Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17475 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17475 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Paterna NOME nato a Palermo il 29/08/1942;
DCOGNOMENOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 23/04/1945;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 29/06/1967;
avverso la sentenza emessa in data 16/01/2024 dalla Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME quanto al capo 45), dichiarando inammissibile nel resto il ricorso, di annullare senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME quanto al capo 5), dichiarando inammissibile nel resto il ricorso, e di dichiarare inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME COGNOME;
udite le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di NOME COGNOME e di NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Pubblico Ministero del Tribunale di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di:
NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 110, 117 e 319 cod. pen. contestati ai capi 1), 3), 6), 7), 9), 11), 13), 14), 16), 17), 18), 19), 20), 33 34), di cui agli artt. 61 n. 2, 110, 117 e 326, comma 1, cod. pen. contestati ai capi 2), 4), 10), 12) e 15), di cui agli artt. 81, 117 e 323 cod. pen. contestato al capo 5), di cui agli artt. 81, 110, 117 e 319 quater cod. pen. contestati ai capi 22), 23) 24) e di cui agli artt. 110, 479, 476, secondo comma, cod. pen. contestato al capo 51);
NOME COGNOMENOME i reati di cui all’art. 110, 117 e 319 cod. pen. contestati ai capi 17), 18), 19), 20), 24), 33) e 34);
NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 110, 117 e 319 cod. pen. contestati ai capi 1), 3), 6), 7), 9), 11), 13) 14), 16), 17), 18), 19), 20), 24), 43), 45), 47), di cui artt. 61 n. 2, 110, 117 e 326, comma 1, cod. pen. contestati ai capi 2), 4), 10), 12), 15), 42), 44), 46), 48), di cui agli artt. 81, 110, 117 e 3 quater cod. pen. contestato al capo 22) e di cui agli artt. 61 n. 2 e 610 cod. pen. contestato al capo 49).
Secondo l’ipotesi di accusa, NOME COGNOME, capitano di nave e capitano superiore di lungo corso, membro della commissione di esami presso la direzione marittima di Palermo per le abilitazioni professionali di “coperta” e, dunque, pubblico ufficiale, in concorso con NOME COGNOME, amministratore unico dello studio COGNOME, centro internazionale di formazione marittima, sito in Palermo, avrebbe ricevuto somme di danaro da plurimi candidati o, comunque, ne avrebbe ricevuto la promessa al fine di garantire un agevole superamento delle prove di esame per il riconoscimento dell’abilitazione professionale al grado di primo ufficiale di coperta su navi di tonnellate stazza lorda (T.S.L.).
COGNOME, inoltre, in qualità di membro della commissione esaminatrice, in concorso con COGNOME, violando i doveri inerenti alle proprie funzioni o, comunque, abusando delle sue qualità, avrebbe rivelato illegittimamente ad alcuni candidati notizie di ufficio destinate a rimanere segrete e, segnatamente, le domande che gli avrebbe posto nel corso dell’esame orale tecnico-nautico per l’abilitazione.
In altre occasioni, COGNOME, nelle qualità precisate, in violazione dell’art. 97 Cost. e del decreto 30 novembre 2007 del Ministero dei Trasporti, recante disposizioni in materia di “Qualifiche e abilitazioni per il settore di coperta e d macchina per gli iscritti alla gente di mare”, nonché del decreto del 17 dicembre
2007 del Ministero dei Trasporti, recante disposizioni in materia di “Programmi di esame per il conseguimento delle abilitazioni per il settore di coperta e di macchina per gli iscritti alla gente di mare”, avrebbe intenzionalmente provocato un ingiusto vantaggio patrimoniale ad alcuni candidati, attivandosi per consentirgli un’agevole superamento delle prove di esame, fornendo indicazioni utili e conducendo l’esame in modo da agevolare il candidato nei momenti di difficoltà.
NOME COGNOME, in qualità di capitano di macchina e di docente presso lo studio COGNOME, avrebbe ricevuto somme di danaro dai candidati o, comunque, ne avrebbe accettato la promessa, al fine di far compiere a Paterna atti contrari ai doveri di ufficio e, segnatamente, di agevolare il superamento della prova di esame influendo sul commissario di esame NOME COGNOME
Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, con sentenza emessa in data 8 gennaio 2001 all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato:
NOME COGNOME colpevole dei delitti al medesimo ascritti ai capi 1), 2), 3), 4), 5), 6), 7), 9), 11) – in esso assorbito il capo 13), 14) – in esso assorbito capo 16), 24) e dei delitti di cui ai capi 19), 20), 22), 33) e 34), qualificati ai sen dell’art. 346-bis primo e terzo comma, cod. pen.
