveva ritenersi avere la disponibilità esclusiva dei denari elargiti, atteso che un suo provvedimento era necessario e sufficiente ‘perché si desse corso in modo automatico alla procedura di liquidazione’; secondo l’ordinanza impugnata, ciò che c onta è la disponibilità giuridica del denaro, che non è esclusa dal fatto che la procedura di spesa debba passare attraverso l’erogazione materiale del denaro ad opera di altro pubblico ufficiale.
La sistematica dell’ordinanza impugnata in sé è corretta, p erché la circostanza che il pubblico ufficiale non sia il soggetto che materialmente eroga il pagamento non impedisce di ritenerlo soggetto attivo del reato di cui all’art. 314 -bis cod. pen., essendo stato ritenuto, ad es., nella giurisprudenza di legittim ità, con riferimento all’analoga figura di
reato di cui all’art. 314 cod. pen. – che con la norma in esame ha in comune il requisito del possesso o disponibilità di denaro o cosa mobile altrui che ‘ per la configurabilità del delitto di peculato, occorre che in capo al consigliere regionale sia ravvisabile originariamente, in ragione dell’ufficio, il possesso del denaro ovvero la sua concreta possibilità di disporne, con atti incidenti sulla fase esecutiva di gestione della cassa, quand’anche affidata ad a ltri funzionari’ (Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 278809 -04, in motivazione).
Il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, dal quale il Collegio non intende discostarsi, interpreta la nozione di possesso assunta dall’art. 314 cod. pen. attribuendole un significato più ampio di quello civilistico. Non è, infatti, necessario che il pubblico ufficiale abbia la materiale detenzione o la diretta disponibilità del denaro, essendo sufficiente la disponibilità giuridica, ossia la possibilità di disporne, mediante un atto di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (tra le tante, Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257385; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, COGNOME, Rv. 255529; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146).
Pur con un orientamento non del tutto univoco sul dove debba essere posto il confine del possesso penalistico rilevante ai sensi dell’art. 314 cod. pen., e se per integrare lo stesso sia sufficiente che l’agente sia un “ordinatore di spesa” nei confronti della struttura amministrativa che opera alla stregua di un ufficio cassa (Sez. 6 n. 4990 del 11/7/2018, Spreafico, Rv. 27422) o se al contrario sia necess ario quantomeno che l’agente abbia il potere, esercitabile in autonomia, di attribuire alla stessa una diversa destinazione (Sez. 6, n.40595 del 2/3/2021, COGNOME, Rv. 282742, in motivazione; Sez. 6, n. 29678 del 7/7/2022, COGNOME), la disponibilità mediata di denaro o beni mobili della pubblica amministrazione è, in ogni caso, una disponibilità rilevante ai sensi dell’art. 314 -bis cod. pen., e che permette la traslazione della vecchia condotta di abuso distrattivo sotto il disposto della nuova norma penale.
Sembra essere questo anche il percorso logico dell’ordinanza impugnata quando afferma che i provvedimenti di COGNOME erano necessari e sufficienti perché si desse seguito in modo automatico alla procedura di liquidazione; però l’affermazione è riferit a solo agli illeciti commessi durante la fase di esecuzione dei lavori, e non si attaglia a quelli commessi durante la fase di aggiudicazione dei lavori, dove i provvedimenti di COGNOME non sono indefettibilmente collegati con la procedura di liquidazione, perché nessuna stazione appaltante paga già solo per l’aggiudicazione dell’appalto.
La distanza procedurale tra il provvedimento dell’agente ed il pagamento finale in favore degli extranei beneficiati incide sulla possibilità di ritenere necessariamente e sistente il reato dell’art. 314 -bis cod. pen., perché rende progressivamente sempre più ‘mediata’ la disponibilità di risorse pubbliche che è requisito costitutivo di fattispecie, onerando conseguentemente il giudice in questo caso dell’esecuzione – di uno sforzo
motivazionale tanto più intenso quanto più è distante il comportamento tenuto dall’agente rispetto al pagamento finale.
Se, infatti, quando la condotta contestata all’agente è la firma di uno stato di avanzamento lavori artatamente gonfiato (o il concorso nella decisione di aumentarne ingiustificatamente l’importo) , è richiesto uno sforzo motivazionale minore, atteso che al provvedimento consegue per regola di successione causale, salvo imprevisti, il pagamento ad opera dell’ufficiale pagatore dell’ente pubblico, diverso è quando la condotta contestata all’agente è aver favorito l’aggiudicazione di un appalto pubblico, che si colloca a monte rispetto al momento del pagamento ed in cui lo sforzo motivazionale per ritenere esistente la disponibilità mediata di risorse pubbliche dovrà essere più intenso.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata non resiste alle censure che le sono state rivolte e deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto. Nel giudizio di rinvio il giudice dell’esecuz ione dovrà attenersi ai seguenti principi:
dovrà ritenere esistente un rapporto di specialità, e non di eterogeneità, tra il reato dell’art. 323 cod. pen. ed il reato dell’art. 314 -bis cod. pen., rapporto che rende sussumibile in astratto le condotte di abuso distrattivo previste dalla abrogata fattispecie penale in quella introdotta dall’art. 9, comma 1 del d.l. 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 8 agosto 2024, n. 112;
dovrà verificare se nella sentenza impugnata o dagli atti del procedimento sono stati ritenuti esistenti, anche in modo implicito, i requisiti comuni alle due fattispecie della violazione di norme di legge, del conseguimento di un ingiusto profitto patrimoniale, del dolo intenzionale di profitto, distinguendo ciascuna delle specifiche condotte descritte nel capo di imputazione n. 189 per cui sono stati condannati i ricorrenti (ad esempio, nella sentenza impugnata la circostanza che sia stato deliberato il pagamento della vicenda della cessione del credito si trova a pag. 451, la circostanza che sia stato deliberato il pagamento nella vicenda dello stato di avanzamento dei lavori per il cimitero si rinviene a pag. 459, e così via);
dovrà verificare se in ciascuna di queste vicende il comportamento di volta in volta tenuto dall’ intraneus COGNOME possa essere sussunto nel requisito di fattispecie previsto dall’art. 314 -bis cod. pen. della disponibilità da parte di questi di denaro o cosa mobile altrui, sulla base del principio secondo cui rileva anche la disponibilità mediata.
3. I restanti motivi sono assorbiti.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Bologna.
Così è deciso, 16/05/2025 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME