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Abuso di potere: quando l’azione disciplinare è lecita

Un Presidente di un Ordine dei Medici è stato accusato di abuso di potere per aver costretto un dottore a dimettersi da un centro sanitario concorrente attraverso azioni disciplinari. La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione, stabilendo che l’esercizio di poteri disciplinari legittimi, anche se esercitati con fermezza, non integra il reato di concussione se non è accompagnato dalla minaccia di un danno ingiusto e illegittimo.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abuso di potere o legittimo esercizio di funzioni? La Cassazione traccia il confine

La recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema delicato e cruciale: la distinzione tra il legittimo esercizio del potere disciplinare e il reato di abuso di potere finalizzato alla concussione. Il caso analizzato riguarda un Presidente di un Ordine dei Medici accusato di aver costretto un collega a dimettersi dalla direzione di un centro sanitario, percepito come concorrente. Questa pronuncia offre chiarimenti fondamentali su cosa costituisca una condotta penalmente rilevante in contesti di vigilanza professionale.

I fatti del processo

Al centro della vicenda vi era il Presidente di un Consiglio dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri provinciale, accusato del reato di concussione (art. 317 c.p.). Secondo l’accusa, egli avrebbe abusato dei suoi poteri per costringere un dottore, responsabile di un innovativo centro sanitario, a rassegnare le dimissioni. L’obiettivo finale sarebbe stato la chiusura della struttura, considerata una minaccia economica per altri interessi professionali e sanitari, sia pubblici che privati.

Le presunte condotte illecite includevano:

* Minacce esplicite e velate.
* L’avvio strumentale di cinque procedimenti disciplinari.
* Una campagna denigratoria a mezzo stampa, missive e telefonate.

Questa serie di azioni avrebbe creato un clima di pressione insostenibile, culminato con le dimissioni del direttore sanitario in data 19 luglio 2013. Tuttavia, la Corte di appello aveva ribaltato la condanna iniziale, assolvendo l’imputato. Contro tale assoluzione, il Procuratore generale e la parte civile avevano proposto ricorso in Cassazione.

La questione dell’abuso di potere nell’esercizio di funzioni disciplinari

Il cuore della questione legale era stabilire se l’attivazione del potere disciplinare, formalmente legittimo, potesse configurare un abuso di potere penalmente rilevante. I ricorrenti sostenevano che le azioni del Presidente non fossero finalizzate a tutelare il decoro professionale, ma a eliminare un concorrente. La difesa, invece, puntava sulla legittimità delle procedure avviate, basate su reali questioni deontologiche relative all’operatività del centro sanitario.

La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza di assoluzione, ha seguito il ragionamento della Corte di appello, sottolineando alcuni principi cardine del reato di concussione.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto infondati i ricorsi, giudicando la motivazione della Corte d’appello logica e coerente. I giudici hanno chiarito che, per integrare il reato di concussione, non è sufficiente una qualsiasi forma di pressione, ma è necessaria una condotta di costrizione che annulli la libertà di scelta del soggetto passivo attraverso la minaccia di un danno ingiusto.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che:

1. Legittimità del potere disciplinare: Il Presidente dell’Ordine aveva il potere-dovere di vigilare sulla condotta degli iscritti e di avviare procedimenti disciplinari in presenza di segnalazioni o fatti rilevanti, anche se relativi a comportamenti tenuti in qualità di direttore sanitario. L’esercizio di tale potere non è, di per sé, un abuso.
2. Assenza di un danno ingiusto: La minaccia di avviare un procedimento disciplinare e le possibili sanzioni (come l’avvertimento, la censura o la sospensione) non costituiscono un “danno ingiusto” (contra ius), poiché sono conseguenze previste dalla legge per la violazione di norme deontologiche. Il danno diventa ingiusto solo se la minaccia è pretestuosa e completamente slegata da un fondamento reale.
3. Mancanza di prova della costrizione: Dall’analisi dei colloqui e delle testimonianze, la Corte non ha ravvisato elementi di minaccia implicita o esplicita idonei a coartare la volontà del medico. Le contestazioni, seppur espresse con toni accesi, rientravano in un confronto su problematiche deontologiche. La stessa minaccia di “radiazione” non è stata provata con certezza.
4. Sequenza causale: Le dimissioni del dottore sono avvenute in un momento successivo all’adozione del provvedimento di sospensione, contro il quale egli aveva già esercitato il suo diritto di difesa impugnandolo. Questo, secondo la Corte, interrompe il nesso causale tra la presunta condotta costrittiva e le dimissioni, che appaiono come una scelta personale piuttosto che l’unica via d’uscita per evitare un male ingiusto.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la distinzione tra l’esercizio del potere, anche se percepito come severo o ostile, e l’abuso criminale. L’attivazione di meccanismi sanzionatori previsti dalla legge non può essere considerata un atto di concussione se non si dimostra che la minaccia prospettata è quella di un danno contra ius, cioè illegittimo e non previsto dall’ordinamento come conseguenza di una determinata condotta. In assenza di una coercizione che annulli la volontà della vittima, non si può parlare di concussione, ma, al più, di un aspro conflitto professionale gestito nei limiti, seppur rigidi, delle prerogative istituzionali.

L’avvio di un procedimento disciplinare può costituire un abuso di potere?
No, secondo la Corte l’avvio di un procedimento disciplinare da parte di chi ne ha la competenza (come il Presidente di un Ordine professionale) non costituisce di per sé un abuso, in quanto rappresenta l’esercizio di un potere previsto dalla legge. Diventa un abuso penalmente rilevante solo se è strumentale e pretestuoso, cioè usato per minacciare un danno ingiusto e illegittimo, del tutto slegato dai suoi presupposti formali e sostanziali.

Cosa si intende per “danno ingiusto” nel reato di concussione?
Per “danno ingiusto” (contra ius) si intende un pregiudizio contrario alla legge, che la vittima non è obbligata a subire. La minaccia di una sanzione disciplinare prevista dall’ordinamento a seguito di una violazione deontologica non è considerata un danno ingiusto. Lo sarebbe, invece, la minaccia di una sanzione arbitraria, inventata o non prevista dalla legge per quel comportamento.

Perché le dimissioni del dottore non sono state considerate una conseguenza della costrizione?
La Corte ha ritenuto che mancasse un nesso causale diretto e inequivocabile tra le azioni del Presidente e le dimissioni. Queste ultime sono intervenute dopo che il provvedimento di sospensione era già stato emesso e il dottore aveva già attivato i suoi strumenti di difesa impugnandolo. Pertanto, le dimissioni non sono state viste come l’unica alternativa per evitare un male ingiusto, ma come una scelta autonoma del dottore, seppur maturata in un contesto di forte conflittualità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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