NOME COGNOMENOME colpevole dei delitti a lui ascritti ai capi 19), 20), 33) e 34), tutti qualificati ai sensi dell’art. 346-bis primo e terzo comma, cod. pen.;
NOME COGNOME colpevole dei delitti a lui contestati al capo 43) qualificato ai sensi dell’art. 323 cod. pen.- 44), 45) e 46) – questi ultimi due esclusivamente con riferimento alla condotte relative a NOME COGNOME-, e 49);
concesse le attenuanti generiche a ciascuno degli imputati e riconosciuto il vincolo della continuazione, ha condannato:
NOME COGNOME alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione,
NOME COGNOMENOMECOGNOME ritenuta l’equivalenza delle circostanze attenuanti a quella di cui al terzo comma dell’art. 346 bis cod. pen., alla pena sospesa di due anni di reclusione;
NOME COGNOME alla pena di tre anni di reclusione;
gli imputati oltre che al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti – Comando Generale delle Capitanerie di Porto-, da liquidarsi in separato giudizio civile, e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile.
Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo ha, inoltre, dichiarato NOME COGNOME interdetto per cinque anni dai pubblici uffici e, ai sensi
dell’art. 322-ter cod. pen., ha ordinato la confisca per equivalente nei confronti di Paterna Giovanni sino alla concorrenza della somma di euro 8.500,00.
Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, da ultimo, assolto:
NOME COGNOME dai delitti contestati ai capi 10), 12), 15), 17), 18) e 23), perché il fatto non sussiste, e dal delitto contestato al capo 51), per non aver commesso il fatto
NOME COGNOMENOME dai delitti contestati ai capi 17) e 18), perché il fatto non sussiste, e dai delitti di cui al capo 24) per non aver commesso il fatto;
NOME COGNOME dai delitti contestati ai capi 1), 2), 3), 4) 6), 7), 9), 14) – in esso assorbito il capo 16), 19), 20), 22), e 24) per non aver commesso il fatto, dai delitti di cui ai capi 10), 11) – in esso assorbito il capo 13), 12), 1 17), 18), 41), 42), 45) e 46) – questi ultimi due esclusivamente con riferimento alle condotte relative a soggetti diversi da NOME COGNOME– 47) e 48), perché il fatto non sussiste.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata dagli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e dal Pubblico Ministero:
ha assolto NOME COGNOME dai reati di cui ai capi 2), 4), 33) e 34) perché i fatti non sussistono e ha ridotto la pena inflittagli a cinque anni, un mese e dieci giorni di reclusione;
ha assolto NOME COGNOME dai reati di cui ai capi 33) e 34) perché i fatti non sussistono e ha ridotto la pena inflittagli a un anno e otto mesi di reclusione;
ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui al capo 49), perché l’azione non poteva essere proseguita per mancanza di querela, e, riqualificato il reato di cui al capo 45) ai sensi dell’art. 323 cod. pen., ha rideterminato la pena in un anno e quattro mesi di reclusione;
ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME, hanno impugnato questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, hanno proposto nove motivi di ricorso e, segnatamente:
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5.1) l’inosservanza degli artt. 319, 323 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di corruzione contestate con riferimento ai candidati NOME COGNOME (capo 1) e NOME COGNOME (capo 3) e il vizio di motivazione sul punto.
Queste condotte dovrebbero essere qualificate come reati, ormai abrogati, di abuso di ufficio per violazione del dovere di astensione, in quanto non sarebbe stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio alcuna dazione di somme di danaro in favore del ricorrente, né la conclusione di alcun pactum sceleris.
Non sarebbe sufficiente, del resto, la sola dimostrazione della ricezione di una somma di danaro per inferire il pactum sceleris.
5.2) l’inosservanza dell’art. 323 cod. pen. con riferimento al delitto di abuso d’ufficio contestato in relazione al candidato NOME COGNOME (capo 5), in quanto non ricorrerebbe l’estremo del danno ingiusto inferto ad altri soggetti, posto che si trattava di un’abilitazione e non già di un concorso, e il vizio di motivazione sul punto.
5.3) l’inosservanza degli artt. 319, 323 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di corruzione contestate con riferimento ai candidati NOME COGNOME (capo 6) e NOME COGNOME (capo 7) e il vizio di motivazione sul punto.
La condanna avrebbe ad oggetto due candidati bocciati; secondo i giudici di appello, Paterna, dopo la bocciatura di COGNOME, avrebbe restituito la somma di euro 2.000 e non avrebbe richiesto a Palino il saldo della somma di 2.000 euro.
La sentenza di primo grado ha affermato che la restituzione di parte del prezzo del reato non esclude la sussistenza del pactum sceleris.
La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado illogicamente escludendo che la condotta dell’imputato fosse mossa da sensibilità umana, inidonea a integrare il pactum sceleris.
Le condotte dovrebbero, dunque essere riqualificate nel reato, ormai abrogato, di abuso di ufficio.
5.4) l’inosservanza degli artt. 319, 323 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di corruzione contestate con riferimento al candidato NOME COGNOME (capo 9) e il vizio di motivazione sul punto.
In questo caso mancherebbe la prova del versamento del danaro, pur a fronte delle rivelazione delle domande di esame operata da Paterna a Siviero.
La prova del pagamento, tuttavia, «dovrebbe stagliarsi netta» e non essere fondata su congetture; anche questa condotta dovrebbe, dunque essere riqualificata nel reato, ormai abrogato, di abuso di ufficio.
5.5) l’inosservanza degli artt. 319, 323 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di corruzione contestate con riferimento ai candidati
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NOME COGNOME (capi 11 e 13) e NOME COGNOME (capi 14 e 16) e il vizio di motivazione sul punto.
Ad avviso del difensore, la motivazione sarebbe illogica, in quanto non sarebbero stati dimostrati favoritismi nel corso della prova di esame di Tropea.
Con riferimento a Messina, inoltre, la sentenza impugnata avrebbe inferito il pactum sceleris soltanto dall’avvenuta dazione di danaro e dall’atteggiamento di favore dell’imputato nei confronti del candidato in occasione della prova di esame.
5.6) l’inosservanza dell’art. 346-bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di traffico di influenze contestate con riferimento ai candidati NOME COGNOME (capo 19) e NOME COGNOME (capo 20) e il vizio di motivazione sul punto.
Il giudice dell’udienza preliminare ha qualificato queste condotte come traffico di influenze illecita, in quanto Paterna non era membro della commissione, ma, dietro versamento di una somma di danaro, avrebbe posto in essere raccomandazioni e pressioni sul membro della commissione di esame NOME COGNOME
La motivazione della sentenza impugnata, tuttavia, sarebbe manifestamente illogica, in quanto sarebbe fondata su mere congetture (le intercettazioni relative all’intervento di Paterna per la nomina di COGNOME nella commissione e il tenore delle conversazioni intercettate tra COGNOMENOME e COGNOME, nelle quali i due candidati erano considerati come due “casi patologici”, in ragione della loro grave impreparazione).
La raccomandazione, tuttavia, non sarebbe stata determinante per il superamento dell’esame e la prova della mediazione illecita non sarebbe stata raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio.
La condotta considerata dalla Corte di appello non integrerebbe reato secondo la formulazione originaria del reato di traffico di influenze illecite e, comunque, non integrerebbe più reato dopo la recente riformulazione dell’art. 346-bis cod. pen.
COGNOME, non avendo ricevuto alcuna dazione di danaro, avrebbe al più posto in essere una condotta di abuso di ufficio ormai abrogata e non un atto contrario ai doveri di ufficio che costituisca reato.
5.7) l’inosservanza dell’art. 346-bis, comma terzo, cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di traffico di influenze contestate con riferimento ai candidati NOME COGNOME (capo 19) e NOME COGNOME (capo 20) e il vizio di motivazione sul punto.
La Corte di appello avrebbe illegittimamente applicato l’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 346-bis cod. pen. per i casi nei quali il soggetto che riceve il danaro riveste la qualità di pubblico ufficiale.
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In queste prove di esame, tuttavia, COGNOME non avrebbe ricoperto la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto non sarebbe stato membro della commissione e la Corte di appello illegittimamente lo avrebbe considerato «intraneo» all’apparato pubblico.
5.8) l’inosservanza dell’art. 346-bis, comma terzo, cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle in relazione alle condotte di traffico di influenze contestate con riferimento al candidato NOME COGNOME (capo 22) e il vizio di motivazione sul punto.
La Corte di appello avrebbe illogicamente ritenuto integrata la prova del pagamento della somma di euro 4.000-4.500 euro da Giunta a Paterna, asseritamente idonea a costituire il prezzo della mediazione illecita nei confronti del membro di commissione NOME COGNOME solo a fronte delle dichiarazione del procacciatore COGNOME e, dunque, sulla base di mere congetture, senza alcun riscontro sull’effettività della dazione.
5.9) l’inosservanza degli artt. 319, 323 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alle condotte di corruzione contestate con riferimento al candidato NOME COGNOME (capo 24) e il vizio di motivazione sul punto.
La Corte di appello avrebbe illogicamente ritenuto il reato integrato, pur in assenza della prova della dazione del danaro.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, hanno proposto due motivi di ricorso, chiedendo di annullare la sentenza impugnata in quanto i fatti ascritti al ricorrente non sussistono o, comunque, non costituiscono reato.
6.1. Con il primo motivo i difensori hanno dedotto l’inosservanza dell’art. 346 bis cod. pen. e il vizio di motivazione sul punto.
Il difensore premette che il ricorrente è stato originariamente accusato di corruzione propria per aver, in concorso con NOME COGNOME, influito su NOME COGNOME membro della commissione esaminatrice, al fine di raccomandare i propri candidati (COGNOME, NOME, COGNOME e COGNOME) e ottenere il superamento degli esami da parte degli stessi.
La Corte di appello, tuttavia, ha ritenuto illecite solo due delle quattro condotte contestate (quelle relative ai candidati NOME COGNOME e NOME COGNOME) e ha riqualificato le stesse ai sensi dell’art. 346 bis cod. pen., aggravato ai sensi del terzo comma di tale diposizione, in ragione della qualifica di pubblico ufficiale di Paterna.
I difensori, tuttavia, eccepiscono che la prova della mediazione illecita non sarebbe stata raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, ma solo sulla base di argomentazioni congetturali.
La Corte di appello avrebbe travisato per omissione la prova dell’ammissione del candidato Stella operata dalla Prof.ssa NOME COGNOME risultante dall’intercettazione del 6 giugno 2016, che avrebbe dimostrato la serietà della preparazione da parte del candidato e che il prezzo preteso non aveva fondamento nell’influenza esercitata presso la commissione.
COGNOMENOME peraltro, nell’interrogatorio reso innanzi la Giudice dell’udienza preliminare aveva rappresentato di essere molto esigente con i candidati e di aver redatto e consegnato ai candidati una dispensa di duecentotrenta pagine per prepararsi in modo accurato e approfondito.
Il voto assegnato ai candidati NOME e NOME sarebbe, inoltre, stato riconosciuto all’unanimità dalla commissione d’esame.
La raccomandazione non sarebbe stata decisiva ai fini del superamento dell’esame. Lo stesso COGNOME nell’intercettazione dell’8 giugno 2016 avrebbe detto di essere solito bocciare anche i candidati raccomandati. Difetterebbe, inoltre, la prova della dazione di danaro in favore di NOMECOGNOMENOME.
La pressione esercitata sul commissario di esame NOME COGNOME sarebbe stata finalizzata ad una mera raccomandazione (e non alla commissione di un reato) e, dunque, non sarebbe penalmente rilevante ai sensi della formulazione dell’art. 346-bis cod. pen. vigente al momento del fatto.
Nella formulazione attuale dell’art. 346-bis cod. pen. il reato di traffico di influenze è, inoltre, configurabile solo se la mediazione illecita sia posta in essere sfruttando relazioni inesistenti con pubblici ufficiali per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio.
Posto che il COGNOME avrebbe commesso al massimo una condotta di abuso di ufficio, ormai abrogato, il reato di traffico di influenze illecite ritenuto dalla Cor di appello non sarebbe più penalmente rilevante.
6.2. Con il secondo motivo i difensori hanno dedotto l’inosservanza dell’aggravante di cui all’art. 346 bis, terzo comma, cod. pen. e il vizio di motivazione sul punto.
La Corte di appello di Palermo avrebbe fatto erronea applicazione dell’aggravante, ritenuta equivalente alle attenuanti generiche, prevista per le ipotesi in cui il soggetto che si fa dare il danaro rivesta la qualifica di pubblic ufficiale.
Il Giudice per le indagini preliminari, infatti, avrebbe riqualificato come ipotesi di traffico di influenze illecite le condotte tenute da COGNOME in relazione ai “candidati di macchina”, in quanto Paterna, non essendo membro della commissione non era pubblico ufficiale; tuttavia, contraddittoriamente il Giudice dell’udienza preliminare aveva ritenuto che Paterna avesse ricevuto il prezzo della mediazione illecita in qualità di pubblico ufficiale.
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La Corte di appello, a pag. 78 della sentenza impugnata, ha ritenuto corretta l’imputazione dell’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 346-bis cod. pen., «non essendosi il Paterna mosso come privato cittadino, ma come intraneo all’apparato amministrativo deputato al rilascio delle licenze di navigazione, dati questi (quello della qualità e dell’interessamento), come visto, più che noti al COGNOMENOME».
La motivazione della Corte di appello sarebbe, tuttavia, illegittima, in quanto l’aggravante postula la qualifica di pubblico ufficiale e non già una mera “intraneità”, inqualificata, all’apparato pubblico.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, ha proposto due motivi di ricorso e ha chiesto, in principalità, di annullare la sentenza impugnata, assolvendo l’imputato dal reato di abuso d’ufficio contestato al capo 45) della rubrica perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato per non averlo commesso e, in subordine, di annullare la sentenza in relazione a tale delitto, in quanto non è più previsto dalla legge come reato.
Il difensore rileva che COGNOME è titolare dello studio COGNOME centro di formazione marittima, con sede in Palermo, ente abilitato al rilascio dei certificati di competenza o di addestramento in attuazione della direttiva 2012/35/UE, previa effettuazione di corsi per genti di mare.
Il comandante lungo corso NOME COGNOME e il direttore di macchina NOME COGNOME sono due figure di spicco del panorama internazionale della navigazione, con elevata preparazione, universalmente riconosciuta.
Secondo l’ipotesi di accusa, tuttavia, COGNOME e COGNOMENOME, nell’ambito dei corsi per il rilascio dei cosiddetti titoli minori per ufficiali avrebbero f mercimonio della funzione. Le indagini estese a diversi corsi di formazione tenuti dallo studio COGNOME avrebbero avuto ad oggetto sia la parte della formazione teorica, che le prove di esame svolte al suo interno.
Illecita, secondo la pubblica accusa, sarebbe da ritenersi la prassi di fornire ai candidati prima degli esami, le risposte ai test a risposta multipla utilizzat durante la formazione mediante la simulazione prove di esame per testare la preparazione dei candidati. E in questa circostanza sarebbe stato ravvisato il sinallagma del patto corruttivo tra il pagamento illecito e il corso superamento degli esami.
L’imputato in primo grado è stato assolto da quasi trenta capi di imputazione; in grado di appello sono state confermate soltanto le imputazioni connessi ai fatti accaduti il 6 luglio 2016, contestate ai capi 45) e 46) della rubrica, il primo
originariamente qualificato quale delitto di cui agli artt. 110, 319 cod. pen., con riferimento al candidato NOMECOGNOME e derubricato nel reato di abuso d’ufficio.
Il difensore deduce che il percorso logico della Corte di appello non sarebbe convincente.
Pur avendo i giudici di appello ritenuto la liceità della prassi relativa alle mediante svolgimento dei test con rivelazioni anticipata dalle proprie risposte esatte, ha pur tuttavia ritenuto il ricorrente colpevole.
La Corte di appello, tuttavia, non avrebbe spiegato in che modo la presenza del ricorrente agli esami, possa avere costituito indizio di colpevolezza reato in questione.
Il ricorrente, infatti, essendo il direttore tecnico del centro di formazione, era normalmente presente in tutti gli esami come membro della commissione esaminatrice. Parimenti, non si comprende come il ricorrente possa stato specificamente accusato dal comandante Presidente di commissione dell’artificio della truffa.
Non potrebbe essere considerata indiziante la giusta reazione del ricorrente, che ha scoperto che il candidato COGNOME aveva con sé gli elaborati già compilati, fornendo immotivatamente un’interpretazione autoconfessoria.
Nei giorni precedenti l’esame non sarebbero stati documentati incontri o contatti tra COGNOME e COGNOME; la reazione di COGNOME alla spiegazione fornita da COGNOME avrebbe inchiodato il candidato alle sue responsabilità.
Il tentativo del ricorrente dopo l’interruzione degli esami dei test forniti durante la simulazione delle prove di esame non significherebbe che anche gli altri concorrenti ne fossero in possesso.
In data 20 dicembre 2024 l’avvocato NOME COGNOME ha depositato tempestiva richiesta di trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere accolti nei limiti che di seguito si precisano.
L’avvocato NOME COGNOME con il primo motivo proposto, nell’interesse di NOME COGNOME ha chiesto, in principalità, di annullare la sentenza impugnata, assolvendo l’imputato dal reato di abuso d’ufficio contestato al capo 45) della rubrica perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato per non averlo commesso e, in subordine, di annullare la sentenza in relazione a tale delitto, in quanto non è più previsto dalla legge come reato.
3. Il motivo è fondato.
La Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna inflitta dalla sentenza di primo grado di NOME COGNOME per i delitti contestati ai capi 43 (art. 323 cod. pen.), 44 (art. 326 cod. pen.), 45 (art. 323 cod. pen.), 46 (art. 326 cod. pen., esclusivamente con riferimento alla condotte relative a NOME COGNOME).
L’art. 1, comma 1, lett. b), della legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare), entrato in vigore il 25 agosto 2024, ha, tuttavia, abrogato l’art. 323 cod. pen. e, dunque, il reato di abuso di ufficio.
La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai delitti a lui ascritti ai capi 43) e 45), in quanto i relativi fatti non sono più previsti dalla legge come reati.
L’avvocato NOME COGNOME con il secondo motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME ha dedotto il vizio di manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai residui delitti di rivelazione di segreto di ufficio contestati ai capi 44) e 46).
Questo motivo è, tuttavia, inammissibile, in quanto si risolve in una proposizione di una diversa lettura delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
È, del resto, inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 7/5/2015, Rv. 264441).
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME hanno chiesto di annullare la sentenza impugnata, in quanto i fatti ascritti al ricorrente non sussistono o, comunque, non costituiscono reato.
La prova della mediazione illecita non sarebbe stata raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, ma sarebbe stata ritenuta sussistente solo sulla base di argomentazioni congetturali.
La pressione esercitata sul commissario di esame NOME COGNOME sarebbe stata finalizzata ad una mera raccomandazione (e non alla commissione di un reato) e, dunque, non sarebbe penalmente rilevante ai sensi della formulazione dell’art. 346-bis cod. pen. vigente al momento del fatto.
Nella formulazione attuale dell’art. 346-bis cod. pen. il reato di traffico di influenze è, inoltre, configurabile solo se la mediazione illecita sia posta in essere sfruttando relazioni inesistenti con pubblici ufficiali per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio. Posto che il COGNOME avrebbe commesso al massimo una condotta di abuso di ufficio, ormai abrogato, il reato di traffico di influenze illecite ritenuto dalla Corte di appello non sarebbe più penalmente rilevante.
7. I motivo è fondato.
7.1. La Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna di COGNOME inflitta in primo grado per i delitti di cui ai capi ai capi 19) e 20), qualificati ai s dell’art. 346-bis, primo e terzo comma, cod. pen., con riferimenti ai candidati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
7.2. Il reato di traffico di influenze illecite è stato introdotto all’art. 346del codice penale dall’art. 1, comma 75, lett. r), della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) in attuazione degli impegni internazionali assunti dallo Stato italiano con la sottoscrizione della “Convenzione contro la corruzione”, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31.10.2003 con risoluzione n. 58/4 (Convenzione di Merida), ratificata con legge 3 agosto 2009, n. 116 e della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27.1.1999, ratificata con legge 28 giugno 2012, n. 110.
Nella sua formulazione originaria l’art. 346-bis cod. pen. sanciva che «hiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319, 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio è punto con la reclusione ad uno a tre anni».
Nella sua formulazione originaria, dunque, la condotta tipica si realizzava solo tramite lo sfruttamento di relazioni esistenti con il pubblico ufficiale e in ci
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si differenziava nettamente dalla fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen., nella quale il reo millantava credito presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato.
Il reato di traffico di influenze, inoltre, nel disegno sistematico del legislatore non sussisteva ove fosse stata esercitata una reale influenza sul pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, in quanto in questo caso si realizzano i reati di corruzione ex art. 318 o 319, rispetto ai quali il reato in oggetto è sussidiario, essendovi una specifica clausola di riserva.
7.3. L’art. 1, 1° co., lett. t), n. 1, della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) ha riformulato la fattispecie del reato di traffico di influenze.
In questa versione l’art. 346-bis cod. pen. sanciva che «hiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione a compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.» Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il legislatore, nell’intento di dare compiuta attuazione alle previsioni sovranazionali che sollecitavano la punizione anche della compravendita di influenze millantate, ha, dunque, rimodulato estensivamente la fattispecie di reato in una triplice direzione:
ha abrogato la fattispecie del reato di millantato credito, “fondendola” con il reato di traffico di influenze illecite;
ha eliminato l’inciso contenuto nell’art. 346-bis cod. pen. «in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio»;
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ha fatto venir meno la natura necessariamente “patrimoniale” del vantaggio dato o promesso al mediatore, individuando il corrispettivo ricevuto dal venditore di influenza con il generico termine «utilità».
Le Sezioni unite di questa Corte, chiamate a risolvere il contrasto di giurisprudenza insorto quanto ai rapporti tra la prima e la seconda formulazione della fattispecie di cui all’art. 346-bis cod. pen., hanno statuito che non sussiste continuità normativa tra il reato di traffico di influenze illecite, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. t), legge 9 gennaio 2019, n. 3, ed il reato di millantato credito “corruttivo” di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge n. 3 cit., le cui condotte potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa, in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito “corruttivo”, purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286304 – 01).
7.4. Da ultimo, l’art. 1, comma 1, lettera e), della legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare), entrato in vigore il 25 agosto 2024, ha nuovamente riformato la formulazione dell’art. 346-bis cod. pen., questa volta in termini maggiormente restrittivi, con esiti di parziale abolitio criminis.
La disposizione attualmente sancisce che «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319 ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322 bis, utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità economica, per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322bis, in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita, è punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi.
Ai fini di cui al primo comma, per altra mediazione illecita si intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità economica».
7.5. La nuova formulazione riduce l’ambito della rilevanza penale della fattispecie di reato previgente sotto plurimi profili.
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Nella disciplina vigente l’art. 346-bis cod. pen. si riferisce, solo alle relazioni esistenti e, pertanto, non consente più la punibilità del traffico di influenze millantate. Le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono, inoltre, essere effettivamente utilizzate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite).
La recente riforma comporta, pertanto, una parziale aboliti° criminis, relativamente ai fatti commessi vantando relazioni asserite con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio.
L’utilizzazione GLYPH delle GLYPH relazioni GLYPH deve, GLYPH inoltre, avvenire «intenzionalmente allo scopo» di porre in essere le condotte che integrano la fattispecie delittuosa e l’utilità data o promessa al mediatore, in alternativa al denaro, deve ora essere «economica».
La mediazione c.d. gratuita è limitata alla remunerazione del pubblico funzionario in relazione all’esercizio delle sue funzioni (e non più, anche dei suoi “poteri”) e la mediazione c.d. onerosa si esaurisce in quella commessa «per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio…a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito».
Il legislatore ha, inoltre, esteso al traffico di influenze illecite due cause di non punibilità: quella del ravvedimento post delictum di cui all’art. 323 bis, secondo comma, cod. pen. e quella della tempestiva e volontaria denuncia del fatto prevista dall’art. 323 ter cod. pen.
7.6. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata nei confronti di NOME COGNOME con riferimento a tutti i delitti al medesimo ascritti, in quanto i relativi fatti non sono più previsti dalla legge come reato.
La sentenza impugnata ha, infatti, accertato che la mediazione illecita esercitata da Paterna su COGNOMENOME era volta non già ad una mera raccomandazione, ma a fargli commettere condotte di abuso di ufficio che, tuttavia, attualmente non sono più penalmente rilevanti.
Posto, dunque, che, nella formulazione vigente, la mediazione onerosa, diretta a compiere atti che non integrano reato (quali le ormai abrogate condotte di abuso di ufficio) non rientra più nell’ambito applicativo della fattispecie di reato di cui all’art. 346-bis cod. pen. le condotte contestate al ricorrente non sono più punibili ai sensi dell’art. 2, secondo comma, cod. pen.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, hanno chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, proponendo nove motivi di ricorso.
La Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna di Paterna inflitta dai giudici di primo grado per i delitti contestati ai capi 1 (art. 319 cod. pen.), 3 (art. 319 cod. pen.), 5 (art. 323 cod. pen.), 6) (art. 319 cod. pen.), 7) (art. 319 cod. pen.), 9) (art. 319 cod. pen.), 11 (art. 319 cod. pen.), 14) (art. 319 cod. pen.), 16 (art. 319 cod. pen.), 19 (art. 346-bis cod. pen.), 20 (art. 346-bis cod. pen.) e 22 (art. 346-bis cod. pen.) e 24 (art. 319 cod. pen.).
In via preliminare la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al delitto di cui all’art. 323 cod. pen. contestato al capo 5), in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Parimenti la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione ai delitti di cui all’art. 346-bis cod. pen. contestati ai capi 19), 20) e 22) perché i relativi fatti non sono più previsti dalla legge come reati.
Anche se, infatti, le relazioni con il pubblico ufficiale NOME COGNOME non erano millantate, la mediazione illecita non era diretta a far commettere al funzionario pubblico un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato.
Non essendovi la prova della ricezione di somme da parte del commissario di esame NOME COGNOME, la mediazione illecita era, infatti, diretta solo a fargli commettere un reato di abuso di ufficio, attualmente privo di rilevanza penale, e non già di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.
Queste declaratorie comportano l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, proposto in relazione al delitto di cui al capo 5), del sesto, del settimo e dell’ottavo motivo di ricorso, relativo ai delitti di traffico di influenza illeci all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 346-bis, comma terzo, cod. pen.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con il primo, il terzo, il quarto, il quinto e il nono motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME hanno dedotto l’inosservanza degli artt. 319, 323 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione alle condotte di corruzione contestate con riferimento ai candidati NOME COGNOME (capo 1), NOME COGNOME (capo 3), NOME COGNOME (capo 6), NOME COGNOME (capo 7), candidato NOME COGNOME (capo 9), NOME COGNOME Tropea (capi 11 e 13), NOME COGNOME (capi 14 e 16) NOME COGNOME (capo 24).
Con questi motivi i difensori deducono che le condotte accertate dovrebbero essere qualificate come reati, ormai abrogati, di abuso di ufficio per violazione del dovere di astensione, in quanto non sarebbe stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio alcuna dazione di somme di danaro, né la conclusione di alcun pactum sceleris. Non sarebbe sufficiente, del resto, la sola dimostrazione della ricezione di una somma di danaro per inferire il pactum sceleris.
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10. I motivi sono inammissibili, in quanto si risolvono in una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, non consentite in sede di legittimità.
I difensori, infatti, contrappongono alle sentenze di primo e secondo grado una diversa versione dei fatti, senza dimostrarne la manifesta illogicità.
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi
e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto
Rv.
a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020,
COGNOME
280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
11. Alla stregua dei rilievi che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME con riferimento ai capi
a lui ascritti, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai capi 43) e 45), nonché nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai capi 5), 19), 20) e 22),
perché i relativi fatti non sono più previsti dalla legge come reato.
I ricorsi di COGNOME e di Paterna devono essere dichiarati inammissibili nel resto e deve essere disposto il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per la rideternninazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione alle pene accessorie e alla confisca, in conseguenza degli annullamenti disposti.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME NOME in relazione ai capi 44) e 46), e di Paterna NOME in relazione ai capi 1), 3), 6), 7), 9), 11), 14), 16) e 24).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOMENOME NOME con riferimento ai capi a lui ascritti, nei confronti di COGNOME NOME limitatamente ai capi 43) e 45), nonché nei confronti di Paterna NOME limitatamente ai capi 5), 19), 20) e 22), perché i relativi fatti non sono più previsti dalla legge come reato. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi del COGNOME e del Paterna e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per la o GLYPH rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la o.b ‘ irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità zí GLYPH 3 di COGNOME NOME in relazione ai capi 44) e 46), e di Paterna Giovanni in · relazione ai capi 1), 3), 6), 7), 9), 11), 14), 16) e 24).
Così deciso il 04/02/2025.